Ha camminato per le vie della fredda Londra in mutande, rigorosamente a righe, e reggiseno. Ai piedi solo un paio di calzini. Ha passeggiato per le vie, per gli incroci londinesi con un cartello che recitava: “Alzarsi in piedi per i diritti non è follia, ma coraggio”. Indisturbata. Qualche passante l’ha scrutata, nel tentativo di capirne il senso, le ha scattato delle foto e l’ha filmata. "Questo livello di nudo è accettato in ogni paese impegnato nei valori della libertà” ha scritto sul suo profilo Instagram.
Poi si è fermata a Trafalgar square, ha incrociato le braccia, si è seduta ai bordi della fontana e ha respirato a pieni polmoni. Aria? No, libertà. Quella che non a tutte le donne è concessa.
L’attivista Rokhsare Mkhani ha messo in piedi un’intima, è il caso di dirlo, protesta in nome di Ahou Daryaei, la studentessa iraniana che qualche giorno fa si è spogliata nel cortile dell’Università di Teheran, dopo essere stata rimproverata per il suo abbigliamento “inappropriato” ovvero con l’hijab messo nel modo non corretto, non come richiesto dalle regole di regime. Il suo gesto di ribellione è stato poi punito con un ricovero in un ospedale psichiatrico ed effettivamente è una pazzia, in certi paesi, combattere per la propria libertà, per i propri diritti. Devi essere folle a opporti a un potere più forte di te, ma è una follia necessaria che qualcun* deve pur avere.
Cose’è l’apartheid di genere
Il cartello che Mkhani aveva tra le mani portava la firma della campagna contro l’apartheid di genere. Una coalizione di leader donne iraniane e afghane, giurist* internazionali, attivist* che chiedono il riconoscimento del crimine di apartheid di genere per contrastare e mettere la parola fine alla guerra alle donne attualmente in corso nella Repubblica islamica dell'Iran e in Afghanistan sotto il regime dei talebani.