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Home » Attualità » Hawaii, non ci sono più ragazze nelle prigioni: se scappavano di casa venivano arrestate

Hawaii, non ci sono più ragazze nelle prigioni: se scappavano di casa venivano arrestate

Anche il numero di giovani in carcere sta diminuendo e lo stato punta a chiudere i centri di detenzione giovanile

Marianna Grazi
31 Luglio 2022
Hawaii ragazze carcere

Lo stato delle Hawaii non ha più ragazze detenute in carcere

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Per la prima volta, non ci sono ragazze incarcerate nello Stato delle Hawaii e il numero di ragazzi è diminuito significativamente negli ultimi dieci anni, ha dichiarato Mark Patterson, amministratore dell’Hawaii Youth Correctional Facility. Questo traguardo fa parte di una tendenza nazionale di sforzi per ridurre i tassi di incarcerazione giovanile e chiudere le carceri giovanili in tutto il Paese. “Quello che sto cercando di fare è porre fine al modello punitivo che abbiamo usato per tanto tempo per i nostri figli, e sostituirlo con un modello terapeutico“, ha detto Patter. “Dobbiamo davvero mettere una bambina in prigione perché è scappata da una casa dove non si sentiva sicura?”. “Un altro mondo è possibile”, ha twittato la deputata statunitense Alexandria Ocasio-Cortez il mese scorso, quando la Commissione statale delle Hawaii sullo status delle donne ha diffuso la notizia.

Lo Stato delle Hawaii apripista nei diritti delle donne

Hawaii ragazze carcere
Lo stato delle Hawaii non ha più ragazze detenute in carcere

“Credo che siamo l’unico Stato del Paese ad aver raggiunto questo notevole obiettivo”, ha dichiarato alla trasmissione Late Night Live la criminologa e professoressa emerita dell’Università delle Hawaii, Meda Chesney-Lind. Ora e Hawaii diventano un modello anche dal punto di vista della detenzione delle minorenni e questo risultato segue una lista impressionante di conquiste per le donne hawaiane: lo Stato insulare è stato il primo a offrire un aborto sicuro e legale nel 1970 e, nel 1972, il primo a ratificare l’emendamento per la parità dei diritti, continua l’esperta.Certo, con una popolazione totale di 1,4 milioni di abitanti, i numeri delle carcerazioni sembrano piccoli, ma in realtà il traguardo raggiunto è davvero significativo: secondo un censimento del 2020, oltre il 21% della popolazione(circa 300mila persone) delle Hawaii è composto da persone di età inferiore ai 18 anni. All’incirca 12 anni fa, lo Stato ha raggiunto l’apice nella carcerazione delle ragazze, con circa 30-40 adolescenti e bambine detenute in strutture per minori. Ma i piccoli numeri non equivalgono necessariamente a piccoli problemi, afferma la dottoressa Chesney-Lind.

Quando scappare dagli abusi in famiglia ti porta in carcere

Mark Kawika Patterson
Mark Kawika Patterson (Ka Wai Ola/Partners in Development Foundation/Jason Lees)

Le strutture giovanili “non sono state spazi sicuri per i ragazzi ma soprattutto per le ragazze”, afferma la criminologa. “Abbiamo avuto uno scandalo dopo l’altro, soprattutto per quanto riguarda le femmine, [come] le violenze sessuali nei loro confronti”. Per alcune giovani, però, anche il ritorno a casa non è un’opzione sicura. “Dobbiamo trovare un altro posto per loro. Ma non è necessario che sia un ambiente chiuso”, prosegue Chesney-Lind. Storicamente, la maggior parte delle minori detenute alle Hawaii sono state incarcerate “per essere scappate di casa“, spesso dopo essere sfuggite ad abusi. In alcuni Stati USA, tra cui le Hawaii, la fuga dall’abitazione di famiglia è considerata un “reato di stato“, che diventa una violazione della legge quando è commesso da un minore.
La mancanza di un tetto sulla testa a sua volta può portare a “commettere reati minori come il taccheggio”, per avere cibo da mangiare, o a “entrare in circostanze pericolose [come] la prostituzione minorile per ottenere il denaro necessario alla sopravvivenza”.

Niente porte di metallo, niente serrature

Secondo Meda Chesney-Lind le modifiche legislative promosse dal giudice Mark Browning “hanno davvero reinventato la giustizia minorile” nelle Hawaii, rendendo più difficile la reclusione dei giovani per reati minori. Il giudice, inoltre, “ha fatto intervenire esperti nazionali per aiutare lo Stato a capire quanto fosse costosa questa forma detentiva”, cosa che la professoressa descrive come una “mossa politica intelligente”. L’esperta, infine, attribuisce gran parte del successo a Mark Kawika Patterson, amministratore dell’Hawaii Youth Correctional Facility, centro di correzione a lunga permanenza per i minori. Patterson ha lavorato “incredibilmente sodo” per abbassare il numero di detenuti minorenni nelle carceri e negli ultimi 20 anni della sua carriera il suo principio guida è stato un approccio terapeutico, piuttosto che punitivo. In questo periodo è stato spesso invitato dai giudici a mettere in prigione le ragazze “per la loro sicurezza”. Ma lui si è sempre opposto: “Direi che siamo stati progettati (come centro) per la sicurezza pubblica, non per la loro sicurezza”, dice.
Il fatto di essere un nativo hawaiano lo motiva; da tempo desidera “avere un’influenza positiva” sulla sua comunità e ha cercato di “entrare nel sistema e diventarne un leader  a beneficio della nostra gente qui”. Si è adoperato per dirottare i giovani verso alternative basate sulla comunità invece che sulla detenzione.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Per la prima volta, non ci sono ragazze incarcerate nello Stato delle Hawaii e il numero di ragazzi è diminuito significativamente negli ultimi dieci anni, ha dichiarato Mark Patterson, amministratore dell'Hawaii Youth Correctional Facility. Questo traguardo fa parte di una tendenza nazionale di sforzi per ridurre i tassi di incarcerazione giovanile e chiudere le carceri giovanili in tutto il Paese. "Quello che sto cercando di fare è porre fine al modello punitivo che abbiamo usato per tanto tempo per i nostri figli, e sostituirlo con un modello terapeutico", ha detto Patter. "Dobbiamo davvero mettere una bambina in prigione perché è scappata da una casa dove non si sentiva sicura?". "Un altro mondo è possibile", ha twittato la deputata statunitense Alexandria Ocasio-Cortez il mese scorso, quando la Commissione statale delle Hawaii sullo status delle donne ha diffuso la notizia.

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Hawaii ragazze carcere
Lo stato delle Hawaii non ha più ragazze detenute in carcere
"Credo che siamo l'unico Stato del Paese ad aver raggiunto questo notevole obiettivo", ha dichiarato alla trasmissione Late Night Live la criminologa e professoressa emerita dell'Università delle Hawaii, Meda Chesney-Lind. Ora e Hawaii diventano un modello anche dal punto di vista della detenzione delle minorenni e questo risultato segue una lista impressionante di conquiste per le donne hawaiane: lo Stato insulare è stato il primo a offrire un aborto sicuro e legale nel 1970 e, nel 1972, il primo a ratificare l'emendamento per la parità dei diritti, continua l'esperta.Certo, con una popolazione totale di 1,4 milioni di abitanti, i numeri delle carcerazioni sembrano piccoli, ma in realtà il traguardo raggiunto è davvero significativo: secondo un censimento del 2020, oltre il 21% della popolazione(circa 300mila persone) delle Hawaii è composto da persone di età inferiore ai 18 anni. All'incirca 12 anni fa, lo Stato ha raggiunto l'apice nella carcerazione delle ragazze, con circa 30-40 adolescenti e bambine detenute in strutture per minori. Ma i piccoli numeri non equivalgono necessariamente a piccoli problemi, afferma la dottoressa Chesney-Lind.

Quando scappare dagli abusi in famiglia ti porta in carcere

Mark Kawika Patterson
Mark Kawika Patterson (Ka Wai Ola/Partners in Development Foundation/Jason Lees)
Le strutture giovanili "non sono state spazi sicuri per i ragazzi ma soprattutto per le ragazze", afferma la criminologa. "Abbiamo avuto uno scandalo dopo l'altro, soprattutto per quanto riguarda le femmine, [come] le violenze sessuali nei loro confronti". Per alcune giovani, però, anche il ritorno a casa non è un'opzione sicura. "Dobbiamo trovare un altro posto per loro. Ma non è necessario che sia un ambiente chiuso", prosegue Chesney-Lind. Storicamente, la maggior parte delle minori detenute alle Hawaii sono state incarcerate "per essere scappate di casa", spesso dopo essere sfuggite ad abusi. In alcuni Stati USA, tra cui le Hawaii, la fuga dall'abitazione di famiglia è considerata un "reato di stato", che diventa una violazione della legge quando è commesso da un minore. La mancanza di un tetto sulla testa a sua volta può portare a "commettere reati minori come il taccheggio", per avere cibo da mangiare, o a "entrare in circostanze pericolose [come] la prostituzione minorile per ottenere il denaro necessario alla sopravvivenza".

Niente porte di metallo, niente serrature

Secondo Meda Chesney-Lind le modifiche legislative promosse dal giudice Mark Browning "hanno davvero reinventato la giustizia minorile" nelle Hawaii, rendendo più difficile la reclusione dei giovani per reati minori. Il giudice, inoltre, "ha fatto intervenire esperti nazionali per aiutare lo Stato a capire quanto fosse costosa questa forma detentiva", cosa che la professoressa descrive come una "mossa politica intelligente". L'esperta, infine, attribuisce gran parte del successo a Mark Kawika Patterson, amministratore dell'Hawaii Youth Correctional Facility, centro di correzione a lunga permanenza per i minori. Patterson ha lavorato "incredibilmente sodo" per abbassare il numero di detenuti minorenni nelle carceri e negli ultimi 20 anni della sua carriera il suo principio guida è stato un approccio terapeutico, piuttosto che punitivo. In questo periodo è stato spesso invitato dai giudici a mettere in prigione le ragazze "per la loro sicurezza". Ma lui si è sempre opposto: "Direi che siamo stati progettati (come centro) per la sicurezza pubblica, non per la loro sicurezza", dice. Il fatto di essere un nativo hawaiano lo motiva; da tempo desidera "avere un'influenza positiva" sulla sua comunità e ha cercato di "entrare nel sistema e diventarne un leader  a beneficio della nostra gente qui". Si è adoperato per dirottare i giovani verso alternative basate sulla comunità invece che sulla detenzione.
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