Iran, Narges Mohammadi assente a processo: ha accusato gli agenti di aggressioni sessuali sulle detenute

L’attivista 52enne, Premio Nobel per la Pace 2023, ha raccolto decine di testimonianze di molestie e abusi subiti dalle prigioniere del carcere di Evin e non solo. Aveva chiesto che l’udienza si svolgesse pubblicamente, appoggiata da altre prigioniere politiche

8 giugno 2024
Narges Mohammadi

Narges Mohammadi

Non era in aula, oggi, quando i giudici del Tribunale Rivoluzionario di Teheran hanno discusso del suo caso: l’attivista iraniana Narges Mohammadi, 52 anni, premio Nobel per la Pace 2023 e in carcere dal 2021, si è rifiutata di partecipare all'udienza del nuovo processo

Un processo che prende il via dalle accusa che lei stessa ha mosso contro le forze di sicurezza della Repubblica islamica, colpevoli di aver aggredito sessualmente delle detenute. Lo ha riferito in un post su X (già Twitter) l’avvocato della donna, Mostafa Nili. “L'udienza della signora Narges Mohammadi si è tenuta oggi, presso la 29ma sezione del Tribunale rivoluzionario di Teheran senza che la stessa fosse presente", ha scritto l'avvocato.

Difensora dei diritti umani, reclusa nella prigione di Evin della Capitale iraniana dal novembre 2021 (con una condanna a 31 anni complessivi di prigione) da dove continua a ispirare migliaia di persone nella lotta contro il regime oppressivo, è stata ripetutamente condannata e incarcerata negli ultimi 25 anni per essersi opposta al velo obbligatorio per le donne e alla pena di morte. Lo scorso 22 aprile Mohammadi è stata ulteriormente incriminata per presunte "false dichiarazioni".

L’udienza di oggi, 8 giugno, riguarda l’imputazione per “propaganda contro il regime” che la vicedirettrice del Centro difensori dei diritti umani (Drhc) avrebbe fatto denunciando le molestuie subite dalle detenute da parte degli agenti.

Tramite le sporadiche comunicazioni con l’esterno che riesce a fare, soprattutto col marito e i due figli che vivono a Parigi, una settimana fa circa aveva chiesto che “il falso processo” – perché tale di fatto è, non avendo alcuna possibilità di difendersi – venisse perlomeno fatto pubblicamente, alla presenza di media indipendenti, in modo che “testimoni e superstiti possano raccontare le aggressioni sessuali commesse dal regime della repubblica islamica contro le donne” nella carceri.

A sostenerla e a sottoscrivere la sua richiesta, questa volta, sono state anche decine di prigioniere politiche, tutte rinchiuse nel carcere di Evin. Mohammadi non è sola, e lo sa: sul profilo Instagram ufficiale della Premio Nobel si legge che le detenute che hanno scelto di metterci la faccia – rischiando una durissiam repressione –, come forma di solidarietà, sono 36. La questione delle aggressioni e delle molestie sessuali sta molto a cuore all’attivista, tanto che dalle testimonianze raccolte tra le compagne all’interno dei penitenziari in cui è stata rinchiusa in oltre 10 anni ha scritto un libro, “Più ci rinchiudono, più diventiamo forti” (Mondadori), uscito nelle scorse settimane in Italia.