Il 22 maggio 1978 la legge 194 entra in vigore. Il testo disciplina le modalità di accesso all’aborto, che prima di allora era considerato un reato. Una vittoria per i movimenti femministi che, seppur con qualche perplessità su certi passaggi della legge, certi articoli, erano riusciti a far conquistare alle donne una possibilità fino a quel momento solo desiderata.
Oggi, 46 anni dopo, quelle stesse perplessità non solo permangono, ma sono diventate strumentali a depotenziare quello che è ormai vissuto come un diritto. Perché la verità è che quello che nel 1978 poteva sembrare un traguardo, nel 2024 non potrebbe essere neppure un punto di partenza per come viene intesa oggi la libertà delle donne. Per fortuna direi.
Emblematica la tranquillità e la fermezza con cui la premier Meloni, fin dall’inizio del suo mandato, ha sempre affermato di non voler cancellare la legge 194, ma di volerla applicare. Un’esternazione probabilmente capita solo dopo, quando alle parole sono seguiti i fatti corrispondenti. In quel momento la sinistra era troppo impegnata a difendere con i denti una legge sbagliata e ormai vecchia, anacronistica, da non rendersi conto della reale direzione che il dibattito stava prendendo. Se ne accorge oggi, con le associazioni pro-vita messe all’interno dei consultori da un emendamento criticato, demonizzato, ma che non fa altro che ricalcare la stessa legge 194.
L’articolo 2, parlando dei consultori, inserisce tra i compiti il contributo “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza”. In che modo lo dice poco dopo: “Sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.
Concetto ribadito dall’articolo 5, dove si dice che il medico “valuta con la donna stessa (...) le circostanze che la determinano a chiedere l'interruzione della gravidanza”. Mentre l’articolo 9 legittima gli obiettori di coscienza.
Questo perché la legge 194 è stata concepita (46 anni fa, ricordiamolo) come alternativa, come possibilità di scelta per le donne laddove esistano rischi per la salute fisica o psichica, sfavorevoli condizioni economiche, sociali o familiari, e ancora malformazioni o anomalie del feto. Vien da sé che una legge nata con queste premesse, in quel periodo storico, concepisca l’aborto come ultima spiaggia, possibilmente da evitare. Da qui la presenza nei consultori e nelle strutture, di figure che hanno il compito quantomeno di provare ad evitare che la donna interrompa la gravidanza. Il ché, in alcuni casi specifici (quando i motivi sono economici ad esempio) potrebbe essere effettivamente un aiuto. In altri, invece, è solo un'invadenza gratuita. E’ questa la differenza che, oggi come allora, i movimenti pro-vita non colgono per loro natura. Nulla di sorprendente. Così come non stupisce il fatto che la destra conservatrice abbia tutta la premura e l’interesse affinché la 194, così com’è, venga applicata alla lettera. Ciò che non si comprende, invece, è perché la sinistra al potere non abbia fatto nulla per cambiarla, aggiornarla, in modo da tutelare, difendere e rendere inattaccabile il diritto all’aborto.