Fino a poco tempo fa la
vulvodinia era un
patologia invisibile, di cui poco si sapeva e ancor meno si parlava, soprattutto perché – riguardando le parti intime – le donne che ne soffrono hanno sempre provato vergogna nel manifestare al mondo i disagi – non pochi e di certo non lievi – che la patologia comporta. Da quando però l'influencer
Giorgia Soleri – accompagnata dall'allora fidanzato, nonché frontman dei Maneskin,
Damiano David – si è recata alla Camera dei Deputati per presentare una
proposta di legge per il riconoscimento della malattia e la sua inclusione nei Lea, i riflettori sulla vulvodinia si sono accesi.
Sintomi e incidenza della vulvodinia
Così come l'interesse pubblico/scientifico su quella che, a tutti gli effetti, è una malattia che
colpisce circa il 10% delle donne, provocando disturbi da non sottovalutare e un abbassamento abbastanza importante della qualità della vita. Le donne che ne soffrono, infatti, non sono “solo” limitate dal punto di vista dell'
attività sessuale, ma anche nella scelta dell'abbigliamento, dello sport da praticare, delle abitudini sociali, con il probabile risultato che, da prettamente fisico, la malattia si trasformi anche in un disagio psicologico. In occasione della
Giornata Internazionale della Vulvodinia abbiamo approfondito la questione con la dottoressa Martina Truppo, psicoterapeuta ad orientamento Sistemico-Relazionale e team leader di Unobravo.
L'11 novembre è la Giornata internazionale della vulvodinia (Fondazione Isal)
Dottoressa Truppo, cos'è la vulvodinia e quali sono i sintomi cui prestare maggiore attenzione? "Si tratta di una malattia neuropatica che può avere un'origine spontanea o provocata, anche se non presenta una causa specifica. La vulvodinia si caratterizza per la presenza di allodinia, ovvero un dolore provocato da uno stimolo che, in condizioni normali, non provocherebbe dolore. Nello specifico, i principali sintomi sono dolore vulvare, prurito, urgenza di urinare, dolore durante i rapporti sessuali, impossibilità di avere rapporti sessuali. Molte pazienti riportano una sensazione pungente alla vulva, come spilli che si conficcano. Altre parlano di pesantezza e costrizione alle pelvi, bruciore e fastidio costanti o anche di piccole lame a intermittenza. La vulvodinia si presenta attraverso forme e intensità diverse per cui è importante coglierne i fastidi per tempo e chiedere supporto a specialisti che, attraverso un semplice swab test, possono effettuare la diagnosi".
A livello fisico, quali sono le possibili conseguenze e i disagi? “Le donne affette da vulvodinia vanno incontro a
situazioni di disagio e dolore in diverse aree della vita. Dall’abbigliamento alla sessualità, si è costrette a cambiare abitudini e ricercare modi nuovi per sentirsi a proprio agio con sé stesse e con gli altri. La zona vulvare è ipersensibile, per cui un banale pantalone stretto in vita o una nuotata in piscina possono rappresentare input per l’aggravamento della patologia. Una paziente mi ha raccontato del fastidio scatenato da un jeans più attillato del solito e del disagio provato durante la serata 'tanto da voler fuggire'. Ci si può ritrovare a mettere da parte alcuni sport, come la corsa o il pilates che sollecitano il pavimento pelvico, o a rivedere il tipo di biancheria intima (pizzo e materiali sintetici infiammano la zona vaginale). Anche stare sedute può rappresentare un problema in quanto il contatto delle pelvi con una superficie dura quale la sedia può irrigidire la zona, provocando dolore. Si comprende, dunque, come anche la socialità, l’intimità e la sfera lavorativa possano essere intaccate da questa malattia".
Martina Truppo, Psicoterapeuta ad orientamento Sistemico-Relazionale e Team Leader di Unobravo
Sicuramente tutto questo provocherà una reazione psicologica non indifferente nelle donne che ne sono affette... "La vulvodinia comporta importanti conseguenze sul piano psicologico e ripercussioni a livello emotivo, che nei casi più gravi includono anche la depressione reattiva. Il vissuto che le donne con vulvodinia riportano con maggiore frequenza è il sentirsi incomprese o additate come 'folli'. Tra le tante storie che ho ascoltato, la tipica frase che ci si sente dire è 'non hai nulla,
è tutto nella tua testa'. Immaginate cosa può significare per chi vive una condizione di dolore costante e assolutamente reale, sentirsi svalutate così. Comune è il pensiero di essere 'difettose' o 'rotte', con ripercussioni sull’immagine di sé stesse e sull’autostima. A livello relazionale, si sperimenta senso di colpa verso il partner e, in alcuni casi, evitamento della sessualità".
Le attività sessuali risulteranno certamente compromesse. In base alla sua esperienza quali sono le reazioni delle donne interessate e quali quelle del partner? "Il dolore provato durante i rapporti può essere più o meno invalidante, talvolta tanto da costringere a fermarsi. È comprensibile come il piacere e il desiderio, normalmente connessi all’attività sessuale, siano inibiti lasciando spazio alla paura e all’evitamento. Ci sono alcune donne che scelgono di continuare l’attività sessuale, nonostante il dolore, provocandosi delle microlesioni che vanno ulteriormente a peggiorare la situazione. Una paziente mi ha raccontato di quanto per lei fosse difficile ammettere di provare dolore per timore che il partner potesse sentirsi rifiutato o disinteressarsi a lei. Altre, invece, optano per una totale astinenza dall’attività sessuale, privando sé stesse e la coppia della sfera intima. Così facendo si va involontariamente ad alimentare la paura del dolore. 'Per lungo tempo ho pensato che eliminato il sesso avrei eliminato il dolore, ma più tempo passava più l’idea di provarci era qualcosa che mi spaventava', riporta una paziente. Per quanto riguarda i partner, anche qui alcuni si mostrano comprensivi e supportivi, mentre altri faticano a capire la patologia, ad empatizzare con la donna, contribuendo a creare delle incomprensioni tali da minacciare il rapporto".
Le donne che soffrono di vulvodinia spesso si sentono dire che "è tutto nella loro testa"
Accanto alle cure farmacologiche e fisioterapiche è dunque consigliabile anche l'affiancamento di uno psicoterapeuta? "Assolutamente sì. Molte donne hanno riscontrato giovamento da un percorso di psicoterapia poiché, grazie all’aiuto di un terapeuta, si può ricevere supporto e cura per quegli aspetti della vita che sono intaccati dalla malattia e imparare a gestirli. La vulvodinia è una di quelle '
malattie invisibili' che, proprio a causa della loro 'poca dimostrabilità' (intesa come identificazione di una causa specifica), arrecano tanta sofferenza in chi le sperimenta. La psicoterapia rappresenta un luogo di ascolto e comprensione in cui la malattia esiste ed è riconosciuta. Bisogna partire proprio da questo, dando valore alle parole delle pazienti e accogliendo il loro vissuto, con tutto ciò che ne consegue. Inoltre, è possibile apprendere tecniche di gestione del dolore e di rilassamento come la mindfulness, che aiutano a rilassare e lasciarsi andare".