Carlo Maria, Osayi ed Elisa, tre giovani vite che, semplicemente per la loro inclinazione sessuale, il colore della pelle o la forma del proprio corpo hanno ricevuto insulti, offese, spesso proprio da persone “come loro”, coetanei che avrebbero invece dovuto accoglierli, o addirittura insegnanti e forze dell’ordine. Carlo Maria, cosa è accaduto circa sei anni fa, alla festa del diciottesimo di un suo amico? “Io e il mio ragazzo stavamo ballando e scambiandoci qualche bacio. Eravamo in mezzo ad amici, compagni di scuola che ci conoscevano e non mi sentivo a disagio né in pericolo. Ad un certo punto dei ragazzi che appartenevano ad un'altra festa ospitata nel medesimo locale si sono avvicinati, hanno iniziato ad indicarci e a ridere. Uno di loro è salito su un tavolo e ha cercato di colpirmi con un calcio, ma era molto ubriaco ed è riuscito solo a sfiorarmi la spalla. Ciò che invece è riuscito a colpirmi in pieno è stato lo sguardo di una ragazza sconosciuta, una coetanea che si trovava nello stesso locale e aveva assistito alla scena. Mi ha guardato con un misto di sorpresa ma anche di indignazione, come a dire “Ma dove l’avete trovato il coraggio di fare una cosa così fuori dal mondo?” Intendeva ballare e scambiarci un semplice bacio. Da allora non mi sono più sentito completamente al sicuro nel manifestare pubblicamente il mio affetto al mio compagno, se mi trovo in ambienti che non conosco.”
Osayi, lei è a tutti gli effetti italiana, eppure ci sono state delle circostanze in cui alcune persone non sono riuscite ad accettare il colore della sua pelle… “Ce ne sono state varie, sia in passato che recentemente. Poco tempo fa, per esempio, ho avuto una conversazione con un carabiniere che ha iniziato a farmi domande sulle mie origini, a chiedermi se fossi cittadina italiana e quale fosse la mia occupazione. Quando ho spiegato che ho origini nigeriane e sono una studentessa di ingegneria, la risposta che ho ricevuto mi ha lasciato senza parole: ‘Se sei cittadina italiana vuol dire che tuo padre è un brav’uomo. Gli unici nigeriani con cui ho avuto a che fare sono spacciatori o prostitute. Tu sei un’eccezione, bravissima!’ Nel tentativo di complimentarsi con me ha denigrato la cultura, la storia e la tradizione di un intero popolo, diffondendone un’immagine distorta.”
Elisa, lei invece è stata vittima di body shaming. Quali sono state le offese o i commenti riferiti al suo corpo che più l’hanno mortificata? “Non esiste un’offesa in particolare, tutte fanno male. Soprattutto quelle che riguardano il fisico. Sono parole dette per ferirti, dirti che sei diversa, che non sei conforme alla società. Oggi con i social ci si sente più forti e ci si permette di dire cose ancora più gravi di quelle dette di persona. Un vestito, un sorriso diverso, è motivo di critica nei confronti della persona che si è esposta. Ciò dimostra che il lavoro che deve essere portato avanti sull’uso delle parole è ancora lungo, perché le persone le usano in modo improprio. Offendono, feriscono volutamente. Un proverbio che mi piace citare rende bene l’idea: oggi ancora più della spada ferisce la parola.”
L’iniziativa di Ace
Odio, odio, ancora odio. Espresso attraverso offese che possono assumere le forme di una parola, di uno sguardo, di un’aggressione fisica, persino di una scritta. La scritta su un muro che dice “Nasconditi sei grassa”, “Gay muti” oppure “Non esistono italiani neri”. Sarebbe bello poterle cancellare, dai muri come dalla testa della gente. ACE ci sta provando, avviando in questi giorni la terza edizione di “Formula anti-odio”, un progetto di sensibilizzazione nazionale per favorire l’inclusione e la riqualificazione urbana, in collaborazione con la Fondazione Retake e Diversity Lab. Protagonisti oltre 300 studenti di alcuni istituti scolastici di Bari, Padova, Campobasso, Palermo e Napoli, che si faranno promotori attivi di valori come il rispetto dei luoghi e della persona ed il rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione.
Il progetto firmato dalla nota azienda del pulito parte proprio dalla scuola, rendendo gli studenti portavoce di un messaggio forte contro la discriminazione e a favore di una maggiore cura verso gli spazi pubblici come luoghi di socialità e condivisione. I ragazzi sono invitati a scendere in campo attivamente per prendersi cura delle aree pubbliche nei pressi delle loro scuole e contrastare le tante forme di odio che colpiscono le persone, anche attraverso le scritte offensive che sporcano le città. L’edizione 2024 del progetto, che negli anni passati ha già coinvolto oltre 2.000 studenti e cittadini e toccato 15 città italiane, si concretizzerà in un tour che attraverserà la penisola e che è partito lo scorso 28 settembre da Bari, per proseguire l’11 ottobre a Padova, il 26 ottobre a Campobasso, l’8 novembre a Palermo, con un’ultima tappa a Napoli il 22 novembre. In ogni tappa gli studenti di alcune scuole primarie e secondarie di primo grado saranno coinvolti dai volontari di Retake in attività di riqualificazione di un’area urbana da loro frequentata, con l’obiettivo di restituirla alla città ripulita, rigenerata e predisposta all’aggregazione sociale, oltre a partecipare a laboratori sul linguaggio inclusivo tenuti da docenti di Diversity Lab.
In cosa consiste
Per l’occasione gli esperti di innovazione di Ace hanno disegnato uno speciale Spray capace di rimuovere i graffiti presenti sui muri, quando contengono insulti e frasi discriminatorie. Si tratta di un’edizione speciale “Formula Anti-Odio”, non in vendita, che verrà utilizzata dai volontari di Retake durante gli eventi per rimuovere dai muri le scritte che inneggiano all’odio. A sostegno dell’iniziativa, ACE ha anche avviato la campagna di comunicazione sociale “Formula Anti-Odio”, firmata dall’agenzia creativa BBDO e che sarà live su Meta, TikTok e YouTube in contemporanea con le tappe del progetto: qui saranno raccontati episodi reali di discriminazione vissuti da Carlo Maria, Elisa e Osayi, in tema di omofobia, razzismo, body shaming e grassofobia.
Elisa, quando ha capito che doveva smettere di soffrire perché il suo corpo non veniva considerato sufficientemente snello? “Da quando ero bambina uso l’auto ironia per essere la prima ad offendermi, evitando in qualche modo che lo facciano gli altri più ferocemente. Il mio era un modo di sopravvivere, di avere il controllo. Un modo che però mi è costato caro e solo dopo un lungo percorso con uno psicologo sono riuscita a trovare un po’ di serenità. Oggi uso ancora l’auto ironia, perché ormai fa parte di me, ma non più come difesa. Il burlesque è diventato il mio mondo, ma era sempre stato un desiderio fin da quando era bambina. Stare sul palco ed essere guardata da tutti era il mio modo per dimostrare che io non sono solo il mio corpo, ma che ho anche altre capacità. Non avevo mai trovato il coraggio di farlo perché ero io la prima ad avere dei tabù. Poi, 5 anni fa, ho trovato il gruppo delle “La maison de le Fanfarlò” e ho iniziato a seguirle per oltre un anno, per capire cosa facevano nella speranza un giorno di essere una di loro. Seguendole mi sono resa conto che non ci sono solo ragazze dalla corporatura snella, ma esiste una varietà di corpi incredibile. È un posto dove sentirsi a casa, dove le donne fanno squadra davvero. Un luogo dove puoi entrare se elimini tu per prima i tuoi pregiudizi. So come sono, ma grazie al burlesque ho imparato ad amarmi e, a 40 anni, anche per strada cammino a testa alta.” “Ripensando a quello che mi è accaduto anni fa - sono le parole di Carlo Maria – mi rendo conto che a ferirmi di più non è stato solo il fatto di essere giudicato e offeso per la mia sessualità. Ma che quelle offese, sia fisiche che verbali, quello sguardo di sdegno provenissero da persone della mia età, allora giovanissime. Persone dalle quali ci si aspetterebbe una mentalità aperta. Invece, purtroppo, l’ambiente in cui erano cresciuti e che li circondava aveva plasmato il loro modo di pensare e di vedere la realtà. Rimasi sconvolto quella sera, non riuscii più a ballare e ad essere spensierato insieme al mio ragazzo. Oggi, a distanza di tempo non posso dire di non riuscire ancora a non pensare ad altro, sono andato avanti, ma resta il fatto che non mi sento tranquillo a camminare mano nella mano con il mio compagno in una città che non conosco o in un ambiente nel quale non so con certezza se ci sia tolleranza o meno.” “Nonostante abbia vissuto alcuni episodi negativi – commenta infine Osayi -, non ho mai permesso che influenzassero il mio modo di vivere. Io, in Italia, mi sono sempre sentita a casa. Forse però, per una parte degli italiani è difficile vedermi come una connazionale, perché l’immigrazione è un fenomeno relativamente recente, e questo rende l’inclusione e l’accettazione di altre culture un processo molto lento. I pregiudizi ostacolano questo percorso e ci restituiscono una società che fatica a riconoscere gli stranieri come parte integrante della comunità.”