In questi giorni gli occhi del Regno Unito, ma non solo, sono puntati su Kate Middleton. Cosa ha? Perché non si mostra in pubblico? Come mai quella foto ritoccata? Sono solo alcune delle domande che in molti si sono posti, non vedendola più in pubblico.
A breve, o almeno così è stato annunciato, sarà la stessa principessa del Galles a parlare delle sue condizioni di salute, sciogliendo così molti dubbi. Prima di questo, però, c’è chi ha parlato per lei facendo uscire indiscrezioni, nel tentativo di rispondere alle domande, su una possibile ileostomia. Ovvero un’operazione chirurgica che consiste nella deviazione dell’ileo verso un’apertura effettuata sull’addome, che sostituisce l’ano. L’espulsione delle feci, quindi, avviene verso questa apertura, raccolte in un sacchetto esterno. Il che spiegherebbe l’allontanamento dai riflettori, “per non metterla in imbarazzo” si è ipotizzato.
Su questo vorremmo soffermarci. Sulla vergogna che si prova, ancora oggi, all’idea di mostrarsi in pubblico in un certo modo. Sullo stigma di certe malattie e sulle conseguenze che esse hanno sulla vita di tutti giorni e quindi sulle ricadute psicologiche. Per farlo, abbiamo chiesto aiuto alla dottoressa Simona Ceccanti, dirigente psicologa - UOC psicologia della continuità ospedale e territorio, che lavora a Livorno.
L’intervista all'esperta
Dottoressa è così? C’è un senso di vergogna e imbarazzo che accompagna determinate patologie?
”Assolutamente sì. Tutte le patologie che comportano cambiamenti a livello fisico possono avere riflessi sulla percezione di noi stessi, quindi forti sentimenti di vergogna. Come ad esempio nelle patologie oncologiche, con la perdita di capelli in seguito alle terapia. L’immagine diversa di noi stessi allo specchio può portare ad una forte perdita del nostro senso d’identità, che si traduce in vergogna rispetto agli altri. C’è una maggiore vulnerabilità che facciamo fatica a mostrare, anche ad accettare a volte”.
L’ileostomia è emblematica. Quali sono le ricadute sulla vita di una persona costretta a camminare con un sacchetto per le feci?
“Dipende se l’intervento chirurgico è permanente oppure no. In ogni caso ci sono problematiche che vanno dal dover nascondere il sacchetto sotto gli abiti, dal timore che certi interventi producano cattivo odore, ricadute nella vita intima e anche sociale, il fatto di dover prestare accorgimenti, cambiarsi in un luogo pubblico. Attività che richiedono cambiamenti nella routine quotidiana, ma anche un diverso approccio con il proprio corpo. Corpo che noi diamo per scontato, ma che in questi casi non è più quello che conoscevamo, richiede ausili e attenzioni che non ci saremmo aspettati di dover avere. Soprattutto nei giovani può creare grosse problematiche, nella vita di coppia o anche nella ricerca di un partner”.
Basta narrazioni sbagliate e fuorvianti
A livello ospedaliero c’è un supporto psicologico in questi casi, ma a livello sociale cosa possiamo fare per alleviare questo imbarazzo?
“Beh, spesso anche l’informazione gioca un ruolo fondamentale. Pensiamo al cancro, alla narrazione che viene fatta dai media, spesso distante dalla realtà che il malato vive. Spesso vediamo campagne di sensibilizzazione che fanno riferimento alla tematica della battaglia: il paziente viene declinato come un guerriero che combatte e possibilmente sconfigge la malattia. Magari l’obiettivo è nobile, ma questo tipo di narrazione può avere un risvolto negativo. Molti malati si sentono tutto tranne che guerrieri, in loro si possono quindi suscitare sentimenti di inadeguatezza, smarrimento, impotenza. Possono non sentirsi all’altezza di questa battaglia”.
E’ come se dicessimo a chi soffre come deve vivere il proprio dolore e la propria salute.
“Fare i conti con questo tipo di cambiamento richiede del tempo, che le persone devono imparare a darsi e che deve essere concesso dai amici e parenti. E’ bene comprendere che il percorso di accettazione non è banale, non è scontato e non è automatico. Qualsiasi tipo di intervento che comporta una menomazione richiede del tempo per riscoprire il proprio corpo, per ricominciare a volersi bene. E’ una sorta di lutto e come tale richiede del tempo per poterci fare pace”.
L’outing dei personaggi pubblici
L’attenzione mediatica riservata a un personaggio pubblico, come Kate Middleton, di certo non aiuta.
“Beh, loro hanno sicuramente dei privilegi nella cura che noi non abbiamo, ma questa esposizione mediatica – che è il rovescio della medaglia – per certi aspetti va ad aggravare la possibilità di potersi prendere il tempo che le serve. Un personaggio pubblico non ha tempo, non gli viene concesso”.
Dall’altra parte, però, un’eventuale esposizione potrebbe aiutare chi vive la malattia lontano dai riflettori, in privato, magari nell’isolamento.
“Certo, parlarne aiuta. Gli outing dei personaggi pubblici possono essere molto utili soprattutto se sono aperture che non vanno nella direzione della mitizzazione, ma nella direzione dell’umanizzazione. Fa capire che la vulnerabilità è umana, non c’è da vergognarsi, se ne può parlare. Anche in questo caso, se il personaggio pubblico si mostra come un guerriero la comunicazione può avere risvolti anche negativi, perché mette l’accento sull’elemento della forza, e non sulla normalità del sentirsi fragili. Prendiamo Gianluca Vialli, lui ne ha parlato con una dimensione umana, con un modo in cui molte più persone si sono potute riconoscere e questo avrà aiutato tante persone ad aprirsi al mondo, senza nascondersi”.