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Home » Attualità » La denuncia di Luce Scheggi: “Alla faccia del Pride Month. Abusi all’ordine del giorno”

La denuncia di Luce Scheggi: “Alla faccia del Pride Month. Abusi all’ordine del giorno”

Attivista e divulgatore, Luce ci aveva raccontato mesi fa la difficoltà di vivere, anche nella progressista Bologna, da persona queer. Sui social il video in cui denuncia gli ultimi episodi di molestie e aggressioni verso membri della comunità Lgbtq+

Marianna Grazi
23 Maggio 2022
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“Mi sembra di essere in uno di quei film in cui la protagonista si sveglia e ogni giorno riparte sempre tutto da capo“. Un loop da cui Luce Scheggi, di cui vi avevamo raccontato la storia qualche mese fa qui su Luce!, non vede via d’uscita. In un video denuncia sulla sua pagina Instagram l’attivista e divulgatore queer racconta in particolare due episodi in cui si è imbattutə negli ultimi giorni, alle soglie del mese del Pride. Due episodi di violenza, omofobici, soprattutto passati in sordina, come se nulla fosse, come se non meritassero condanna ma semplicemente fossero gesti goliardici, tra amici… Gesti che, ogni giorno, nascondono una realtà che è sotto gli occhi – troppo spesso rivolti altrove o chiusi – di tuttə: l’Italia è un Paese dove la violenza contro le donne e la comunità Lgbtq+ è normale, dove la discriminazione è all’ordine del giorno. Lo dicono i numeri, non lo diciamo noi, lo raccontano i dati, anche quelli che non ci sono.

 

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Un post condiviso da Luce (@lucescheggi)

La molestia alla coppia lesbica

aggressione coppia lesbica
Luce Scheggi denuncia l’aggressione subita da una coppia lesbica a Bologna riportando lo screenshot delle stories di una delle vittime

“Mi rendo conto che questa cosa potrebbe sembrare brutta da dirsi ma purtroppo io negli anni ho sviluppato un certo distacco da notizie di questo tipo”, dice Scheggi riferendosi a un vicenda di cui è venuto a conoscenza domenica mattina, 22 maggio. La notizia è la molestia subita da due ragazze lesbiche la sera precedente, ad opera di un gruppo di uomini, che prima le hanno filmate, poi, alla loro richiesta di cancellare il video, hanno iniziato ad insultarle e a palpeggiarle. Una delle vittime ha lanciato un appello, attraverso i social, per rintracciare almeno uno degli aggressori a cui è riuscita a scattare una foto, riponendo però ben poche speranze sia nel suo ‘ritrovamento’ sia nella denuncia che lei e la fidanzata stavano andando a fare. Luce, anch’essa lesbica, ammette di doversi però schermare da certe notizie, non perché non la tocchino, bensì “Non me lo posso permettere. Perché purtroppo devo fare una cernita. Perché di notizie come queste ne leggo ogni giorno, perché intorno a me succedono altrettanto spesso, perché le vedo succedere a persone a me care e perché io stessa mi porto dietro un carico di traumi e abusi niente male. Perché anche se magari non sembra, – continua nel video – la mia vita non è fatta solo del mio essere lesbica“.

Un muro emotivo per proteggersi

“Ho imparato a mettere su questo muro” spiega l’attivista queer che poi parla della città che l’ha adottatə ormai da diversi anni, Bologna, dove vive e lavora. “Una città che è considerata ‘queer friendly’, no? L’avanguardia” sottolinea ironicamente, per poi puntualizzare: “Questa aggressione (alla coppia lesbica, ndr) è successa a Bologna”. E come se non bastasse, giustamente, fa riferimento a quello che è accaduto, poco meno di un anno fa, in Parlamento, con l’affossamento del Ddl Zan e l’esultanza da stadio, scandalosa, dei senatori. “So che se voglio avere un dialogo devo stare calma, sempre, e ritenermi fortunata perché non vengo aggredita da sei mesi – prosegue amareggiatə – e ringraziare perché ieri non ho subito molestie; che ho un tetto, un lavoro e del cibo. E ringraziare che la mia famiglia non mi ha buttato fuori di casa e che nessuno al mio paese ha provato a uccidermi. E ringrazia, ringrazia che respiri – dichiara Luce nel video, riportando frasi che si è sentito dire, che ha sentito pronunciare verso coloro che non rientrano nei ‘canoni’ della presunta ‘eteronormatività’– perché ricordati sempre che la tua vita, la tua esistenza è precaria“.

L’addio al celibato e l’incitamento ai femminicidi

maglia-addio-celibato
La maglietta indossata da un gruppo di uomini per un addio al celibato

Ma gli episodi scatenanti lo sfogo di Luce sono due e del secondo è stata testimone direttə. Fuori con le amiche per un sabato sera in compagnia hanno incontrato un gruppo di uomini che stavano festeggiando un addio al celibato e indossavano tutti una maglietta con stampati i cosiddetti “10 comandamenti dello sposo“. “Punto numero 2 – afferma Scheggi –: ‘una donna morta non può dire di no’. Quindi, mentre io corro la mia vita sul filo del rasoio ringraziando di essere ancora in piedi, e dovendomi vergognare della mia esistenza, loro vanno in giro per strada con quelle magliette […] con una frase di incitamento al femminicidio, fieri”. Tralasciando gli altri ‘comandamenti’ – anch’essi a dir poco maschilisti ed offensivi – l’attenzione si concentra su una frase gravissima, la seconda. In un Paese, come l’Italia, dove ogni anno muoiono centinaia di donne vittime di uomini che spesso sono i loro mariti, compagni, ex partner, un futuro sposo e i suoi amici vanno in giro esibendo la frase: “una donna morta’ non può dire di no”. Orgogliosamente, tanto da contendersi lo spazio nella foto che l’attivista chiede di poter scattare loro.

“In tutto ciò la domanda rimane sempre la stessa: ma di che vi lamentate?” puntualizza il divulgatore queer che sa bene cosa voglia dire vivere ogni giorno con la paura, con il terrore di uscire di casa ed essere molestatə, aggreditə, insultatə. Poi conclude il video, cinicamente augurando e augurandosi “buon Pride!”.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
"Mi sembra di essere in uno di quei film in cui la protagonista si sveglia e ogni giorno riparte sempre tutto da capo". Un loop da cui Luce Scheggi, di cui vi avevamo raccontato la storia qualche mese fa qui su Luce!, non vede via d'uscita. In un video denuncia sulla sua pagina Instagram l'attivista e divulgatore queer racconta in particolare due episodi in cui si è imbattutə negli ultimi giorni, alle soglie del mese del Pride. Due episodi di violenza, omofobici, soprattutto passati in sordina, come se nulla fosse, come se non meritassero condanna ma semplicemente fossero gesti goliardici, tra amici... Gesti che, ogni giorno, nascondono una realtà che è sotto gli occhi – troppo spesso rivolti altrove o chiusi – di tuttə: l'Italia è un Paese dove la violenza contro le donne e la comunità Lgbtq+ è normale, dove la discriminazione è all'ordine del giorno. Lo dicono i numeri, non lo diciamo noi, lo raccontano i dati, anche quelli che non ci sono.
 
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"Ho imparato a mettere su questo muro" spiega l'attivista queer che poi parla della città che l'ha adottatə ormai da diversi anni, Bologna, dove vive e lavora. "Una città che è considerata 'queer friendly', no? L'avanguardia" sottolinea ironicamente, per poi puntualizzare: "Questa aggressione (alla coppia lesbica, ndr) è successa a Bologna". E come se non bastasse, giustamente, fa riferimento a quello che è accaduto, poco meno di un anno fa, in Parlamento, con l'affossamento del Ddl Zan e l'esultanza da stadio, scandalosa, dei senatori. "So che se voglio avere un dialogo devo stare calma, sempre, e ritenermi fortunata perché non vengo aggredita da sei mesi – prosegue amareggiatə – e ringraziare perché ieri non ho subito molestie; che ho un tetto, un lavoro e del cibo. E ringraziare che la mia famiglia non mi ha buttato fuori di casa e che nessuno al mio paese ha provato a uccidermi. E ringrazia, ringrazia che respiri – dichiara Luce nel video, riportando frasi che si è sentito dire, che ha sentito pronunciare verso coloro che non rientrano nei 'canoni' della presunta 'eteronormatività'– perché ricordati sempre che la tua vita, la tua esistenza è precaria".

L'addio al celibato e l'incitamento ai femminicidi

maglia-addio-celibato
La maglietta indossata da un gruppo di uomini per un addio al celibato
Ma gli episodi scatenanti lo sfogo di Luce sono due e del secondo è stata testimone direttə. Fuori con le amiche per un sabato sera in compagnia hanno incontrato un gruppo di uomini che stavano festeggiando un addio al celibato e indossavano tutti una maglietta con stampati i cosiddetti "10 comandamenti dello sposo". "Punto numero 2 – afferma Scheggi –: 'una donna morta non può dire di no'. Quindi, mentre io corro la mia vita sul filo del rasoio ringraziando di essere ancora in piedi, e dovendomi vergognare della mia esistenza, loro vanno in giro per strada con quelle magliette [...] con una frase di incitamento al femminicidio, fieri". Tralasciando gli altri 'comandamenti' – anch'essi a dir poco maschilisti ed offensivi – l'attenzione si concentra su una frase gravissima, la seconda. In un Paese, come l'Italia, dove ogni anno muoiono centinaia di donne vittime di uomini che spesso sono i loro mariti, compagni, ex partner, un futuro sposo e i suoi amici vanno in giro esibendo la frase: "una donna morta' non può dire di no". Orgogliosamente, tanto da contendersi lo spazio nella foto che l'attivista chiede di poter scattare loro. "In tutto ciò la domanda rimane sempre la stessa: ma di che vi lamentate?" puntualizza il divulgatore queer che sa bene cosa voglia dire vivere ogni giorno con la paura, con il terrore di uscire di casa ed essere molestatə, aggreditə, insultatə. Poi conclude il video, cinicamente augurando e augurandosi "buon Pride!".
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