Genova, le offrono 100 euro per non abortire: la campagna pro-life punta sulle fragilità

La testimonianza dell’amica di una giovane donna di origini straniere che si è vista rifiutare un’ivg all’ospedale pubblico e poi è stata avvicinata da due attiviste dei Centri per la vita quando si è rivolata a Villa Scassi per ottenere l’aborto

27 maggio 2024
Villa Scassi a Genova

Villa Scassi a Genova

“È gravissimo, vergognoso e semplicemente inaccettabile quanto accaduto a Genova a una giovane che aveva deciso di interrompere la propria gravidanza”.Come non essere d’accordo con il pensiero di Luca Pirondini, senatore genovese del Movimento 5 Stelle, che commenta indignato l’episodio di cui è stata vittima una ragazza che chiedeva l’aborto, a cui non solo è stato rifiutato dall’ospedale, ma quando si è rivolta a una seconda clinica è stata avvicinata da alcune donne che le hanno offerto soldi per rinunciare al suo proposito. 

Cento euro per non abortire, cento euro per portare avanti quella gravidanza evidentemente non desiderata. Tanto vale la sua libertà ad affermare i propri diritti, almeno secondo le attiviste pro vita con cui si è trovata a fare i conti. Ma a ben vedere non solo per loro, ma anche per chi sostiene questa corrente antiabortista sempre più forte, sempre più presente in Italia.

Nessuno, dal governo, ha condannato questa sorta di compravendita fatta sulla pelle di una donna: perché di questo si tratta, si è cercato di comprare il suo corpo intendendolo come mero incubatore di una futura vita, senza tener conto delle volontà della persona, dei suoi desideri, dei suoi diritti. Pensavamo forse che l’onda pro-life si quietasse con l’ingresso nei consultori fissato per legge dal governo Meloni, con la stanza dell’ascolto (dove sottoporre la richiedente a un lavaggio del cervello per farle cambiare idea) o con l’obbligo imposto ad alcune pazienti ad ascoltare il battito del feto prima di interrompere la gravidanza? Che illuse, ci sbagliavamo di grosso. Perché al peggio non sembra ancora esserci fine così come alla campagna di attacchi continui alla legge 194 e a ciò che tutela. 

La notizia sta facendo il giro del web: a raccontarla a Repubblica è stata l’amica della protagonista, che è stata testimone dell’accaduto. A Genova una giovane donna di origine straniera, con alle spalle una storia familiare di vulnerabilità, va all’ospedale Galliera, una struttura pubblica, e qui da un test scopre di essere incinta. Una gravidanza che non vuole, tanto da chiederne l’interruzione. Richiesta che è stata respinta dal personale sanitario perché, testuali parole, “qui non ti possiamo aiutare, certe cose non le facciamo”. Diciamo pure che il rifiuto poteva essere formulato in altro modo, appellandosi all’obiezione di coscienza più che al fatto che l’ospedale pubblico si rifiuti di adempiere a una richiesta legittima di una paziente. Ma tant’è, andiamo avanti.

Il racconto dell’amica: “Volevano approfittarsi della sua fragilità”

La ragazza si rivolge quindi a una clinica privata, Villa Scassi, dove l’accompagna l’amica. Qui, però, “è stata avvicinata da due donne che, dopo averle chiesto a malapena chi fosse e dopo aver scoperto che di figli ne ha già tre, le hanno provato a fare la morale sulle ricadute psicologiche di un’eventuale interruzione. E le hanno offerto 100 euro per non farlo”. 

Insomma le due attiviste dei Centri per la vita sembrano essere lì apposta per scoraggiare tutte coloro che chiedono un aborto ma, stando ancora al racconto della signora che l'accompagnava "L'impressione è che volessero approfittare di una situazione di fragilità facendo leva sul lato economico”.

“Siamo andate via”, continua spiegando poi che il marito della ragazza non sa che questa è incinta “e lei non vuole coinvolgerlo”. Intanto quindi proprio le amiche si sono messe a disposizione sostenere le spese della gravidanza fino all’eventuale aborto della donna.

Le testimonianze 

“Innanzi tutto, si è trovata davanti al rifiuto del Galliera, che è un ospedale pubblico e dovrebbe garantire la pratica. Poi, quando si è recata a Villa Scassi, si è vista offrire cento euro per cambiare idea da alcuni attivisti delle associazioni pro-life”, afferma il senatore Pirondini. Peccato che la clinica neghi di aver autorizzato l’ingresso di rappresentanti di associazioni pro vita. Allora com’è stato possibile che sia successo tutto questo? Che una donna si sia sentita offrire una misera somma di denaro in cambio di una gravidanza indesiderata da portare avanti?

In queste ore poi sui social e sui quotidiani si affollano altre testimonianze di episodi simili, di chi si è vista offrire soldi per rinunciare all’aborto, di chi ha subito veri e propri rimproveri – ma chiamiamoli con il loro nome: violenze psicologiche – da parte dei dottori (“Il medico ha cominciato a sgridarmi, dicendomi che la cosa era seria, che quello era il mio bambino e aveva un battito cardiaco e che stavo occupando il posto di donne con il cancro quando avrei potuto stare più attenta”) e di chi si è vista rispondere alla richiesta di ivg con la proposta di parlarne ai Centri per la vita.

L’attacco costante al diritto di aborto 

Modi succubi di approfittarsi di un momento di fragilità emotiva – non pensiate che chiedere un aborto sia facile! – facendo leva su sensi di colpa, su presunte responsabilità morali o religiose o addirittura sociali, per screditare i diritti sul proprio corpo che una donna ha e che rischia costantemente di perdere. Ancora il politico del M5S genovese: “La vita non è in vendita, così come non lo sono il corpo delle donne, i loro diritti e la loro autodeterminazione. Non passa giorno senza che la Legge 194 venga messa in discussione e che il diritto all'aborto venga intaccato. Evidentemente, quando il governo Meloni ha previsto lo stanziamento di fondi pubblici nel decreto PNRR per permettere alle associazioni pro-life di entrare nei consultori aveva in mente questo genere di comportamento”.

“Noi crediamo che sarebbe più utile, invece, intervenire per garantire il diritto all'interruzione di gravidanza – conclude, e ancora non possiamo che essere d’accordo – ad esempio evitando che ci siano strutture pubbliche che si rifiutano di fare il loro dovere. Continueremo a combattere, nelle Aule parlamentari e nel Paese, perché i diritti delle donne vengano rispettati e per evitare che l'Italia faccia un salto indietro di mezzo secolo”.