Valentina Pitzalis: “Dopo Giulia diciamo basta. Ragazze ascoltate i campanelli d’allarme”

La donna sarda porta la sua testimonianza nelle scuole con i progetti di OTB Foundation e FARE X BENE per l’educazione e la prevenzione a ogni forma di discriminazione e violenza di genere

di MARIANNA GRAZI -
25 novembre 2023
valentina pitzalis

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"Per l’uccisione di Giulia ci sono stata malissimo perché ho visto troppe similitudini con il mio caso specifico. È terribile, ogni giorno: sono troppe le donne uccise, quindi grazie di ascoltare la mia voce. Se ne salverò almeno una con la mia testimonianza, le farò aprire gli occhi, quello che è capitato a me non sarà stato vano”. Valentina Pitzalis è sopravvissuta. Con impresse sul corpo e l’anima le ferite di una violenza terribile, che non si rimarginano nonostante siano passati 12 anni. Giulia Cecchettin, invece, è morta due settimane fa. Uccise dall’ex fidanzato. La 105esima vittima di sesso femminile da inizio anno. Dopo la morte della 22enne di Vigonovo, però, qualcosa è cambiato: una sorta di risveglio collettivo di una società assopita nella quotidianità della violenza, dei femminicidi, considerati quasi la normalità. L’incantesimo sembra essersi rotto: a suon di grida, di poesia (Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima) e di rumore si è innescato il meccanismo del cambiamento. Portato, come spesso accade, dalle generazioni più giovani. Che rivendicano anche una giusta narrazione di quello che sta accadendo.
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"Se domani non torno distruggi tutto": il cartello riprende la poesia di Cristina Torres Cáceres rilanciata da Elena Cecchettin dopo la morte della sorella Giulia

“In questi giorni lo ribadiamo anche negli incontri con gli studenti. Sono anni che con FARE X BENE facciamo questi percorsi di sensibilizzazione, prevenzione e condivisione. Crediamo che non abbia senso agire in emergenza ma bisogna andare alla radice e cercare di sradicare la mentalità maschilista, perché è un problema dell’intera società”, racconta Valentina Pitzalis che, come ambasciatrice della no-profit, porta nelle scuole la sua testimonianza.

Violenza di genere? “Mai più”. L’iniziativa nelle scuole

"I casi di violenza sulle donne aumentano di giorno in giorno in modo allarmante, sono aumentate contestualmente anche le richieste di aiuto e questo è un dato da leggere in modo molto positivo. C’è un movimento che si sta facendo sentire, di una violenza prima sommersa che oggi chiede aiuto. Finalmente!”, dichiara la vicepresidente di OTB Foundation Arianna Alessi. "Dal mondo politico sta rimbalzando in queste ore la proposta di introdurre all’interno dell’orario scolastico un progetto volto a sensibilizzare gli studenti sulla violenza di genere. OTB Foundation, da sempre schierata dalla parte delle donne, ha da tempo ideato l’iniziativa Mai più in collaborazione con l’associazione Fare X Bene.  Si tratta di una campagna di prevenzione che si sviluppa attraverso incontri con studenti di tutta Italia, sensibilizzando i giovani contro la violenza di genere in presenza di testimonial come Valentina Pitzalis. Oltre ad avere un servizio attivo h24 che offre supporto psicologico e legale gratuito per donne in difficoltà”.
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Arianna Alessi, vice presidente di OTB Foundation

Alessi continua: “Educare al rispetto dell’altro è l’unico modo per cambiare la cultura. In Fondazione lo sappiamo bene dato che dal 2018 andiamo nelle scuole a parlare ai giovani in presenza, ma anche online, affrontando la tematica della violenza a tutto tondo, contemplando anche il bullismo e il cyberbullismo e stimolando sempre la richiesta di aiuto.  È necessario sapere a chi rivolgersi e chiedere aiuto se si è in una situazione di pericolo e come intervenire qualora si fosse testimoni di un qualsiasi tipo di violenza o aggressione anche solo verbale contro una donna. In questi anni – conclude la vicepresidente – abbiamo raggiunto insieme a FARE X BENE quasi 100mila studenti e continueremo, perché la violenza di genere è un fenomeno radicato nella nostra società, riguarda tutti e solo tutti insieme la possiamo sconfiggere!”.

Pitzalis: "La mia testimonianza perché non commettano gli stessi errori"

Per Valentina Pitzalis la situazione attuale “è come una mattanza sociale, e più se ne parla meglio è. Quello che faccio io, portando la mia testimonianza nel mio piccolo è proprio quello di mettermi a nudo, non puntando il dito verso il carnefice – spiega con estrema umanità –. La mia storia deve metterli in guardia perché non commettano i miei errori”. Eppure quando a 27 anni suo marito l’ha cosparsa di liquido infiammabile e le ha dato fuoco, morendo lui stesso tra le fiamme e lasciandola col volto completamente sfigurato, una mano amputata e l’altra gravemente danneggiata, lei ha deciso di non stare zitta, di non nascondersi, di guardare oltre. Ha ripreso in mano i fili di un’esistenza spezzata e ha tracciato una nuova strada, diventando simbolo della lotta alla violenza sulle donne grazie alla forza con cui ha reagito alla tragedia e alla sensibilità con cui ha raccontato e racconta la sua storia.
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Valentina Pitzalis, Arianna Alessi e Giusy Laganà

“Io non ho saputo riconoscere i campanelli d’allarme, che quella che subivo era violenza psicologica che poi ha avuto un esito terribile. Quando ero ragazzina non venivamo messe in guardia dai vari tipi di violenza ma solo su quella fisica, quindi ero totalmente disarmata di fronte a quello che mi è capitato. Ho sbagliato tanto – ammette con una sensibilità disarmante – e quindi racconto tutti gli errori che ho commesso per far sì che le ragazze riescano a riconoscere i campanelli d’allarme, che suonino dentro di loro come campane”.

Parlare alle giovani generazioni per generare il cambiamento

Che atteggiamento c’è tra gli studenti e le studentesse a cui si rivolge negli incontri? “C’è un clima bellissimo nelle scuole di tutta Italia. Quando io arrivo a raccontare la mia storia loro hanno già fatto dei percorsi multidiscipliari con gli esperti di FARE X BENE, sono informati. Il loro atteggiamento lo trovo molto positivo, di cambiamento, di attenzione. C’è tanta partecipazione e rispetto. Quello che dico sempre è che per me è devastante dover ripercorrere ogni volta tutto, ogni volta perdo un pezzo di me. Ma con la loro attenzione, l’affetto, le domande interessate, quando ti abbracciano o ti confidano di essersi trovate in una situazione simile o di aver valutato in maniera diversa atteggiamenti di un amico o propri, mi danno la forza di andare avanti. Significa che ha senso”.
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Valentina Pitzalis, Arianna Alessi (OTB Foundation) e Giusy Laganà (FARE X BENE) durante un incontro con gli studenti e le studentesse (Instagram)

Per cambiare mentalità, questa cultura di violenza, serve partire dai giovani? “Cedo sia necessario partire già dalle elementari. In questi giorni sento la politica dire che bisogna assolutamente fare qualcosa e si è parlato di quello che in realtà noi facciamo da tantissimi anni, ovvero la sensibilizzazione nelle scuole. Adesso sembra che anche le istituzioni stiano valutando questa opzione e però sono rimasta un po’ male nello scoprire che la proposta di introdurre l’educazione affettiva e sessuale è ancora vaga, si parla solo di un tot di ore per le scuole superiori, in orario extracurricolare, su base volontaria e il consenso dei genitori (progetto Valditara, ndr). Non mi sembra il modo giusto di affrontare la piaga”. Parlavamo di narrazione della violenza: a che punto siamo? “La vicenda di Giulia ha sconvolto l’intera società. E non perché sia l’unica ma per la forza della sua famiglia, della sorella e del padre, per come si stanno comportando i genitori di Filippo, la loro dignità. A volte la famiglia dell’assassino tende e giustificare, a proteggere, io ne so qualcosa; invece in questo caso sta andando in maniera diversa, perché i più giovani si stanno ribellando a questa visione patriarcale. Questa cosa del minuto di baccano, che c’è stato nelle scuole – con FARE X BENE lo abbiamo fatto al liceo Vittorini di Milano – la vogliamo rilanciare per il 25 novembre, perché è ora di dire basta, non dobbiamo più stare in silenzio. Deve cambiare la narrazione, smetterla di dire ‘era un bravo ragazzo’ o ‘faceva i biscotti’ o ‘era un mostro’. No non bisogna disumanizzare: era umano e ha fatto una cosa atroce”.
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Una delle frasi che hanno iniziato a circolare sui social, riferita a Filippo Turetta e alla tendenza a decolpevolizzare l'assassino

Si tende invece ancora a parlare degli uomini violenti come qualcosa di eccezionale, fuori dal normale “È un modo per decolpevolizzare, si trovano ancora attenuanti. E non è giusto: bisogna chiamarlo invece per quello che è. Invece la donna è quella che lo ha lasciato, che ha chiesto il divorzio, che lo ha tradito; lui ha avuto lo scatto d’ira, lui era un mostro, si è scollegato, lui l’amava troppo. Basta, è ora di finirla. Trovo anche sconvolgente che di case rifugio per le donne, in Italia, ce ne siano centinaia, mentre esistano due soli centri per uomini maltrattanti. Una volta che la donna ha trovato il coraggio di denunciare, perché è veramente difficile trovare la forza per farlo, invece di essere tutelata e potersi sentire finalmente libera di vivere la sua vita è lei a doversi rinchiudere”. Oltre ad aver subito violenza viene in qualche modo isolata dal contesto sociale, per essere protetta… “La trovo una cosa assurda. Senza parlare poi di come nella mentalità attuale è sempre più comune la vittimizzazione secondaria: un numero enorme di persone è convinto che una donna, se vuole davvero, si può sottrarre a un rapporto sessuale, che se viene stuprata ‘se l’è andata a cercare’, è lei che ha provocato, è lei che era ubriaca, è lei che aveva la minigonna.  E se ti salvi, come nel mio caso, e il tuo carnefice muore, c’è qualcosa che non torna. Io ho una ‘grave colpa’: essere sopravvissuta. E in più ho raccontato, non sono stata in silenzio, non mi sono ammazzata dopo o nascosta in casa perché sono sfigurata.
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Valentina Pitzalis, ambasciatrice di FARE X BENE

Ho osato raccontare e sopravvivere, quindi hanno cercato in ogni modo di farmi passare a mia volta per la carnefice. Ed è devastante. Capisco tutte le donne che hanno paura di denunciare, perché non si sentono poi protette e tutelate. Tutto il sistema andrebbe scardinato e ricostruito, ma serve partire dalle basi, dalla prevenzione, dalle scuole primarie, da un’educazione obbligatoria al rispetto e all’affettività”.  La vicenda di Giulia Cecchettin, secondo lei, ha fatto scattare qualcosa in termini di cambiamento? “Sì, secondo me qualcosa, nella testa di molti giovani, è scattata. Vediamo dalle manifestazioni di questi giorni in tutta Italia che invece di stare in silenzio si sta facendo rumore, si pretende giustizia, si vuole certezza della pena e non tanto l’inasprimento, perché le leggi ci sarebbero anche ma il punto è applicarle veramente, senza discrezionalità. Secondo me questa potrebbe davvero essere la volta buona che si smuove qualcosa perché l’omicidio di Giulia è stato qualcosa di devastante, ci sono stata malissimo perché ho visto troppe similitudini con il mio caso. Ero lì a sperare che non ci fosse questo epilogo, che però tutte ci aspettavamo e così è stato. Però secondo me ha segnato davvero tante persone e spero che avvenga la ribellione giusta, che le cose possano cambiare, e che se ne continui a parlare non solo il 25 novembre. Io ci voglio credere”.