Il lavoro impedisce di vivere una vita felice? Più di un under 35 su due preferisce lasciarlo

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
1 maggio 2022
lavoro giovani

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L’era dei 'bamboccioni' è finita. Al loro posto, ci sono donne e uomini disposti a tutto pur di essere felici. E se è vero com'è vero che il lavoro nobilita l’uomo - e pure la donna - è altrettanto vero che lo fa solo se rende felici. A rovesciare il paradigma “il lavoro non si rifiuta mai” pare essere stata la pandemia. Smart working e flessibilità sembrano aver, d’un tratto, spalancato gli occhi a intere generazioni di giovani e giovanissimi, consentendo loro di comprendere che lo stipendio, in fin dei conti, non è tutto. La ricerca condotta da Randstad che ha coinvolto 35 mila persone di età compresa tra i 18 e i 67 anni provenienti da 34 diversi Paesi, Italia compresa, non ha lasciato spazio a dubbi: gli under 35 di essere occupati e infelici proprio non ne vogliono sapere.

Se il lavoro impedisce di 'vivere la vita', più di un under 35 su due preferisce lasciarlo

Felicità al primo posto, davanti a carriera e scalate sociali

La tendenza è, in generale, a mettere al primo posto l’appagamento personale, a discapito di carriera e scalate sociali. Ciò vale ancor di più per i giovani tra i 18 e i 35 anni. Il 56% degli intervistati, ovvero più di un giovane su due, non ha fatto difficoltà a confessare che, qualora il lavoro impedisse loro di “vivere la vita”, non ci penserebbero due volte a lasciarlo. Tra i più grandi, nella fascia che va dai 55 ai 67 anni, la percentuale crolla al 38%. I giovani d’oggi non hanno alcuna intenzione di diventare gli adulti rassegnati di domani. E non finisce qua: il 40% dei giovani preferisce essere disoccupato piuttosto che infelicemente occupato. E che non venga letta come una mancanza di ambizione. Gli under 35 hanno le idee chiare in fatto di carriera e sono fermamente convinti che il lavoro sia un tassello fondamentale della loro vita. Ma senza compromessi. La faccenda deve essere win-win, altrimenti non ne vale la pena. A confermare questa tendenza ci sono i numeri relativi alla cosiddetta “Great resignation”, un fenomeno che vede un numero sempre più elevato di lavoratrici e lavoratori presentare le proprie dimissioni nella speranza di trovare un’occupazione più soddisfacente. Il 41% delle ragazze e dei ragazzi con meno di 35 anni hanno lasciato il posto di lavoro proprio per questo motivo.

Il 40% dei giovani preferisce essere disoccupato piuttosto che infelicemente occupato

Flessibilità, leggerezza, cambiamento: i nuovi valori del lavoro

La questione è semplice: il lavoro deve essere un luogo fisico e astratto in cui trovare la propria dimensione individuale e collettiva. Condividere valori e stili di vita è fondamentale per sentirsi davvero appagati e, quindi, felici. Il 43% del campione su questo non intende sindacare: lavorare per chi ha valori sociali e ambientali diversi dai propri è impensabile. Il 41%, poi, non è disposto a scendere a patti su diritti, valorizzazione delle diversità e inclusività. Un nuovo approccio al lavoro che getta le basi di una rivoluzione dell’intero modello occupazionale. Del resto, che il lavoro “solido” si sarebbe scontrato con la società liquida Bauman lo aveva già teorizzato, anticipando di qualche anno ciò che adesso è sotto i nostri occhi e che il Covid-19 ha aiutato a diventare presente. La flessibilità non è più un’imposizione ma una necessità. La leggerezza è diventata uno status symbol positivo. Il cambiamento - davvero e non solo per convincimento - è un’opportunità. È proprio vero: i tempi cambiano in fretta.