DeepSeek vuole essere un’intelligenza artificiale più inclusiva, ma cosa risponde su Piazza Tienanmen?

La piattaforma Made in China scuote il mercato con modelli open source avanzati, ma il Garante per la privacy italiano ne blocca l’accesso. Dietro la narrazione di inclusione e trasparenza emergono ombre sulla gestione delle informazioni e sull’influenza della censura di Pechino

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
1 febbraio 2025
A sinistra, il presidente cinese Xi Jinping. Al centro, il logo dell'applicaione DeepSeek. A destra, le proteste in piazza Tienanmen del 1989

A sinistra, il presidente cinese Xi Jinping. Al centro, il logo dell'applicaione DeepSeek. A destra, le proteste in piazza Tienanmen del 1989

Negli ultimi giorni, una delle parole più cercate è stata DeepSeek. Anche chi non ha troppa confidenza con le nuove tecnologie non ha tardato ad afferrare un concetto semplicissimo: la Cina ha battuto un colpo e ha fatto capire agli Stati Uniti che la corsa all’intelligenza artificiale non è affatto in solitaria. DeepSeek è un’innovazione che, oltre ad aver scosso i mercati azionari, ha sollevato – e non poco – l’interesse degli utenti di tutto il mondo.

Cos’è DeepSeek?

Ma cos’è DeepSeek e perché appare così pericolosa agli occhi dell’Occidente? Si tratta di un’intelligenza artificiale sviluppata in Cina che, al momento, sembra essere una delle più avanzate e accessibili nel panorama dei modelli linguistici di nuova generazione. I sistemi che la governano, infatti, sono stati rilasciati in modalità open source, con grande entusiasmo della comunità tech. Non solo: a quanto pare, si tratta di una tecnologia a basso costo, come da tradizione cinese.

Il tema dell’inclusione

Altro aspetto che ha fatto discutere è il tema dell’inclusione. DeepSeek sembra puntare su politiche capaci di accogliere le diversità, ad esempio attraverso l’utilizzo, nel suo addestramento, di nomi e parole provenienti da più culture. Un melting pot che, a occhio, ha tutta l’aria di essere una soluzione di facciata per far sì che DeepSeek venga apprezzata anche da chi, d’istinto, la guarderebbe con diffidenza.

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Il presidente Xi Jinping insieme al presidente russo Vladimir Putin fotografati a Mosca a gennaio 2025

E piazza Tienanmen?

Ma basta fermarsi a riflettere un attimo per chiedersi se tutta questa inclusività non rischi di scontrarsi con l’interpretazione del mondo e della storia secondo la Cina. Sarebbe interessante capire se la spinta all’inclusione di cui DeepSeek si vanta sia accompagnata da una reale apertura informativa, oppure se la censura rimanga saldamente al suo posto.

Cosa succederebbe, ad esempio, se le si chiedesse un’opinione su piazza Tienanmen? Molti esperti ci hanno provato e, di fatto, l’applicazione evade la domanda, rispondendo cose come: “Mi dispiace, ma questo è al di fuori della mia portata attuale, parliamo di altro”. L’impressione è che, open source o no, l’intelligenza artificiale made in China non abbia alcuna intenzione di ribaltare un’architettura culturale monolitica che, da decenni, modella le menti di milioni di persone e ora punta a farlo anche fuori dai confini nazionali, sfruttando proprio l’intelligenza artificiale.

L'immagine simbolo delle proteste di piazza Tienanmen (Charlie Code, 1989)
L'immagine simbolo delle proteste di piazza Tienanmen (Charlie Code, 1989)

Impatto e reazioni in Italia

Sta di fatto che, almeno in Italia, DeepSeek non sta trovando terreno fertile. Il Garante per la privacy è recentemente intervenuto con un blocco immediato, riscontrando gravi lacune nella gestione dei dati degli utenti. La società ha risposto sostenendo che, non operando in Italia, non è vincolata alle leggi europee. Un’affermazione che ha spinto il Garante a vietarne l’accesso nel nostro Paese. Come già accaduto con OpenAI, però, non si esclude che DeepSeek possa presto correre ai ripari per aggirare l’ostacolo.

La nuova guerra fredda

Il punto è che i dubbi sulla sicurezza e sull’affidabilità di DeepSeek – e di tecnologie simili – sono tanti e non di poco conto. A preoccupare è anche il fatto che, stando alle dichiarazioni ufficiali, le conversazioni con i chatbot vengano utilizzate per addestrare gli algoritmi. Un meccanismo che potrebbe avere un impatto pesante sull’intero ecosistema informativo.

È evidente, quindi, che non si tratta solo di una nuova guerra fredda a colpi di tecnologia. La posta in gioco è ben più ampia e potrebbe ridefinire il modo di pensare e interpretare il mondo per le future generazioni. Il rischio è grande e i fenomeni di inclusion-washing serviranno a poco per risolvere il problema. Occhi aperti e navigare con cautela.