Quante volte, al giorno d'oggi, sentiamo la frase “è calata la natalità in Italia”?. Sicuramente tante. E per capire i motivi di questo calo e delle sue motivazioni, ci rifacciamo ai dati contenuti nella nona edizione del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia” di Save the Children –l’organizzazione non governativa che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro –, pubblicato a pochi giorni dalla Festa della Mamma, che traccia un bilancio delle infinite sfide che le donne in Italia devono affrontare quando scelgono di diventare mamme.
Il calo della natalità
Come possiamo notare dal rapporto, nel 2023 si è registrato un nuovo minimo storico delle nascite in Italia, ormai stabilmente ferme sotto le 400mila unità, con un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente. Le donne scelgono di non avere figli o ne hanno meno di quanti ne vorrebbero: nella popolazione femminile in età fertile, convenzionalmente definita tra i 15 e i 49 anni, il numero medio di figli per donna, infatti, è di 1,20, mostrando una flessione rispetto al 2022 (1,24). Molto lontano dal dato del 2010, quando il numero medio di figli per donna aveva raggiunto il massimo relativo registrato nell'ultimo ventennio, pari a 1,44.
L'Italia è anche il Paese europeo con la più alta età media delle donne al momento della nascita del primo figlio (31,6 anni), con una percentuale rilevante di primi nati da mamme over 40 (8,9%, tasso inferiore solo a quello della Spagna). L'età media delle madri al parto invece rimane quasi invariata rispetto all'anno precedente (32,5 anni nel 2023 e 32,4 nel 2022).
Lo svantaggio delle donne nel lavoro
Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, i dati rivelano che più aumenta la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, più aumenta il tasso di fecondità. Un elemento da tenere in debita considerazione, in un mercato del lavoro che sconta ancora un gap di genere fortissimo. Dai dati del Rapporto, emerge che in Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell'Unione Europea (65,8%) di ben 13 punti percentuali.
La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello EU27 (9,4 punti percentuali) e seconda, di pochissimo, solo alla Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Per le donne, il tema del bilanciamento tra lavoro e famiglia rimane critico per chi nella propria famiglia svolge un lavoro di cura non retribuito.
Una spia delle difficoltà, che le madri affrontano nel conciliare impegni familiari e lavorativi, è rappresentata dal numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni: a fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%). Al contrario, per gli uomini della stessa età, il tasso di occupazione totale è dell'83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.
Le disparità territoriali
Inoltre, si registrano marcate disparità territoriali, a danno delle regioni del Sud d'Italia dove per le donne, l'occupazione si ferma al 48,9% per coloro senza figli (sono il 79,8% al nord e 74,4% al centro) e scende al 42% in presenza di figli minori arrivando al 40% per le donne con due o più figli minori (al nord sono il 73,2% e al centro 68,3%). Medesime disparità si notano anche per gli uomini, anche se con valori diversi: nel meridione gli uomini senza figli occupati arrivano al 61,5%, (sono 86,7% al Nord e 81,3%, al Centro), mentre quelli con figli minori raggiungono l'82,8% (96,7% al Nord e 94,5% al Centro).
Dimissioni volontarie post genitorialità
Anche guardando ai dati delle dimissioni volontarie post genitorialità è evidente come la nascita di un figlio influisca sulla disparità di genere nel mondo del lavoro. A dimettersi sono principalmente le madri, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Nel corso del 2022 , infatti, sono state effettuate complessivamente 61.391 convalide di dimissioni volontarie per genitori di figli in età 0-3 in tutto il territorio nazionale, in crescita del 17,1% rispetto all'anno precedente. Il 72,8% del totale (pari a 44.699) riguarda donne, mentre il 27,2% riguarda uomini (pari a16.692), con una crescita maggiore di quelle femminili rispetto all’anno precedente.
La difficoltà nel conciliare lavoro e cura del bambino
E, anche per quest'anno, nelle motivazioni tra uomini e donne per le convalide, emerge una differenza significativa. Per le donne, infatti, quella principale è la difficoltà nel conciliare lavoro e cura del bambino/a: il 41,7% ha attribuito questa difficoltà alla mancanza di servizi di assistenza, mentre il 21,9% ha indicato problematiche legate all'organizzazione del lavoro. Complessivamente, le sfide legate alla cura rappresentano il 63,6% di tutte le motivazioni di convalida fornite dalle lavoratrici madri. Per gli uomini, invece, la motivazione predominante è di natura professionale: il 78,9% ha dichiarato che la fine del rapporto di lavoro è stata dovuta a un cambio di azienda e solo il 7,1% ha riportato esigenze di cura dei figli.
"Le madri nel nostro Paese sono ancora troppo in affanno"
E sulla situazione del calo delle nascite non poteva mancare il commento di Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia, che ha messo in evidenza come un inversione di tendenza sia necessaria: "In Italia si parla molto della crisi delle nascite, ma non si dedica sufficiente attenzione alle condizioni concrete di vita delle mamme, 'equilibriste' di oggi, sulle quali grava la quasi totalità del lavoro di cura. Un Paese nel quale le madri sono ancora troppo in affanno, ancora diviso tra Nord e Sud, con regioni più o meno accoglienti per le donne con figli. Occorre intervenire in modo integrato su più livelli. Oggi la nascita di un bambino rappresenta nel nostro Paese uno dei principali fattori di impoverimento. Bisogna sanzionare ogni forma di discriminazione legata alla maternità, rendere obbligatorio il family audit e promuovere l’applicazione piena della legge sulla parità di retribuzione.
Occorre, inoltre, assicurare ai nuovi nati l'accesso ai servizi educativi per la prima infanzia così come alle cure pediatriche. Gli esempi europei ci sottolineano come, affinché le riforme abbiano un effetto positivo sul benessere delle famiglie, e quindi indirettamente anche sulla fecondità esse debbano essere stabili. Le frequenti riforme e inversioni delle politiche familiari le rendono imprevedibili, poco affidabili e confuse, con un impatto potenzialmente negativo sulle famiglie e sulle donne in particolare".
La differenza di essere mamma in Europa e in Italia
L'ultimo aspetto sul quale vogliamo soffermarci è la differenza tra le madri in Europa e quelle in Italia. Le sfide della denatalità e dell'invecchiamento della popolazione hanno visto diversi Paesi attuare riforme significative nelle loro politiche a sostegno delle famiglie. Dal 2019, infatti, più del 60% dei governi a livello globale (124 su 197 Paesi o aree) ha adottato politiche volte a influenzare il livello della fecondità, mentre altri 19 governi hanno mirato a mantenere il livello della fecondità. Un numero crescente di Paesi (55) sta adottando misure pro-nataliste. Nel rapporto di Save the Children, si analizzano in particolare 4 Paesi: Francia, Finlandia, Germania e Repubblica Ceca.
Dal 2000 ad oggi, la Francia è l'unico Paese europeo rimasto stabilmente vicino alla soglia di due figli per donna, benché dal 2015 il Paese abbia visto gradualmente scendere il suo tasso di fecondità, con un'eccezione tra il 2020 e il 2021 quando il numero medio di figli per donna è tornato a crescere, e nel 2022 si attesta su 1,79 figli per donna. Il suo approccio è incentrato su un articolato sistema di sostegno finanziario alle famiglie e sulla garanzia di accesso a servizi per l'infanzia di qualità e tarati su diverse esigenze familiari.
La Finlandia, pur avendo registrato una flessione nell'andamento demografico nel corso del 2022, ha sperimentato tra il 2019 e il 2021 una netta ripresa del tasso di natalità. Il Paese ha adottato nel 2022 una delle riforme sul congedo più innovative d’Europa, che prevede l'allocazione simmetrica delle quote di congedo per ciascun genitore, con la possibilità di trasferire parte della quota all'altro genitore, un congedo parentale complessivamente più lungo e una maggiore flessibilità nell'utilizzo. L'accesso ai servizi per la prima infanzia è inoltre garantito ad una percentuale di bambini molto elevata, soprattutto nella fascia tra i 2 e i 3 anni (69,6%).
In Germania il tasso di fecondità è aumentato tra il 2020 e il 2021, ma ha avuto un drastico calo di nuovo nel 2022, passando da 1,58 a 1,46 figli per donna. Qui, oltre al supporto economico per i figli e la possibilità di usufruire di un congedo parentale part-time mentre si lavora per il resto del tempo compensando così la perdita di reddito al 67%, i bambini a partire da 1° anno di età hanno diritto a un posto in un asilo nido o in un servizio simile.
Infine, la Repubblica Ceca dal 2011 ha progressivamente aumentato il tasso di fecondità, fino ad arrivare a 1,83 figli per donna nel 2021; nel 2022 come e più che negli altri Paesi europei, anche qui il tasso è tornato a scendere. Il Paese, con un tasso di partecipazione ai servizi per l'infanzia 0-2 anni del 6% nel 2020, ha privilegiato un modello di cura tradizionale, favorendo lunghi periodi di astensione dal lavoro delle madri.
Nel frattempo, il nostro Paese registrava tassi di fecondità costantemente sotto 1.5 con una flessione iniziata nel 2007 e mai interrottasi (se non per 1 punto decimale tra il 2020 e il 2021).
"Il supporto alla genitorialità è aumentato"
Ed è proprio su quest'ultimo tema che è intervenuta Antonella Inverno, Responsabile Ricerca e Analisi Dati di Save the Children Italia: "In Italia, nonostante negli ultimi anni si sia passati da strumenti estemporanei a politiche strutturali come ad esempio con l'Assegno Unico, il rischio di misure una tantum pensate ad hoc per specifici target, come le famiglie numerose o le lavoratrici dipendenti, rimane alto. La buona notizia è che rispetto al 2022 i divari territoriali sono diminuiti e nella speciale classifica stilata dall’Istat per il nostro Indice delle Madri la distanza tra la Basilicata, l’ultima della lista, e la Provincia autonoma di Bolzano, la regione con le migliori performance, è diminuita di 7 punti.
Anche il valore complessivo dell'Italia come sistema Paese è aumentato, segno di una maggiore consapevolezza sul tema del supporto alla genitorialità dopo anni di dibattito pubblico. In questa direzione va anche il recente provvedimento che finanzia più di 63mila posti nella rete dei servizi educativi all'infanzia, anche se non siamo ancora agli obiettivi fissati inizialmente dal PNRR. Non bisogna abbassare il livello dell'attenzione, anche perché rispetto alla condizione delle mamme permangono forti disparità soprattutto tra il Sud e il Nord del Paese".
Le principali novità legislative nel 2024
Ma, dopo avervi snocciolato tutti questi dati, veniamo adesso ai principali servizi e alle più importanti politiche a sostegno della maternità. La nuova legge di bilancio 2024 introduce alcuni interventi mirati in questi ambiti, proseguendo la linea di indirizzo già intrapresa l'anno precedente, con un focus sui congedi parentali e uno sugli sgravi fiscali delle lavoratrici e madri.
Per sostenere le lavoratrici madri, quest'ultimo provvedimento prevede, per il triennio 2024-2026, un esonero totale della quota di contribuzione previdenziale a carico delle lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato, madri di tre o più figli, fino al diciottesimo anno di età del figlio più piccolo nel limite di 3mila euro annui. Solo per il 2024, lo stesso esonero è riconosciuto anche alle lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato madri di due figli, fino al decimo anno di età del figlio più piccolo. Questa agevolazione, definita "Bonus mamme" , si applica a tutti i contratti di lavoro a tempo indeterminato, sia esistenti che futuri durante il periodo di validità dell'esenzione, sia nel settore pubblico che in quello privato, compreso l'agricolo, escludendo i rapporti di lavoro domestico. La platea complessiva si compone circa di 681mila lavoratrici , che scenderanno a poco più di 100 mila dopo il 2024.
Un altro trasferimento statale diretto alle famiglie che mandano i bambini al nido è il bonus asilo nido, erogato a rimborso delle spese sostenute per la frequenza in un servizio pubblico o privato. Nel 2021, i beneficiari del bonus sono stati oltre 358mila, per un totale di oltre 420 milioni di euro, anche grazie all'incremento dell'importo massimo erogabile (fino a 3.000 euro), introdotto a partire dal 2020, che ha portato gli importi medi annui per beneficiario a 1.184 euro (erano di 736 euro nel 2020 e 832 euro nel 2019). Nel 2022, i beneficiari sono aumentati a circa 425 mila, con il 53% dei bambini beneficiari che ha frequentato un nido pubblico, il restante 47% un nido privato, percentuale che nel Mezzogiorno risultava del 67% . Dal 2024, come previsto dalla legge di bilancio, il massimo erogabile è stato portato a 3.600 euro, per le famiglie al cui interno è presente almeno un (altro) figlio minore di dieci anni e che presentano un ISEE minorenni fino a 40.000 euro.
Relativamente alle misure legate alla Legge di bilancio 2024, dobbiamo accennare a due decisioni peggiorative nella condizione delle madri: la prima è quella che riporta al 10% l'IVA sugli assorbenti, tamponi e coppette mestruali e soprattutto sui pannolini per bambini e su alcuni prodotti per la prima infanzia (latte e preparazioni alimentari per lattanti) che era stata precedentemente ridotta al 5%. La medesima disposizione ripristina inoltre l'aliquota ordinaria per i seggiolini per bambini da installare negli autoveicoli, che era stata anch'essa precedentemente fissata al 5% dalla legge di bilancio 2023.
La legge di bilancio 2024 infine non ha previsto stanziamenti per l'attuazione della Legge 33/ 2023, la legge delega per la riforma dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti approvata nel marzo 2023.
Per il lavoro, gli altri obiettivi sono l’incremento del tasso di occupazione femminile (+4 punti percentuali), la riduzione della differenza tra il tasso di occupazione femminile e maschile a meno di 24 p.p., l’incremento della percentuale di imprese "femminili" (dal 22% al 30%) rispetto al totale delle imprese attive. Per il reddito, diminuire la disparità retributiva di genere nel settore privato, riducendo il gender pay gap attuale dal 17% a circa il 10%. Inoltre, puntare a ridurre il gender pay gap per i lavoratori laureati, portandolo dall'attuale 22% a meno del 15%.
Insomma, grazie a questo rapporto, abbiamo ancora una volta capito come nel nostro Paese le madri nel mercato del lavoro siano estremamente penalizzate e come gli squilibri di genere siano certificati in ogni settore. Molti paesi europei hanno adottato strumenti politici volti ad affrontare e gestire il cambiamento demografico. Che sia arrivato il momento di farlo anche in Italia?