
Un mezzo con la scritta Press distrutto dopo un attacco a dicembre 2024
Nell’inferno in terra che è diventata la striscia di Gaza, a morire sotto le bombe israeliane non sono solo i civili, per lo più donne e bambini (si calcola che i civili siano l’80 per cento delle cinquantamila vittime segnalate dalle autorità palestinesi, anche se uno studio pubblicato dalla rivista medica Lancet stima che la conta dei morti nei primi nove mesi di guerra sia il 40 per cento in più) ma anche il giornalismo. Letteralmente, i giornalisti. Secondo l’International Federation of Journalists, dall’inizio della guerra a Gaza almeno 170 tra giornalisti e operatori media sono stati uccisi, decine i feriti e altri mancano all’appello.
L’ultimo drammatico episodio, risale al 7 aprile quando, alle 2 di notte, un attacco aereo israeliano vicino al Nasser Hospital di Khan Younis ha colpito una tenda che ospitava i media. Ha fatto il giro dei social un video shockante che mostrava il giornalista Ahmed Mansour di Palestine Today seduto al suo tavolo avvolto dalle fiamme. Soccorso, è poi morto. L'esercito e i servizi dello Shin bet hanno confermato di aver preso di mira il fotoreporter Hassan Eslaiah. Secondo Israele l’uomo avrebbe preso parte all’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Gli attacchi delle Forze di difesa israeliane (Idf) alla stampa palestinese sono stati denunciati a tutti i livelli, in tutto il mondo, tanto che alcuni casi sono stati portati anche all’attenzione della Corte Internazionale di Giustizia. Per quanto riguarda l’Italia è notizia di pochi giorni fa che la XXI edizione del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani è stata dedicata alla memoria delle giornaliste e dei giornalisti palestinesi uccisi a Gaza.
Essere giornalisti a Gaza
Dal 7 ottobre 2023, con l’attacco terroristico di Hamas che ha fatto 1.200 morti tra civili e militari e 250 rapiti, nessun giornalista internazionale può entrare nella Striscia di Gaza. La copertura mediatica di quanto sta accadendo da un anno e mezzo è affidata, tra mille difficoltà, ai giornalisti palestinesi, dipendenti di testate locali, oppure di grosse testate o agenzie di stampa, come AP, BBC, Reuters e Al Jazeera, oppure più spesso freelance o collaboratori di media internazionali. Una situazione che non può che avere fin troppi limiti. Non è raro che questi reporter denuncino di aver ricevuto intimidazioni affinché cessassero la propria attività di denuncia. Come si fa a lavorare se ci si sente minacciati, nell’integrità fisica propria e della propria famiglia?

Poi c’è il tema della copertura mediatica di ciò che succede: in Israele decine di giornalisti internazionali possono raccontare ogni dettaglio delle atrocità subite durante l’attacco del 7 ottobre e le sofferenze che vivono i parenti degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, mentre la catastrofe umanitaria in corso a Gaza è coperta solo dai colleghi palestinesi, che rischiano la vita propria e delle proprie famiglie. Chi vuole saperne di più, deve seguire canali ben precisi, specie sui social. Fuori da lì, la guerra a Gaza esiste quasi solo nelle parole ufficiali dell’Idf e del governo di Tel Aviv. Quindi di parte. Come di parte è, inevitabilmente, il giornalismo palestinese. E dunque il rischio è che, soprattutto il lavoro dei reporter locali venga screditato perché non imparziale.
I numeri e le storie
Per quanto riguarda i numeri, si fa fatica a quantificarli con precisione. Alcune fonti parlano di oltre 200 vittime tra i reporter palestinesi. All'inizio di aprile, il centro studi statunitense Watson Institute for International and Public Affairs aveva stimato che la guerra di Israele a Gaza è la più mortale mai registrata per i membri dei media con 232 giornalisti morti. Con un calcolo più prudenziale, l’Ifj stima in 170 le vittime tra giornalisti e operatori dell’informazione. Secondo il Commettee to Protect Journalists, al 10 aprile i giornalisti ucciso sarebbero 175: 167 palestinesi, due israeliani, sei libanesi.
Con i 156 casi documentati, l’Ifj ha stilato un elenco di nomi e testate. Tra questi c’è Hossam Shabat, giornalista per Al Jazeera Mubasher, ucciso il 24 marzo 2025. Aveva solo 21 anni, era molto famoso e aveva un larghissimo seguito sui social network (560.000 follower su Instagram e 165.000 su Twitter). Poco prima che un drone israeliano bersagliasse la sua auto, aveva postato su Instagram l’immagine di Mohammed Mansour, un altro giornalista ucciso poche ore prima a Khan Younis. Secondo Tel Avivi Hossam era un cecchino di un battaglione di Hamas, ma senza portare prove di questa affermazione, e l’aveva messo in una lista di persone da eliminare.
Prima di morire aveva lasciato una lettera aperta da pubblicare postuma: “Se stai leggendo questo messaggio, significa che sono stato ucciso, molto probabilmente preso di mira, dalle forze di occupazione israeliane. Quando tutto è iniziato, avevo solo 21 anni, uno studente universitario con sogni come chiunque altro. Negli ultimi 18 mesi, ho dedicato ogni momento della mia vita alla mia gente. Ho documentato gli orrori nel nord di Gaza minuto per minuto, determinato a mostrare al mondo la verità che hanno cercato di seppellire”.

Ma le vittime tra gli operatori dell’informazione, come detto, sono decine. Impossibile raccontare la storia di tutti. L’anno scorso, a dicembre, un attacco ha ucciso in un colpo solo cinque giornalisti palestinesi, Faisal Abu Al-Qumsan, Ayman Al-Jadi, Ibrahim Al-Sheikh Khalil, Fadi Hassouna e Mohammed Al-Ladàa. I reporter si trovavano a bordo di un furgone parcheggiato di fronte all’ospedale Al-Awda, nel campo profughi di Nuseirat al centro della Striscia di Gaza. La scritta “Press” era in grande evidenza. Al-Quds Today, il canale televisivo per cui lavoravano, racconta che stavano svolgendo il loro “dovere giornalistico e umanitario”. In quell’occasione l'Idf ha dichiarato che l'attacco mirava a “un veicolo con una cellula terroristica della Jihad islamica”. Secondo Israele, erano state adottate “numerose misure per mitigare il rischio di danneggiare i civili”.
E chi non ha perso la vita, ha perso parenti e amici. Motaz Azaiza, forse il fotoreporter di Gaza più famoso, evacuato nel gennaio del 2024 per tutelare la sua vita, aveva documentato l’uccisione di diversi colleghi freelance.
La libertà di stampa in Israele e Palestina
Secondo l’Indice della libertà di stampa compilato e pubblicata da Reporter senza frontiere, nel 2023 (quindi con testimonianze relative alla libertà di stampa dell'anno precedente) Israele era al 97esimo posto su 180, scendendo al 101esimo nel 2024 (per fare un paragone, l’Italia è al non onorevole 46esimo posto). Come scrive Reporter senza frontiere, dall’inizio della guerra a Gaza anche “le pressioni sui giornalisti dentro Israele sono aumentate. Le campagne di disinformazione e le leggi liberticide si sono moltiplicate”. Nel 2023 il canale televisivo di estrema destra Channel 14 è diventato il secondo più visto dopo Channel 12. E per quanto riguarda la guerra a Gaza, “solo i giornalisti embedded dell’esercito israeliano sono ammessi nell’enclave”. Non è finita qui: “In virtù della censura militare, i reportage su diverse questioni riguardanti la sicurezza devono essere preventivamente approvate dalle autorità”.

Non va meglio in Palestina. Reporter senza frontiere posiziona i territori al 157esimo posto su 180. Si legge sul sito di Rsf: “La Palestina è diventata il paese più pericoloso al mondo per i professionisti dei media (...). In Cisgiordania, se i giornalisti erano già vittime due volte, sia da parte dell’Autorità palestinese sia da parte delle forze di occupazione israeliane, dopo il 7 ottobre 2023 le pressioni israeliane si sono accentuate, come anche gli arresti”.
Per quanto riguarda il quadro dei media palestinesi, ce ne sono di indipendenti (Watan TV o Ajyal Radio) e di affiliati all’Autorità o a Fatah (Palestine TV e l’agenzia di stampa Wafa) per i quali i contenuti sono sottoposti a controllo politico. A Gaza ci sono anche media affiliati ad Hamas come l’agenzia Shehab News o il gruppo Al-Aqsa Media Network. Sempre Rsf segnala che la Striscia di Gaza è sempre stata particolarmente pericolosa per i giornalisti, anche prima del 7 ottobre, quando i media erano spesso sospettati di collaborare con Israele e ostacolati da Hamas e dalla Jihad islamica. Per un rovesciamento crudele delle parti, dal 7 ottobre vengono accusati da Tel Aviv di lavorare per il gruppo armato.
Il premio Tiziano Terzani ai giornalisti e alle giornaliste uccisi a Gaza
Significativa la scelta, annunciata il 9 aprile dalla presidente della giuria Angela Terzani Staude, di dedicare alla memoria delle giornaliste e dei giornalisti palestinesi uccisi a Gaza la XXI edizione del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani. “Mai, nella storia, – si legge nella motivazione del Premio – il tributo pagato dal giornalismo è stato così pesante, in flagrante violazione del diritto umanitario e della libertà di stampa”.
La giuria del premio, “con eccezionale e unanime decisione ha sentito l’urgenza di lanciare un allarme e rendere onore al sacrificio di chi è stato messo a tacere e non può più raccontare “l’altra parte della storia” conferendo il Premio Terzani 2025 – ad memoriam – ai giornalisti e alle giornaliste di Gaza”. A loro sarà dedicata, sabato 10 maggio al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, la serata del Premio Terzani. Saranno a Udine a ricevere simbolicamente il premio, a nome dei tanti colleghi uccisi durante la guerra, Wael al-Dahdouh e Safwat al-Kahlout, entrambi giornalisti di Gaza per l’emittente Al Jazeera. Durante la guerra hanno subito l’uccisione di 500 familiari e amici.
"Mio marito – ha ricordato Angela Terzani – era un giornalista. Per molti anni è stato un corrispondente di guerra, talvolta scomodo, ma sempre in prima linea nella copertura dei conflitti. Una delle sue convinzioni più profonde era che si dovessero sempre ascoltare “le ragioni degli altri” e che contro il rischio di scivolare nella barbarie dell’intolleranza e del fanatismo questo fosse l’unico modo per cominciare a intendersi e per rendere possibile la convivenza pacifica tra popoli diversi. Attribuiva al giornalismo questa precisa responsabilità: mettersi in ascolto delle ragioni degli uni e delle ragioni degli altri”. Oggi, a Gaza il giornalismo muore.