Una donna sfida la Russia, la sua patria, il suo governo che è suo nemico. Una donna che ha perso un compagno, un punto di riferimento, ma non ha perso il coraggio di opporsi. “Mio marito è stato ucciso da Putin”. Punta il dito senza esitazioni contro il Cremlino la vedova di Alexei Navalny, suggerendo che la morte potrebbe essere stata indotta con l'uso del Novichok, l'agente nervino già comparso nel precedente avvelenamento dell'oppositore, nel 2020.
E in un video diffuso sui social Yulia Navalnaya annuncia di essere pronta a raccogliere l'eredità politica del dissidente di cui è stato annunciato il decesso nei giorni scorsi mentre si trovava in un carcere in Siberia. Il video è subito virale, l’annuncio non sorprende, anche se arriva proprio nel giorno in cui la donna è a Bruxelles per partecipare al Consiglio dei ministri degli Esteri della Ue.
La mamma di Navalny e quel corpo che non si sa dove sia
Ma al suo fianco, oltre ai tanti sostenitori, ai figli, c’è metaforicamente un’altra donna, che in realtà in questi giorni, nonostante le rigidissime temperature, è in siberia, davanti al carcere dov’era rinchiuso il figlio, dov’è morto, dove si pensa si trovi la sua salma. Lyudmila Navalnya è una donna di 69 anni che vaga nella tormenta, ma al di là della porta del penitenziario sono inflessibili: “Qui il cadavere non c’è”, le rispondono senza fare complimenti le guardie, “l’hanno trasferito all’obitorio di Salekhard per l’autopsia”. Lei non si arrende, a più riprese si ripresenta alla guardia per chiedere di vedere il corpo, per riportarlo a casa e dargli una degna sepoltura.
L’ultimo aggiornamento è arrivato ieri: la salma non sarà restituita per altri 14 giorni, finché non saranno eseguiti tutti gli esami clinici necessari. Ludmila non commenta, a piccoli passi torna dall’avvocato che ha affiancato il figlio nelle sue battaglie legali dopo la reclusione. La sua battaglia, a differenza di quella della nuora, è silenziosa, ma altrettanto potente.
Secondo Yulia questa anomala reticenza a consegnare la salma di Navalny alla famiglia è legata alle cause del decesso: questi giorni “servono a far sparire i segni dell’avvelenamento da Novichiok”, annuncia da Bruxelles. Intanto le due donne, a migliaia di chilometri di distanza, proseguono nella loro lotta per la verità, per la giustizia, che nemmeno il gelo artico potrà fermare.
Yulia Navalnaya: la voce del dissenso nel nome del marito
“Continuerò il lavoro di Alexei Navalny” ha promesso Navalnaya e rivolgendosi ai ministri degli Esteri europei ha chiesto: “Continuerò a lottare per il nostro Paese. Vi invito a stare al mio fianco”, aggiungendo di voler costruire una Russia “come la immaginava” lui, “piena di dignità, giustizia e amore”.
L’accusa al presidente/zar ricalca quella che, nei giorni scorsi dopo l’annuncio della morte, è stata lanciata da voci autorevoli della politica internazionale, dall’Unione europea alla Casa Bianca. Un’accusa che, pronunciata da questa donna, ha però un valore diverso.
Non un annuncio privo poi di conseguenze concrete – sappiamo bene quanto le sanzioni imposte finora non abbiano scalfito il potere del Cremlino –, non un impegno obbligatorio in un momento di evidente tensione.
Ma una promessa di passare il resto della propria vita a lottare con ogni mezzo l’oppressore russo, la corruzione che imperversa nel Paese, il regime che reprime ogni differenza, ogni voce che non si piega all’imperialismo fascista – sì, fascista – di Vladimir Putin. A battersi per i diritti di chi vive nel terrore, nella povertà, per le generazioni future. Il presidente le ha ucciso il marito, ma Yulia Navalnaya non resterà zitta, non si ferma. A dimostrazione che Navalny era solo il rappresentante di un movimento di dissenso potente e trasversale, che ora ha una nuova rappresentante, che ora grida con voce femminile: “La Russia non è Putin”, e “Putin” non rappresenta “la Russia”.
Il video
La vedova di Alexei Navalny, poche ore prima dell’arrivo a Bruxelles e appena tre giorni dopo la dichiarata morte del dissidente russo nella prigione artica, ha diffuso sui social un video in cui, evidentemente provata dal dolore ma con una determinazione impareggiabile, ha dichiarato: “Tre giorni fa, Vladimir Putin ha ucciso mio marito, Alexei Navalny. Sappiamo le ragioni per cui lo ha ucciso, e presto ve le diremo”.
“Salve. Sono Yulia Navalnaya, sono qui per la prima volta su questo canale oggi. Voglio rivolgermi a voi. Non avrei dovuto essere in questo posto. Non avrei dovuto registrare questo video. Avrebbe dovuto esserci un'altra persona al mio posto. Ma quest'uomo – dice mentre sullo schermo appare la foto dell’oppositore russo – è stato ucciso da Vladimir Putin”. Poi appare l’immagine di Navalny con i figli e Yulia stessa: “Putin ha ucciso il padre dei miei figli. Putin mi ha portato via la cosa più cara che avevo, la persona più vicina e più amata”.
“Ma Putin ha portato via Navanly anche a voi. Da qualche parte in una colonia nel lontano Nord, sopra il circolo polare Artico, nell'inverno eterno, Putin ha ucciso non solo un uomo, Alexei Navalny. Insieme a lui, voleva uccidere le nostre speranze, la nostra libertà, il nostro futuro, distruggere e annullare la migliore prova che la Russia può essere differente, che siamo forti, che siamo coraggiosi, che crediamo e lottiamo disperatamente e vogliamo vivere in modo differente”.
Invece come una fiamma sempreterna la speranza continua a brillare, affievolita ma ancora accesa.