Il “formaggio” vegano che non piace al ministero. “Attacco politico”

Il Caseificio Barbara Ferrante è un'azienda del bolognese che produce alimenti veg. Da Roma è arrivata una diffida “per l’uso errato del termine” ma lei replica: "Andremo avanti fino in fondo con questa battaglia legale, diamo la possibilità di nutrirsi senza agonie e senza violenza sugli animali"

di GIULIA DE IESO
6 dicembre 2024
Un caseificio vegano bolognese è stato diffidato dal ministero per aver usato il termine "formaggio" per i suoi prodotti

Un caseificio vegano bolognese è stato diffidato dal ministero per aver usato il termine "formaggio" per i suoi prodotti

Rischiare una multa fino a 30mila euro per aver chiamato i prodotti "formaggi" anche se questi non sono fatti con latte animale. È accaduto al Caseificio Vegano di Barbara Ferrante, azienda del bolognese a gestione familiare che produce, per l'appunto, prodotti vegani.

Lo scorso 27 novembre il Caseificio ha ricevuto una diffida da parte del Ministero dell'Agricoltura per quello che sarebbe l'errato utilizzo del termine "formaggio", con cui indicherebbe le forme di origine vegetale. Inoltre, il Ministero ha trovato ambigue alcune specifiche presenti sul sito dell'impresa, come “solo ingredienti di alta qualità” e “naturalmente senza colesterolo“, perché "non conformi alle normative europee".

Sul sito e sui social del Caseificio sono state tolte tutte le varie denominazioni e i prodotti ora compaiono come “forme”, "termine radicato nella tradizione dell'Emilia-Romagna, che descrive perfettamente il sapore e la consistenza dei nostri alimenti vegetali. Le nostre forme sono un omaggio alla tradizione, ma guardano al futuro, rispettando gli animali e l'ambiente", si legge in una pubblicazione Tiktok dell'azienda. 

@caseificio.vegano Il Caseificio Vegano non si ferma! Nonostante la diffida ricevuta dal Ministero dell’Agricoltura per l’utilizzo della parola “formaxxx”, continuiamo a portare avanti la nostra missione di creare prodotti etici e deliziosi. La multa potrebbe arrivare fino a 100mila euro. Per questo, abbiamo ribattezzato i nostri prodotti con il nome “FORME”, un termine radicato nella tradizione dell’Emilia-Romagna, che descrive perfettamente il sapore e la consistenza dei nostri alimenti vegetali. Le nostre FORME sono un omaggio alla tradizione, ma guardano al futuro, rispettando gli animali e l’ambiente. Ringraziamo tutte le persone che in questo momento ci stanno sostenendo e che con i loro messaggi ci stanno dando la forza per andare avanti! GRAZIE DI CUORE A TUTTI E TUTTE VOI! #vegan ♬ suono originale - Caseificio Vegano

"Ci è arrivata una diffida il 27 (novembre, ndr), nella quale ci intima di non chiamare più i nostri prodotti formaggi vegani e anche alternative vegetali al formaggio. Noi lo stiamo vivendo come un attacco politico perché diamo la possibilità di nutrirsi senza agonie e senza violenza sugli animali e invece questo sistema purtroppo è basato sulla violenza e sul predominio del più forte sul più debole", spiega la proprietaria in un video pubblicato sullo stesso canale. "Noi non ci fermiamo, ci stiamo tutelando e ci siamo tutelati in modo da non ricevere sanzioni perché non ce le possiamo permettere, però andremo avanti fino in fondo con questa battaglia legale perché troviamo questa diffida assolutamente ingiusta e senza senso, perché semplicemente vendiamo prodotti che non hanno violenza sugli animali e lo diciamo chiaro". 

Come si possono chiamare i prodotti di origine vegetale?

La diffida ricevuta dal Caseificio Vegano si rifa al Regolamento (UE) n. 1308/2013, in cui si specifica che termini come “formaggio” sono legalmente riservati ai prodotti lattiero-caseari di origine animale. Neppure specifiche chiaramente riportate, come “alternativa vegetale al formaggio” o “alimento vegetale“, sono ritenute sufficienti per rispettare la normativa.

Sulla denominazione dei prodotti di origine vegetale si apre poi un discorso più ampio, pieno di controversie. In Italia è stato ed è tutt'ora un tema molto caldo: lo scorso anno, ad esempio, venne approvato un ddl che vietava l'utilizzo di nomi come "bistecche", "burger", "polpette" per cibi vegani. Un divieto totalmente opposto rispetto alla posizione della Corte di Giustizia Ue, che lo scorso ottobre ha affermato che questi alimenti possano essere commercializzati e pubblicizzati anche utilizzando i termini sopracitati, a patto che gli ingredienti di origine vegetali vengano chiaramente esplicitati.