"Se vuole cambio postazione. In casa ho io piastrellista non vorrei il rumore disturbasse". Lavora (talvolta) in smart working, fra un viaggio e l'altro, Nando Pagnoncelli, 63 anni, presidente di Ipsos, società leader in Italia nel settore delle ricerche demoscopiche. Insegna Analisi della pubblica opinione alla facoltà di Scienze politiche e sociali della Cattolica di Milano. E' collaboratore di quotidiani e riviste e ospite di programmi tv, in particolare talk show dove sono attesissimi i suoi annunci sulle opinioni degli italiani. Specialmente sul gradimento di partiti e leader. Ma anche i suoi sguardi risorosi e acuti sulla società italiana. Da pochi giorni Nando Pagnoncelli fa parte del comitato scientifico di Luce! "Il tramite con Luce! è stato l'amico Francesco Del Zio e non ho avuto difficoltà a dichiararmi interessato - attacca Pagnoncelli - dalle ricerche che svolgiamo emerge che le imprese dedicano ai temi dell'inclusione, della coesione sociale, della sostenibilità grandissima attenzione che si trasforma in energia positiva: mai come adesso si è stati sensibili alla 'responsabilità sociale' dell'impresa. Che non è solo filantropia, ma strategia che si fonda sulla consapevolezza del ruolo che l'impresa ha nei confronti della società e dei portatori di interessi: i dipendenti, l'indotto di clienti e fornitori, gli azionisti, l'ambiente. E si cerca un equilibrio. La mia disponibilità è stata immediata". Del piastrellista non si avvertono segnali. La telefonata può proseguire. "In azienda abbiamo varato lo smart working già prima del lockdown, Siamo 200 addetti. É una misura importante per conciliare lavoro e vita privata, avendo cura di far sì che il primo non assorba definitivamente la seconda. E che si mantenga il contatto con la realtà esterna, col mondo". Andiamo ad esplorarlo, il mondo, con Nando Pagnoncelli. Partiamo dall'inclusione, termine entrato nel linguaggio corrente. "Inclusione non è una parola magica. É un obiettivo che non si realizza da solo, occorre perseguirlo. Impegnando tre aspetti. Quello istituzionale perché l'inclusione non si manifesta per inerzia, ma necessita di provvedimenti; coinvolgendo la base sociale del Paese: imprese, scuola, associazionismo, media, singoli cittadini". L'inclusione nei piani del governo legati al recovery fund riguarda soprattutto parità di genere, giovani e rilancio del Sud. "Prendiamo la parità di genere: non si realizza con le quote rosa, ma rispondendo a domande precise: quanti sono disposti ad avere un capo donna? Quanti accettano che la retribuzione femminile sia equiparata a quella maschile? Qual è la propensione delle famiglie a consentire l'accesso delle ragazze agli studi stem (materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche, matematiche) e non a perseguire una presunta vocazione accuditiva che le porta all'insegnamento, ai servizi alla persona? E quanti sono disposti a ridurre il gap di lavoro domestico? Se la coppia lavora in smart trascorrendo a casa il medesimo tempo, il carico familiare resta comunque in capo alla donna".
Giovani: le aziende attendono lo sblocco dei licenziamenti, ma difficilissimo che si realizzi il turn over: i giovani resteranno a casa "É riduttivo limitarsi a una valutazione solo occupazionale, due premesse: l'Italia è il secondo paese al mondo più vecchio dopo il Giappone e la maggioranza dei ragazzi fra i 18 ai 35 anni vive in famiglia e hanno contratti a tempo determinato. Niente si risolve se non si discute del salario d'ingresso e delle politiche abitative. Si pretende che un giovane si sposti in un'altra città e impegni due terzi della retribuzione in affitto. Occorre conciliare salario d'ingresso, politiche abitative, servizi all'infanzia: non basta il bonus bebé. All'estero aumentano in parallelo la fertilità e l'occupazione femminile. Da noi quando la donna diventa mamma spesso lascia il lavoro. E vanno rivisti gli orari delle città, l'agenda digitale". La politica è in grado? "Occuparsi di demografia significa seminare oggi per raccogliere fra cinque dieci anni e la politica del consenso immediato, da sola non è in grado di affrontare un progetto del genere. Fortunatamente c'è il recovery che ci consente pensieri lunghi con una clausola ben precisa che ci costringerà ad attuare quelle politiche". Quale? "Che se le risorse del covid non saranno utilizzate e nel perseguire gli indirizzi stabiliti saremo costretti a restituire quel denaro all'Europa col risultato che non solo non miglioreremo la società per i nostri figli ma faremmo ricadere sulle loro spalle una scomoda eredità: dover restituire i soldi ricevuti e non bene utilizzati". Sarebbe il contrario del piano di Letta, per finanziare i diciottenni con i proventi delle 'successioni d'oro'. "Quando si parla di 'inverno demografico', spesso ci si collega all''inverno democratico'. I partiti cercano consenso nelle fasce sociali depositarie del maggior numero di voti. Non i giovani, ma gli adulti con reddito stabile e i pensionati. Le promesse ignorano i giovani che sono una minoranza . Per questo si è pensato a correttivi elettorali col voto ai sedicenni oppure il voto doppio ai genitori che hanno figli minori ". Anche il Sud è uno dei grandi ammalati del Paese. "C'è un problema di infrastrutture che mancano, oltre al blocco psicologico delle troppe cattedrali nel deserto create in passato. Sulle insidie della criminalità organizzata, non va abbassata la guardia. Ma se lo Stato ci crede e investe potrà raggiungere lo scopo". Il reddito di cittadinanza è stato una panacea per alleviare le sofferenze che sarebbero sorte col covid. Ma è compatibile con l'idea di sviluppo legata al recovery? "Sfrondiamo qualsiasi connotazione politica legata a questa misura. Il governo precedente erogava il reddito di inclusione, dal 2019 c'è il reddito di cittadinanza. Consideriamola per il valore sociale: ha attenuato il disagio economico dei soggetti in condizione di povertà assoluta, aumentati nel 2020, dopo il calo registrato nel 2019 grazie anche a quel provvedimento. Ma è soprattutto in questo campo che il principio di coesione sociale deve trovare applicazione, perché l'attuale, profonda frattura nella società è fra ceti garantiti e non garantiti, fra chi è passato sostanzialmente indenne dalla piaga covid e chi si è trovato in ginocchio".
La pandemia è stata una livella: ha colpito ricchi e poveri, senza distinzione. La crisi, invece, non ha colpito tutti alla stessa maniera. "Esatto La mappa del paese è composta da 8.700.000 lavoratori privati, 3.200.000 addetti nel pubblico impiego e 16 milioni di pensionati. Sono oltre 28 milioni, i garantiti. Con la riduzione di spese e consumi, nel 2020 i risparmi privati sono aumentati di 73 miliardi. Sarebbero equi interventi a pioggia che finiscano per sostenere anche i garantiti? No. Lo Stato deve concentrarsi sugli 11 milioni di persone su cui il Covid ha inciso e lasciato segni: le piccole imprese, le partite Iva, i ristoratori, gli operatori del turismo. Qui, lo Stato deve dimostrare che coesione non è una parola magica ma un obiettivo da perseguire con politiche, provvedimenti". E con il senso di responsabilità di tutta la comunità. Per ora fra garantiti e con garantiti c'è stato scambio di accuse: I primi definiscono i secondi genericamente come "evasori", gli altri attaccano il pubblico impiego per la non brillante produttività. "Sono ottimista e voglio esserlo ancora, sulla base della gestione dei primi cinque mesi di pandemia, quando si era coscienti che la propria salute dipendeva da quella degli altri. Ora serve consapevolezza che anche il mio benessere è collegato a quello della comunità: occorre l'inclusione fra garantiti e non garantiti. Serve un grande patto sociale. E qui torniamo ai principi di Luce!. E allo scisma denunciato da Papa Francesco della frattura tra l'Io e il noi". Qui, dottor Pagnoncelli, entra in ballo la sua professione. Ma anche la nostra di operatori dell'informazione. Se ventotto milioni di italiani, ossia oltre la metà degli elettori attivi sono garantiti, la politica appesa allo zerovigola dei sondaggi quotidiani, continuerà a lisciare il pelo a chi ha, dimenticando chi ha meno. "Sono io, il primo a criticare l'uso dei sondaggi come bussola della politica. Con il nostro istituto effettuiamo 1800 ricerche all'anno e solo il 5% sono sondaggi sulle indicazioni di voto. Spesso, mi sono negato a sondaggi che apparivano strumentali. I sondaggi-metadone su chi sale, chi scende in politica non possiamo esimerci dal farli, ma accanto a quelli la politica dovrebbe esaminare la complessa radiografia del paese che gli istituti di ricerca elaborano ogni giorno. Cavalcando gli orientamenti dell'opinione pubblica, la politica abdica al ruolo di guida e diventa inseguitrice". E alla guida del Paese resta il vuoto. "Apparentemente, In realtà c'è un soggetto che assume il ruolo di 'pifferaio magico' ed è l'opinione pubblica. Che anche senza andare alle urne innalza e abbatte i partiti e i loro leader. Fare riforme comporta il coraggio dell'impopolarità. E' una semina".
Ma i partiti si accontentano della microraccolta nell'orticello quotidiano. "Il presentismo permanente dei partiti non è il solo ostacolo. C'è anche un macigno sociale, di cui abbiamo avuto avvisaglie in quel reciproco scambio di accuse fra fasce sociali al quale accennava ed è il fatto che gli italiani chiedono riforme sì, ma delle categorie altrui. Gli autonomi reclamano che il pubblico impiego sia più produttivo. I 'garantiti' protestano perché con le tasse che pagano manterrebbero i presunti evasori, Chi è, o si reputa, onesto chiede che si riformi la magistratura. Ma alla base di tutto c'è un equivoco che rende fragili le basi dell'intero castello". Quale? "Che l'opinione pubblica si forma su elementi lontani dalla realtà. Quando chiediamo quale sia il tasso di disoccupazione in Italia la media risponde il 48%, contro una realtà del 12%. La presenza di stranieri nel Paese percepita o dichiarata è del 30% ma era del 7%, ora salita all'8,5%. Gli omicidi sono dimezzati in 20 anni ma 2 italiani su 3 dicono che sono aumentati. In realtà sono 400 all'anno in tutto il Paese: meno della metà di quelli che si registrano nella sola Chicago". Su questo tema lei ha scritto il libro "La Penisola che non c'è". "Dei 14 paesi in cui operiamo l'Italia è quello dove la distanza fra percezione dichiarata e realtà è più ampia. Enfatizziamo la portata dei fenomeni che spaventano di più". Come si spiega? "Le competenze di cittadini sono limitate. Solo un italiano su 5 sa che siamo il secondo paese manifatturiero d'Europa, il primo per tasso di riciclo dei rifiuti. La maggioranza di chi vota ha la terza media, il 15% degli elettori la laurea , fra i 25 e i 65% anni i laureati salgono al 19%. La Fondazione Symbola ha scattato 10 selfie dell'Italia. Abbiamo provato a testarli fra l'opinione pubblica. L'unico appena conosciuto è il primato per siti Unesco, noto al 38%, gli altri sono sconosciuti". Significa che i media non svolgono un buon lavoro? L'Italia dovrebbe cambiare storytelling? "Cambiare il modo di raccontarsi potrebbe essere un contributo. Assieme all'abbandono del mito del good news no news: la diffusione di buone notizie, alla fine funziona, anche sul mercato. Perché racconta uno spaccato dell'Italia reale, composto dai sette milioni che operano nel volontariato, dalle 370 mila imprese no profit, dal rilievo che un italiano su due effettua donazioni a progetti e non solo in chiesa o a chi fa questua in strada. Tornando ai sondaggi, gli italiani che dichiarano paura negli stranieri, quando si chiede come vanno le cose nel loro quartiere rispondono. 'Ma da noi gli stranieri sono diversi', pensando alle badanti, ai lavoratori, alle famiglie. Osservando la realtà che li circonda". Speranze? "Oggi il rischio è che, parlando bene del paese, si venga tacciati di essere di destra o di sinistra. A me piacerebbe che l'Italia attuasse il desiderio di Ciampi che invitava al 'patriottismo dolce'". Come sarebbe l'Italia, che perseguisse coesione, inclusione? Come sarebbe l'Italia "alla luce di Luce!"? "Un paese che progetta ancoraggi comuni, consapevole che la coesione, lo stare insieme non è atto di buonismo ma di pragmatismo".
Viviamo una fase senza precedenti: abbiamo un presidente del Consiglio che si mostra immune dai sondaggi, indifferente alle oscillazioni zerovirgola. "É vero. Il presidente Draghi rappresenta una figura autorevole, non mossa da logiche di consenso , che non significa non essere portatore di valori. Inoltre, abbiamo nella maggioranza di governo forze fra loro avversarie che mettono da parte le divisioni per marciare nella stessa direzione. E le persone dovrebbero capire che la coesione, lo stare insieme non è atto di buonismo, di buoni sentimenti, ma di pragmatismo. Abbiamo i presupposti per rivivere lo spirito costituente che fu alla base del boom economico" Quindi? "Dovremmo tutti, politica, società, media, pensare e raccontare il paese che consegneremo ai nostri figli, non concentrarsi solo sulla realtà di oggi. Al paese che dobbiamo realizzare coi soldi del Recovery per evitare che quei soldi i nostri figli debbano restituirli a chi ce li ha dati. Viene spontaneo rispolverare uno slogan" Quale ? "Se non ora quando?". Sì, ma fra qualche ora pubblicherete le intenzioni di voto e tutti ripenseremo allo zerovirgola. "(sorride) Bisogna avere ben chiaro che è la maggioranza che decide, ma non è detto che la maggioranza abbia sempre ragione. Quando la maggioranza scelse fra Gesù e Barabba, ecco, non prese affatto la decisione giusta".
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