Il fast fashion uccide l’ambiente e le comunità: il Ghana tra i paesi più colpiti

Un rapporto di Greenpeace documenta l’impatto devastante degli indumenti usati nei paesi occidentali su ambiente, comunità ed ecosistemi del continente africano. Il Ghana è uno dei paesi più colpiti, dove alcune zone si sono trasformate in enormi discariche a cielo aperto

di Redazione Luce!
12 settembre 2024
Fast fashion dei veleni, l'indagine di Greenpeace

Fast fashion dei veleni, l'indagine di Greenpeace

L’industria dell’abbigliamento, soprattutto con la diffusione del fast fashion, ha portato ad un impatto ambientale senza precedenti. A sottolineare l’importanza della sostenibilità nel mondo della moda, un nuovo rapporto di Greenpeace Africa e Greenpeace Germania ha rivelato le dimensioni allarmanti dei danni sanitari e ambientali causati dal commercio globale di abbigliamento di seconda mano in Ghana.

Il rapporto, dal titolo “Fast Fashion, Slow Poison: The Toxic Textile Crisis in Ghana”, documenta l’impatto devastante degli indumenti usati dal Nord del mondo - quasi tutti capi di fast fashion - su ambiente, comunità ed ecosistemi nello Stato dell’Africa occidentale.

Alcune parti del Ghana si sono trasformate in un’enorme discarica a cielo aperto. Ogni settimana, circa 15 milioni di vecchi vestiti arrivano a Kantamanto – uno dei maggiori mercati di abiti usati al mondo situato ad Accra, capitale del paese – ma quasi la metà di questi indumenti rimane invendibile. 

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Fast fashion dei veleni, l'indagine di Greenpeace

La responsabilità del mondo della moda 

Per volumi importati, il Ghana è anche la seconda destinazione di abiti di seconda mano provenienti dal Continente europeo. L’Italia è la nona esportatrice a livello mondiale e terza in Europa, dietro a Belgio e Germania: soltanto nel 2022 dal Belpaese sono arrivate in Ghana quasi 200 mila tonnellate di indumenti usati.

Da notare anche come i primi dieci brand di capi invenduti nel mondo siano tutti marchi del fast fashion: tra loro H&M, Zara, Primark. Tra i “nuovi arrivati” figurano anche molti articoli di SHEIN.

Questo è l’impatto della moda: invece di mettere in discussione i propri modelli di business e rallentare i propri ritmi di produzione, molti marchi di abbigliamento preferiscono promuovere finte linee sostenibili, diffondendole come soluzioni ai loro impatti ambientali. 

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Fast fashion dei veleni, l'indagine di Greenpeace

Fast fashion e inquinamento, una conseguenza diretta 

Molti dei vestiti usati che arrivano in Ghana finiscono in discariche abusive o vengono bruciati nei lavatoi pubblici, contaminando gravemente l’aria, il suolo e le acque, e mettendo di conseguenza a rischio la salute delle comunità locali.

I campioni d’aria prelevati da Greenpeace dai lavatoi pubblici nell’insediamento Old Fadama ad Accra mostrano livelli pericolosamente elevati di sostanze tossiche, incluse sostanze cancerogene come il benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

Le analisi condotte dall’organizzazione ambientalista sugli abiti hanno inoltre rivelato che circa il 90% è costituito da fibre sintetiche come il poliestere, contribuendo alla diffusione di microplastiche nell'ambiente. L’accumulo di rifiuti tessili sta anche soffocando gli habitat naturali, inquinando i fiumi e creando vere e proprie “spiagge di plastica” lungo la costa.

“Le prove da noi raccolte mostrano chiaramente che l’industria del fast fashion non è soltanto un problema del settore moda, ma una crisi sanitaria pubblica a tutti gli effetti: questi indumenti stanno letteralmente avvelenando la popolazione di Accra”, dichiara Sam Quashie-Idun, autore del report di Greenpeace.

“La situazione in Ghana riflette una mentalità neocoloniale in base alla quale il Nord del mondo trae profitto dalla sovrapproduzione e dagli sprechi, mentre Paesi come il Ghana ne pagano il prezzo. È tempo per un trattato globale che affronti questo squilibrio e protegga le comunità dai danni causati dal fast fashion”.

L’appello di Greenpeace Africa

Greenpeace Africa chiede azioni immediate e a lungo termine per affrontare la crisi: anzitutto chiede al governo ghanese un divieto di importazione degli scarti, limitando l’import ai soli indumenti che possano essere realmente riutilizzati. Chiede inoltre che i marchi di moda siano responsabili dell’intero ciclo di vita dei loro prodotti, incluso lo smaltimento dei rifiuti e il loro riciclo, nell’ambito di un EPR globale (Responsabilità estesa del produttore).

Al contempo, secondo Quashie-Idun, è necessario che la comunità internazionale supporti lo sviluppo di un’industria tessile sostenibile in Ghana, per arginare il problema dei rifiuti e fornire nuove opportunità economiche al Paese.