Elia Milani, cronista dalla Striscia di Gaza: "Chi si salverà non avrà più nulla"

Il giornalista di Mediaset, che da oltre sei anni vive a Gerusalemme, è uno dei pochissimi autorizzati dall'esercito israeliano ad entrare nella zona di guerra: "Il conflitto ha cambiato anche la mia vita"

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
20 dicembre 2023
Elia Milani

Elia Milani

Quello israelo-palestinese è un conflitto da osservare - e leggere - con gli occhi della storia. Per comprenderne le dinamiche profonde è necessario andare ben oltre il 7 ottobre e parecchio al di là dei confini riconosciuti. Da ormai più di due mesi, il governo di Netanyahu ha dichiarato guerra totale ad Hamas e, per estensione, al popolo palestinese. Una pressione militare feroce, considerata da Gerusalemme come l’unica strategia possibile per ottenere la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi. Una mattanza, agli occhi dell’Onu. Una reazione sconsiderata per la comunità internazionale, Usa - sfumature diplomatiche annesse - compresi.
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Milani spiega come anche la quotidianità dei giornalisti in Israele sia stata stravolta dal conflitto (X)

In un quadro sempre più preoccupante sotto il profilo umanitario, con un numero ormai elevatissimo di vittime innocenti nella Striscia, il rischio di malattie, contagi e carestie sempre più concreto, ne abbiamo parlato con Elia Milani, inviato Mediaset che da più di sei anni vive in terra d’Israele. “L’attacco del 7 ottobre era del tutto imprevedibile. Da sei anni e tre mesi vivo a Gerusalemme. Che la situazione nella Striscia fosse esplosiva era un dato di fatto ma prevedere un attacco come quello a cui abbiamo assistito era impossibile anche per chi, come me, è abituato a leggere tra le righe ogni accadimento”, ha spiegato il giornalista all’inizio della chiacchierata.

Elia Milani, reporter nella Striscia di Gaza

"Per capire il conflitto serve conoscerlo e non solo contestualizzarlo nel presente", aggiunge Milani. "Quando sono arrivato in Israele, ho impiegato del tempo prima di orientarmi in un panorama tutt’altro che lineare. La situazione attuale, se non interpretata con lo sguardo rivolto al passato, rischia di essere decifrata in maniera quantomeno parziale".
 
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Una puntualizzazione niente affatto banale, soprattutto alla luce di un sistema di informazione che, da una parte e dall’altra, in Europa come in Medio Oriente, tende a narrare i fatti in maniera più o meno strumentale alla creazione di una storia nella storia a uso e consumo della geopolitica. Al di là della propaganda, un dato di fatto è innegabile: il Nord di Gaza è distrutto. "Essere entrato nella Striscia, seppur accompagnato dall’esercito israeliano, è stato importantissimo. Vedere con i miei occhi la devastazione che ha seguito l’attacco del 7 ottobre ha avuto un impatto enorme. La zona settentrionale di Gaza non esiste più”. Milani è uno dei pochi giornalisti ad aver ottenuto il nulla osta per entrare nella Striscia da parte dell’esercito israeliano. Scortato, ha raggiunto alcuni dei luoghi (indicati da Israele) teatro dei bombardamenti e ha prodotto preziose immagini visionate dai militari prima della diffusione. Una misura di sicurezza più che una censura, messa in atto per evitare la diffusione di elementi e informazioni utili alla controparte per individuare eventuali bersagli.

Le anime di Israele

Quella di Milani non è solo la voce autorevole di un cronista coraggioso. Elia ha dalla sua la capacità di decrittare l’oggi e di raccontarlo in maniera comprensibile ai più. "Israele è costellato di anime diverse e diversamente posizionate rispetto al conflitto. Da una parte le famiglie degli ostaggi che ne chiedono la liberazione a ogni costo (compreso il cessate il fuoco), dall’altra gli assolutisti della difesa dell’identità israeliana che sostengono gli attacchi senza se e senza ma. Tutti sono rigorosamente accomunati dalla ferma volontà di andare avanti con la guerra, unica arma per difendere Israele dall’annientamento.
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Il nord di Gaza non esiste praticamente più, è stato completamente distrutto dal conflitto

Il riaccendersi del conflitto ha indubbiamente ricompattato il Paese. Prima del 7 ottobre, le manifestazioni di piazza erano ormai diventate all’ordine del giorno e il governo Netanyahu era bersagliato da cittadine e cittadini stanchi della sua guida. Nonostante le accuse di non essere stato in grado di prevenire la falla nel sistema che ha aperto la strada agli attacchi da parte di Hamas e l’ineluttabile destino che lo aspetta, il Paese adesso è allineato alla volontà di Netanyahu di difendersi" spiega il giornalista. E, viene da aggiungere, appare chiara l'opportunità politica potenzialmente capitalizzabile. "Gli israeliani non sono preoccupati dai posizionamenti della comunità internazionale. Certo, il rapporto con gli Usa è fondamentale, non fosse altro per la questione della fornitura di armi. Per il resto, soprattutto sul fronte europeo, l’atteggiamento appare abbastanza distaccato, ma c’è da scommettere che, al termine del conflitto, Gerusalemme non dimenticherà nomi, cognomi e coordinate geografiche di chi non si è schierato al fianco di Israele".

Lo scenario di guerra

Per consentirci di comprendere il quadro geopolitico generale, Elia ci invita ancora una volta a tenere ben stretto in mano il filo rosso della storia. "Oltre agli Stati Uniti d’America, strategici nello scenario del conflitto sono - tra gli altri - Qatar ed Egitto. Riguardo al Qatar, per capirne il ruolo serve riavvolgere il nastro. Ben prima del 7 ottobre, emissari dell'emirato, in accordo con Israele, si recavano a Gaza con somme cospicue di denaro. Una collaborazione con Israele di certo non diplomatica. Il Qatar, infatti, non riconosce lo Stato di Israele e, fino a poco tempo fa, chi proveniva da Tel Aviv o Gerusalemme non poteva recarsi a Doha neanche per uno scalo. Proprio in Qatar, tra l’altro, vivono i capi di Hamas e nella Striscia di Gaza il Qatar ha una sede diplomatica. Una sinergia in chiaroscuro che fa ben capire quanto strategico sia l’intervento dell’emirato. E questo è solo uno degli attori protagonisti delle trattative".

La strage dei civili palestinesi

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Un soldato appostato durante le operazioni militari nella Striscia

Quando lo abbiamo intervistato, l’inviato si stava recando a Sud. Qualche ora prima, era stato aperto il valico per far entrare nella Striscia mezzi con medicine, cibo e acqua. Un pezzo importante di un mosaico che, a ben vedere, potrebbe lasciare spazio a una, seppur minima, speranza di accordo. Di sicuro, da parte di Israele, un’azione preventiva finalizzata a tentare di arginare i giustificatissimi allarmi di Guterres. Nel frattempo, la strage dei civili palestinesi prosegue. Nella prigione a cielo aperto di Gaza l’età media si aggira intorno ai 18 anni. Da ciò, appare facile intuire il motivo per il quale le vittime siano principalmente bambini. L’Italia, oltre a essersi astenuta quando l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a maggioranza una risoluzione che chiedeva un "cessate il fuoco umanitario immediato a Gaza", ha fatto partire in direzione Gaza, ormai più di un mese fa, la nave Vulcano della Marina militare - ancora non entrata in funzione - per fornire sostegno sanitario alla popolazione civile palestinese coinvolta nel conflitto. “La differenza tra il conflitto in Ucraina e quello che sta andando in scena a Gaza - ha proseguito - sta nel fatto che nel primo i cittadini avevano la possibilità di muoversi, scappare, lasciare il Paese. A Gaza non è possibile. Tutto è chiuso, bloccato, e lo spostamento a Sud non è stato affatto risolutivo. Chi si salverà non avrà più nulla. Il Nord di Gaza non esiste più".

Quotidianità stravolta

Ci sarebbe da ascoltarlo per ore. Anche nella nostra intervista, il racconto di Elia Milani è stato capace di andare molto al di là del dovere di un cronista. Uno sguardo sul Medio Oriente che permette di trovare punti di riferimento e farne tesoro per riuscire a costruirsi un’opinione. Un servizio fondamentale per chi di accontentarsi di un lancio d’Ansa non ne vuole sapere. "Il conflitto ha cambiato anche la mia vita. So che paragonare la mia situazione a quella di chi ogni giorno vive a Gaza è impossibile, ma dal 7 ottobre la quotidianità dei giornalisti che vivono in Israele è stata stravolta. Tenere in equilibrio legami familiari e professione non è affatto facile in queste settimane e i personalissimi sacrifici sono molti, ma se quello che racconto può servire anche solo a una persona a capire, comprendere e farsi un’idea ho raggiunto il mio scopo".

Uno dovere pienamente assolto, a giudicare dagli attestati di stima che riceve da addetti ai lavori e non. Un obiettivo perseguito con passione che apre a tutte e tutti una finestra su un mondo da comprendere per capire tutto il resto. Notizia di poco fa è il possibile raggiungimento di un accordo su una nuova tregua. Sullo sfondo, il caos Suez e il fronte Hezbollah. Attraverso la voce e gli occhi di chi come Elia Milani è sul campo, continueremo a seguire i fatti di Palestina e d’Israele. L’auspicio è, presto, di poterlo sentire raccontare il cessate il fuoco definitivo su Gaza e il raggiungimento dell’unica soluzione possibile: i due Stati. Come al solito, lo farà con un racconto lucido, preciso, mai distaccato e capace di far capire oltre che informare. Cosa assai rara, impossibile da trovare “nelle vetrine di una strada centrale" (cit).