Licenziato per una bestemmia, in uno Stato laico è accettabile?

E' giusto essere licenziati per una bestemmia? Secondo i sindacati (e non solo) è ingiustificato: "Se ci fosse stato l’articolo 18 non sarebbe accaduto. Anche la Chiesa è contro i licenziamenti"

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
5 dicembre 2023
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“Le parole sono importanti”, inveiva Nanni Moretti a bordo piscina in un “Palombella rossa” che ha fatto epoca e cultura. A volte, però, lo è più la vita delle persone, verrebbe da aggiungere in queste ore. La notizia del cinquantacinquenne licenziato dal call center in cui lavorava per aver bestemmiato sta facendo il giro del web e dell’Italia, dividendola - neanche a dirlo - tra favorevoli e contrari.

Al di sopra di ogni legittima opinione, c’è però lui, il contratto collettivo nazionale, che non ammette fraintendimenti: il licenziamento è ingiustificato.

Ci sarebbe da chiedersi, poi, se in uno Stato laico (o che almeno così si definisce) sia giusto essere licenziati per questo motivo e se, in circostanze come queste, sia concepibile rifarsi concettualmente a un quadro giuridico risalente al 1930. Ma facciamo un piccolo passo indietro..

Bestemmia in ufficio, licenziato

Per i pochi che non sono ancora venuti a conoscenza dei fatti, è utile un breve recap: un lavoratore di un call center, nel bel mezzo di un malfunzionamento delle strumentazioni necessarie per svolgere le proprie mansioni, tra sé e sé si è lasciato andare a un’esternazione infelice. Una bestemmia di certo non rivolta a un cliente né tantomeno a colleghi o superiori. Un’imprecazione a voce alta che, seppure di certo evitabile, non aveva destinatari diretti.

Ad assistere all’accaduto è stato uno degli emissari di Hera, azienda appaltante che ha affidato a Covisian la gestione del call center. La bestemmia pare abbia turbato la sua sensibilità a tal punto da segnalare l’accaduto ai superiori che, senza pensarci troppo, hanno provveduto al licenziamento. A nulla sono valse le scuse del lavoratore e il suo pentimento. Il vaso ormai pareva essere irrimediabilmente rotto, a dispetto di ciò che il contratto nazionale prevede e del fatto che il comma A dell’articolo 48 a cui l’azienda fa riferimento non comprende in alcun modo la circostanza descritta.

Una situazione che ha già un precedente, che finirà in tribunale e che, senza timore di essere smentiti, non lascia intravedere all’orizzonte il reintegro. Senza articolo 18, anche qualora il procedimento desse ragione al lavoratore, la faccenda finirebbe con un indennizzo abbastanza esiguo e nulla più. Per fare luce sulla questione, ne abbiamo parlato con Antonio Rossa, segretario generale SLC (sindacato lavoratori della comunicazione) della CGIL di Bologna, e Gianluca Barletta, funzionario sindacale SLC - CGIL di Bologna.

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Licenziato per una bestemmia: il presidio di solidarietà (foto Schicchi)

"Provvedimento ingiustificato"

Antonio Rossa non ci gira troppo intorno: “Ho 61 anni e da parecchio tempo investo energie e tempo nel sindacato. Mai avrei pensato di dover fare i conti con una situazione del genere. Licenziare per una bestemmia è inaccettabile e ingiustificato. Qualora l’azienda avesse deciso di intervenire, avrebbe dovuto ricorrere allo strumento della sanzione. Decidere di mandare a casa una persona di più di cinquant’anni e che da trenta lavora nel settore solo per aver imprecato tra sé e sé è fuori da ogni logica.

Come sindacato, ci siamo attivati subito per chiedere il reintegro immediato. I termini scadranno domani e abbiamo davvero pochissime speranze che la richiesta venga accolta. Ovviamente, siamo pronti, con l’accordo del lavoratore, a intentare tutti i procedimenti necessari allo scopo di fare giustizia. Nel frattempo, gli stiamo garantendo l’accesso alle misure di sostegno previste in queste circostanze.

Oggi stesso, procederemo all’attivazione della NASPI che, seppur esigua, rappresenterà una fonte di sostentamento. Il futuro, però, è tutt’altro che roseo. A cinquantacinque anni trovare una nuova collocazione è assai difficile e l’articolo 18 non lascia spazio a dubbi: gli assunti dopo il 2015 non hanno diritto al reintegro anche nel caso in cui venga riconosciuta loro la ragione in caso di impugnazione del licenziamento. In buona sostanza, anche qualora il lavoratore dovesse spuntarla, tornerà a casa senza lavoro e con appena qualche euro in più sul conto corrente.”

Lo sciopero fino a domenica

Per dimostrare sostegno al lavoratore e a tutta la categoria - notoriamente sottoposta a stress e frequenti episodi di burnout – i sindacati uniti hanno dichiarato lo sciopero permanente fino a domenica e picchetti in giro per il territorio, affinché quella di Covisian non si trasformi in una prassi “del terrore”. Non solo: CGIL torna a squarciare il velo sulla necessità di reinserire l’articolo 18 a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori licenziati ingiustamente.

A questo proposito, il funzionario Gianluca Barletta non ha dubbi: “Se ci fosse stato l’articolo 18 non staremmo neanche a parlare della questione. All’azienda, infatti, non sarebbe affatto convenuto avviare un simile procedimento per poi avere torto in tribunale e dover reintegrare il lavoratore. Con la legislazione attuale, invece, con qualche spicciolo riesce a liberarsi di personale che, magari, non fa più al caso delle esigenze aziendali senza dover dare troppe spiegazioni.

Sì, perché ai nostri occhi appare del tutto impossibile che Covisian non sia consapevole che quello “per bestemmia” è un licenziamento ingiustificato che non potrà trovare riscontro in tribunale. Una presunta malafede che trova spazio e casa nelle maglie di un Job’s act che fa sentire forte il suo morso e non lascia scampo a nessuno. E, sia chiaro, a pensar male non si fa peccato, se si considera che poco fa una lavoratrice ultra-cinquantenne è stata licenziata da Covisian per una circostanza simile a quella attuale, dimostratasi poi non punibile con licenziamento, e indennizzata con una cifra del tutto irrisoria.

Una beffa che ha un profilo importante e che deve vedere tutte e tutti mobilitarsi per fare in modo che il ripristino dell’articolo 18 non resti solo uno slogan. Come CGIL ci siamo e saremo e i presidi di questi giorni dimostrano che in tante e tanti saranno al nostro fianco.”

Il caro vecchio articolo 18

Una questione politica grande quanto tutta l’Italia, dunque. Che parte da Covisian e arriva dritta nelle stanze dei bottoni, quelle in cui, troppo spesso, ci si dimentica del Paese reale e si inseguono facili consensi elettorali. Quella dell’articolo 18 è una faccenda complessa e controversa, che da Renzi in poi ha trovato tanto spazio nei dibattiti e troppo poco nelle aule. I recenti fatti dimostrano che serve una presa di posizione chiara, pena un far west lavorativo che di certo non ci possiamo permettere.

La CGIL di Bologna ha chiamato in causa anche la Chiesa, ricordando che Papa Francesco in persona ha dichiarato di considerare la decisione di togliere il lavoro un peccato. Chissà che, ancora una volta, il Papa "progressista" non decida di fare la propria parte e di assolverlo.