Facebook compie 21 anni: da quel 4 febbraio 2004 il mondo è cambiato, ma noi (forse) no

Da rivoluzione digitale a business: in vent’anni Facebook ha cambiato il nostro modo di comunicare, passando dall’entusiasmo giovanile alla disillusione adulta. Ma cosa resta oggi di quella piccola icona blu che ha segnato un’epoca?

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
4 febbraio 2025
Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook e Ceo di Meta

Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook e Ceo di Meta

Se solo leggendo il titolo di questo articolo avete iniziato a riflettere sul fatto che, forse, la vostra età anagrafica non corrisponde esattamente all’idea che avete di voi stessi, siete in buona compagnia. D’altronde, le ricorrenze servono proprio a questo: a ricordarci quanto il tempo passi velocemente, senza il nostro consenso.

Facebook compie vent’anni

Ma andiamo con ordine e lasciamo da parte inutili nostalgie: Facebook compie 21 anni. Un ventennio di novità, stravolgimenti, vere e proprie rivoluzioni e pensionamenti anticipatissimi. Se vent’anni fa ci avessero chiesto in che modo Facebook avrebbe potuto cambiare le nostre vite, probabilmente avremmo guardato i nostri interlocutori con un misto di ironia e scetticismo, asserendo con sicurezza che si trattava dell’ennesima meteora destinata a scomparire nel nulla. E invece no. Con buona pace del team “Io Facebook? Ma non scherziamo!”.

Sì, perché all’epoca erano in molti a guardare con malcelata diffidenza uno strumento che, nel giro di poco, sarebbe diventato la seconda casa di intere generazioni. Quello che sembrava un social per ritrovare vecchi amici e fare comunella nei ritagli di tempo è diventato, per alcuni, un punto di riferimento imprescindibile e, per una lunga lista di aziende, un business redditizio.

Com’è cambiato il mondo 

Il punto è che in vent’anni è letteralmente cambiato il mondo, dentro e fuori dai social. In quel 2004 che sembra lontano eppure vicinissimo, i cybernauti si dividevano tra i trilli di MSN, diffusissimo sistema di messaggistica istantanea, e MySpace, una piattaforma di blog fai-da-te dove si scriveva di tutto, spesso senza alcun senso logico. Poi, il 4 febbraio di quell’anno, Facebook ha fatto il suo ingresso in sordina nei nostri PC, spazzando via tutto il resto. A proposito, chi si ricorda di quando si poteva accedere a Facebook solo dal computer, perché gli smartphone non esistevano ancora? All’epoca tutto era meno immediato: i messaggi si leggevano in differita, i commenti arrivavano con il contagocce, le foto erano poche, i video quasi inesistenti e a dominare la scena c’erano frasi emozionali a tonnellate.

Facebook (foto Ansa)
Facebook (foto Ansa)

Poi, d’un tratto, qualcosa è cambiato. I giovani che si scambiavano messaggi pubblici su Facebook come se fossero seduti al bar hanno lasciato spazio a una piattaforma che voleva diventare adulta: pagine aziendali, inserzioni pubblicitarie, profili verificati, contenuti sempre più performanti, storie, reel, troll, fake news, gruppi e molto altro. L’inizio della fine, secondo i più romantici. La fine dell’inizio, per chi aveva capito che Facebook sarebbe diventato un colosso economico.

Nel giro di pochi anni, quella piccola icona blu è diventata un must. Tutti avevano un profilo: la mamma, la nonna, la nipote, la tabaccaia, la Nike, la Coca-Cola, Palazzo Chigi. Una rivoluzione trasversale che ha dato l’illusione che chiunque potesse dire qualsiasi cosa, allo stesso modo. Un fenomeno sociale senza precedenti che, ammettiamolo, ha dato una spallata al vecchio modo di comunicare – anche la politica – e ha dato voce a chi, prima di Facebook, difficilmente sarebbe riuscito a farsi ascoltare.

La situazione sfugge di mano

A dirla tutta, la cosa ci è sfuggita un tantino di mano. Dopo questa fase, è arrivata l’era del guerrilla marketing. Facebook è diventato il luogo dove le menti vengono plasmate per acquistare beni e servizi, un bombardamento continuo da cui è pressoché impossibile sfuggire. Con la stessa logica, gli utenti sono diventati bersagli anche di notizie più o meno vere, confezionate per orientare il loro pensiero in una direzione o nell’altra. Non più un uso attivo della piattaforma, ma un’azione passiva e frustrante.

La condotta del vigile sembrerebbe essere difficilmente inquadrabile in un errore dato
Grazie ai social siamo raggiunti ovunque dal guerrilla marketing

In questa parabola della nostra storia – e di Facebook – c’è stata anche la pandemia. In quel contesto, il social e i suoi cugini digitali hanno dimostrato che, grazie al web, le distanze potevano annullarsi e che forse, tutto il male visto scorrere su quelle bacheche nel corso degli anni non era poi così inutile. Lo slogan “Andrà tutto bene”, però, è durato pochissimo. In un battibaleno, Facebook è tornato a essere la deriva che avevamo imparato a conoscere nel periodo pre-Covid, tanto da spingere più di qualche utente ad abbandonare la nave.

Cosa resta di Facebook

Ma oggi, vent’anni dopo, cosa resta di Facebook? Non per essere pessimisti, ma restano gli over 35, il business che ne vuole plasmare i consumi, la politica che ne vuole plasmare le menti e qualche nicchia che ha trovato un luogo per scambiare informazioni su temi più o meno interessanti. I giovani? Di Facebook non ne hanno quasi traccia. Lo considerano roba da vecchi. E, senza scomodare il concetto di obsolescenza tecnologica, forse non hanno tutti i torti. Quella che era nata come una rivoluzione, in vent’anni si è trasformata nella brutta copia di una società sempre più arrabbiata, rancorosa e ostaggio dell’invidia sociale. Poco importa che dopo Facebook siano nati Instagram, TikTok e simili: il vero punto è che tutto è destinato a scemare, a comprimersi. Facebook era – ed è – il luogo della parola e dello scambio di idee. Oggi, i giovani preferiscono l’immediatezza: meno parole, più immagini. Una deriva pericolosa, ma sicuramente da comprendere. Detto ciò, se leggendo queste parole vi sentite maturi, siete legittimati a farlo. Ma sappiate che aver vissuto la rivoluzione di Facebook è stato un grande privilegio, perché vi ha permesso di assistere alla trasformazione di un’epoca e di sviluppare una memoria critica utile per evitare che il futuro sia fatto solo di like. C’era un prima, un dopo e voi ne siete stati lo spartiacque. Siatene consapevoli, fieri, sentitevene responsabili e rileggete l'articolo ascoltando "Vent'anni" dei Maneskin, vi suonerà familiarissimo.