Si era spogliata per protesta contro l’hijab: la studentessa è libera, ma pazza

Dopo il ricovero forzato in un ospedale psichiatrico in Iran, hanno stabilito che Ahoo Daryaei è malata di mente e per questo l’hanno affidata alle cure della famiglia

di Redazione Luce!
20 novembre 2024
Ahou Daryaei

La studentessa iraniana in biancheria e senza velo nel cortile dell'università a Teheran

E’ pazza, per questo si è ribellata. La follia utilizzata per etichettare una donna che rompe le regole, si ribella ad essa, si rifiuta ai ruoli sociali imposti, è un’abitudine vecchia quanto è vecchia l’umanità. La pazzia, l’isteria, sono sempre state appannaggio delle donne. In questo caso la diagnosi è toccata a Ahoo Daryaei, la studentessa iraniana che aveva protestato contro l'hijab obbligatorio spogliandosi nel giardino dell’università. Ricoverata con la forza in un ospedale psichiatrico dopo la sua protesta, è stata liberata ieri e affidata alle cure della famiglia, come ha annunciato la magistratura della Repubblica islamica: “Dato che è stato stabilito che era malata, è stata riconsegnata alla sua famiglia ed è sotto la loro cura”, ha detto il portavoce della magistratura di Teheran, facendo sapere che a causa della condizione in cui si trova “nessun caso è stato aperto contro di lei”, né sono stati presi provvedimenti da parte dell'università.

La studentessa a inizio di novembre era stata rimproverata perché non indossava correttamente l'hijab mentre si trovava all'Università Azad di Teheran. Di tutta risposta la giovane si è tolta i vestiti, rimanendo in mutande e reggiseno di fronte a tutti. Immagini che hanno fatto subito il giro del mondo, diventando anche emblematiche di alcuni movimenti femministi. 

La giovane era stata poi portata con la forza in un ospedale psichiatrico su ordine dell'intelligence dei Guardiani della Rivoluzione. Quello che per molte persone era un gesto rivoluzionario, per il ministro della Scienza, Hossein Simai Saraf, è stato considerato “immorale”. Punti di vista. 

Il suo ricovero in ospedale era stato paragonato a una forma di “tortura” dall'attivista iraniana Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace che dal 2009 vive in esilio a Londra, e condannato da Amnesty International.