A Firenze parte l'inchiesta sull'
ospedale di Careggi in materia di disforia di genere. Dalla struttura, però, non trapela nulla, c'è assoluto silenzio stampa. "Dobbiamo fare massima chiarezza sulle procedure adottate [...] nell'interesse dei minori coinvolti in questo delicato e difficile percorso". La nota di Erica Mazzetti, deputata toscana di Forza Italia, riaccende l'attenzione sulla polemica, scoppiata circa un mese fa, sul
centro fiorentino. L'obiettivo è stabilire una volta per tutte se il percorso clinico seguito
dagli/delle adolescenti e da tutte le persone che chiedono il cambio di sesso sia quello corretto, stabilito per legge. Per questo, oggi e domani "gli
ispettori del Ministero della Salute" saranno "al Centro per la disforia di genere dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi per fare piena luce su procedure e soprattutto sul farmaco utilizzato - aggiunge Mazzetti -.
L'iter di transizione di genere a Careggi sotto la lente degli ispettori ministeriali
È una battaglia giusta e condivisibile, nell'interesse di persone fragili che devono essere aiutate e soprattutto devono essere accompagnate da una équipe di professionisti". La maggioranza accusa la struttura di non prevedere per i pazienti un supporto psicologico/psichiatrico obbligatorio e di usare un farmaco che avrebbe effetti collaterali gravi soprattutto sui più giovani. Dalla struttura, in risposta alle due interrogazioni – parlamentare e regionale –, avrebbero però fatto sapere che al centro di Careggi è prevista, come da legge, l'assistenza psicologica e psicoterapeutica per i casi di disforia. Lo specialista sarebbe chiamato a valutare nel corso di varie sedute la presenza effettiva del disagio del paziente e, nel corso di un eventuale trattamento i colloqui di supporto psicologico (con l'adolescente e con i familiari di questo) sarebbero costanti.
La polemica: farmaci senza supporto psicologico
Un mese fa era stato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, a porre esplicitamente il problema: "Risulterebbe che
ai bambini di età media di 11 anni che vi si recano
non venga fornita assistenza psicoterapeutica e psichiatrica", che le valutazioni "avvengano principalmente sulla base di ciò che gli stessi riferiscono e che ai piccoli pazienti vengano iniettate le sostanze bloccanti della pubertà". Il medicinale su cui punta il dito è appunto la triptorelina, utilizzato per fermare gli sviluppi fisici e fisiologici (come il ciclo mestruale per esempio) tipici dell'adolescenza, in modo da dare più tempo alla persona di chiarirsi le idee. "In quell'ospedale – rincarava il senatore – semplicemente
non c'è un reparto di neuropsichiatria infantile. Non solo. Le valutazioni psicologiche dei giovanissimi che arrivano al Careggi per avviare il percorso di cambio di sesso sembrerebbe siano particolarmente superficiali.
La polemica sul centro fiorentino per il trattamento farmacologico sui minori senza supporto degli psicologi
E il via libera al ricorso dei farmaci sarebbe basato sul presupposto, inaccettabile, che con
la pubertà bloccata i bambini hanno
tempo di esplorare la loro identità di genere e decidere se proseguire il percorso di transizione. Chiaramente, se tutto questo fosse confermato, non potremmo tollerarlo". Da qui la richiesta di fare chiarezza per garantire la massima tutela della salute mentale del soggetto e dissipare i dubbi che, oltretutto, erano stati aggravati dalle dichiarazioni al Corriere della Sera di due dottoresse dell’equipe fiorentina. "La presa in carico per i percorsi di affermazione di genere non prevede una psicoterapia" e "Al Careggi non esiste la neuropsichiatria infantile, c’è la psichiatria che però va bene per chi ha compiuto i 16 anni". Parole della psicologa Jiska Ristori e dell'endocrinologa Alessandra Fisher, smentite però dai dati stessi dell'ospedale, che parlano di un'età media di intervento ben più bassa.
Cos'è la disforia di genere
Si torna a parlare di
disforia di genere. Un tema, fino a qualche anno fa, di nicchia, relegato a questione marginale perché riguardante una fetta molto limitata di persone. Oggi però è sempre più presente nel dibattito pubblico, visto che l'età di chi manifesta questo malessere si sta progressivamente abbassando e si alza, invece, il numero di persone che la manifestano.
Cos'è la disforia di genere?
Ma di cosa parliamo quando si usa la formula disforia di genere? Secondo la definizione dell'Istituto Superiore di Sanità è "una condizione caratterizzata da una
intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria
identità di genere diversa dal proprio sesso".
Un senso di forte disagio, quindi, che le persone provano quando non si riconoscono nell'identità biologica femminile o maschile assegnata loro alla nascita, scegliendo di intraprendere quindi un percorso di transizione (oggi si parla più di affermazione) all'altro sesso.
Il "sesso" – usiamo ancora la definizione dell'ISS – è "l'insieme di tutte le caratteristiche biologiche che contraddistinguono l'essere femmine o l'essere maschi (sesso biologico): i cromosomi sessuali (XY per i maschi e XX per le femmine), le gonadi (testicoli per i maschi e ovaie per le femmine), i genitali esterni e i caratteri sessuali secondari (sviluppo delle mammelle, presenza di peli sul volto, timbro della voce, etc.) che compaiono nel periodo dello sviluppo sessuale (pubertà)".
Con "genere", invece, ci si riferisce alle "caratteristiche dipendenti da fattori culturali, sociali, psicologici che definiscono comportamenti considerati tipici per l'uomo e per la donna. Il sentire di appartenere intimamente all'uno o l'altro genere costituisce l’identità di genere".
I numeri
La disforia di genere – stando alle ultime statistiche nazionali disponibili – interessa
un soggetto Amab (Assigned male at birth)
su 68.278 e
uno Afab (Assigned female at birth) su
245.356 cittadini. I primi disturbi (sintomi) della disforia di genere possono comparire fin dall'infanzia,
intorno ai 2-3 anni. Negli studi internazionali sui bambini è stato osservato che la condizione persiste fino all'età adulta per il 6-23% dei maschi ed il 12-27% delle femmine.
Transizione di genere, boom di trattamenti clinici anche tra i giovanissimi
Meno di un terzo dei bambini nei quali è stata accertata (diagnosticata) manterrà tale malessere anche in adolescenza. Al centro di
Careggi l'età media di accesso dei pazienti al percorso di affermazione di genere sarebbe di
14,8 anni, e quella di chi si sottopone al
trattamento farmacologico di 15,2 anni. Nel 2022 sarebbero state 60 le persone prese in carico dalla struttura fiorentina che avrebbero seguito l'iter clinico (compreso l'utilizzo dei medicinali), mentre
lo scorso anno gli accessi sarebbero stati ben
150.
Terapie individuali
Chi soffre di disforia ha a disposizione delle terapie per affrontare la problematica: queste cure sono individuali e ciò che può alleviare le sofferenze di una persona può essere diverso da ciò che è utile ad un’altra. Alcune – ma
non è obbligatorio – scegli di compiere un percorso di affermazione di genere. Un iter che si differenzia da persona a persona, che ha delle tappe stabilite per legge ma che i centri e gli specialisti cercano di adattare alle reali esigenze individuali del soggetto. Per esempio, non tutte sentono il bisogno di sottoporsi a
un trattamento chirurgico, che prima del 2015 e di due sentenze della Corte di Cassazione era invece passaggio obbligatorio per la rettifica dei dati anagrafici, come previsto dall'unica legge in materia in Italia, la
164 del 1982. Ma andiamo con ordine e spieghiamo, passo dopo passo, in cosa consiste questo percorso.
Le tappe del percorso di affermazione
Il percorso di affermazione
Prima di iniziare, intanto, la persona deve essere
informata su tutte le procedure e le terapie che ha a disposizione, nonché sui
possibili rischi e sull’
irreversibilità di alcune di esse, così da poter esprimere un consenso informato scritto sul trattamento terapeutico che si accingono ad affrontare, concordato con gli specialisti che lo prescrivono. Il
consenso informato, regolato dalla Legge 219/2017, rappresenta il presupposto di legittimità dell'attività del medico (art. 32 Cost.) e solo a quel punto la persona può rivolgersi ai centri specializzati sulla disforia di genere presenti sul territorio (qui una
mappa dei servizi stilata da Infotrans). Il primo step consiste nei
colloqui psicologici che la persona (maggiorenne o minorenne che sia) fa per acquisire consapevolezza rispetto alla definizione della propria identità di genere e per definire quali può essere il percorso individuale da seguire. Nel caso in cui la persona intenda chiedere la
rettifica anagrafica del nome e delle generalità sui documenti, e/o voglia sottoporsi a terapie farmacologiche e infine a eventuali interventi chirurgici di affermazione di genere, può essere elaborata una relazione psicologica che attesti la necessità di tali interventi al fine del benessere della persona. Tale relazione verrà quindi presentata al Tribunale di residenza a cui viene richiesta l'autorizzazione come stabilito dalla Legge 14 aprile 1982, n. 164, dal titolo “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso". Ribadiamo che
l'intervento chirurgico non è più un requisito obbligatorio per il cambio di nome. Se la persona con disforia manifesta il desiderio di modificare le proprie caratteristiche fisiche gli/le può essere prescritto un
trattamento ormonale (a cui è affiancato un costante supporto psicoterapeutico). Sulla base della versione più aggiornata degli Standard di Cura del
World Professional Association of Transgender Health (WPATH) e di altre linee guida internazionali, per potervi devono essere
soddisfatti determinati criteri. Devono essere attestati: marcata e stabile incongruenza di genere; capacità di fornire il consenso informato al trattamento; se sono presenti problemi di salute fisica e/o psicologici potenzialmente interferenti con l'esito della terapia, questi devono essere presi in carico; comprensione degli effetti della terapia ormonale sulla fertilità e discussione delle possibilità di preservazione della fertilità. La terapia ormonale deve essere
personalizzata in base alle richieste della singola persona e in base agli obiettivi che questa
intende raggiungere, tenendo ovviamente conto delle sue condizioni di salute. La persona transgender, al termine della terapia farmacologica, può scegliere liberamente e secondo volontà di sottoporsi anche a un
intervento chirurgico di modifica delle caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie, per adattare il suo aspetto fisico alla sua identità di genere. L'operazione dovrà ottenere
l’autorizzazione (con sentenza) dal Tribunale di residenza (fa eccezione l’intervento di mastoplastica additiva nelle persone Amab). Spetta sempre ai giudici, infine, autorizzare la
riattribuzione anagrafica (quindi il cambio del nome e del genere nei documenti d'identità). A tale scopo, sarà necessario provare, anche attraverso documentazione medica/psicologica, la propria disforia di genere/incongruenza di genere.