“Il primo accesso ai siti pornografici avviene tra i sei-sette anni”. E oggi “i siti sono molto hard e offensivi delle dignità femminile, non come i vecchi giornalini. L'esposizione precoce alla pornografia, non solo stimola, non solo colpisce. Certe immagini possono avere un impatto davvero pesante. Appunto non solo perché creano problemi per l'idea delle relazioni uomo-donna di un bambino, ma pare stimoli atteggiamenti aggressivi e di violenza, ci sono studi”.
Queste le parole di Eugenia Roccella, ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, intervenuta al convegno per la presentazione del documento conclusivo della Commissione Infanzia e Adolescenza, nella sala Zuccari di palazzo Giustiniani.
Durante l’evento, organizzato su iniziativa della presidente della commissione Michela Vittoria Brambilla, l’esponente di governo ha anche illustrato le misure messe in campo a contrasto di un fenomeno diventato ingestibile: “Abbiamo inserito il parental control, cercando di alfabetizzare i genitori". “Io sono una liberale, anzi, direi che sono una una libertaria: non penso che l'unica soluzione sia solo la repressione – aggiunge –. Ma se non non vogliamo ricorrere alla repressione dobbiamo sollecitare la responsabilità. E la prima è quella educativa in famiglia. Serve un'alleanza tra famiglia e scuola”.
Roccella in precedenza ha affrontato anche un altro problema legato al mondo giovanile: “Spesso diamo un quadro dell'adolescenza e dell'infanzia come se fosse una generazione perduta, non è così”, ha detto. Si racconta "una generazione che sembra immersa solo nel disagio. Ma è un racconto molto più che parziale – precisa la ministra –. Non sottovaluto certi fenomeni ed è importante porre la questione in modo serio. Però dobbiamo ricordare che è realistico raccontare il disagio, ma che è realistico anche sperare".
E ancora: "La demografia cosa ha a che fare con il disagio giovanile? – si chiede, esponendo poi la sua teoria –. Ha molto a che fare. La quantità di figli unici crea il fenomeno della solitudine giovanile, non è più qualcosa che sviluppa con il tempo, ma è qualcosa in cui nasciamo. Siamo figli unici, siamo soli”. Insomma il calo di nascite comporterebbe danni anche ai nati, una volta cresciuti, a livello psicosociale.
“La denatalità è un fenomeno, una patologia, dei Paesi del benessere, non solo materiale, ma anche quelli sviluppati sui diritti. Non riguarda solo fenomeni di povertà materiale, ma anche altri. Come la solitudine", ha concluso.