Antartide state of mind, Chiara Montanari e le sue "Cronache dai ghiacci"

E' la prima donna italiana a capo di una spedizione in Antartide: "Mi hanno spesso offerto il ruolo di assistente nonostante avessi più esperienza, credevano che non fossi all'altezza. Poi hanno capito"

di TERESA SCARCELLA
19 novembre 2023
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E' freddo, freddissimo. Isolato, un'immensa distesa bianca che si confonde con l'azzurro del cielo, nella quale è impossibile non sentirsi piccoli. Ma l'Antartide ha tantissimo da insegnare e Chiara Montanari, ingegnera del Politecnico di Milano originaria di Pisa, prima italiana a capo di una spedizione al Polo Sud, ne sa sicuramente qualcosa. È una storia d’amore quella tra lei e l’Antartide, nata anni fa, subito dopo la laurea e poi proseguita nel corso del tempo, suggellata dalla sua prima direzione di una missione. Una storia raccontata in “Cronache dai ghiacci, 90 giorni in Antartide“. Quel luogo finisce per diventare un vero e proprio stile di vita che Montanari cerca, e riesce, a portare con sé. Lo spiega lei stessa al festival di Pistoia, "Pari e dispari" e lo spiega in questa intervista. antartide-chiara-montanari

L'Antartide non si spiega, si vive

Come nasce “Cronache dai ghiacci“? "L’ho scritto alcuni anni fa. Una giornalista mi aveva chiesto di descrivere la mia giornata tipo e non riuscivo a spiegargliela, semplicemente perché lì non c’è una giornata tipo. Così le ho mandato una pagina di diario che avevo e questa pagina è poi diventata un libro. Racconta un’avventura che ho vissuto in Antartide, ma più in generale racchiude l’esperienza di come si vive lì, come mai si va lì, cos’è una missione, che tipo di ricerche facciamo, con uno sguardo al lato umano. Quindi spiega come gli esseri umani catapultati in un ambiente estremo riescano a vivere e prosperare. Il tema è proprio questo: come noi, all’interno dell’incertezza, possiamo crescere. L’Antartide è una metafora del periodo che stiamo vivendo, molto interessante da questo punto di vista, ricco di colpi di scena. È una storia d’amore con l’incertezza che, è vero che ci spinge nello sgomento, ma può risvegliare la nostra vitalità che, al contrario, si addormenta nella tranquillità, vittima delle nostre abitudini, dei nostri schemi. L’incertezza, invece, è una grande chiamata al risveglio della consapevolezza. Motivo per cui ho sviluppato un metodo, “Antarctic Mindset“, che propongo alle aziende per riscoprire la nostra capacità di far fronte all’incertezza e sviluppare talenti". antartide-chiara-montanari

L'incertezza è nostra alleata

Che poi è quella condizione che oggi vivono soprattutto le nuove generazioni. "Non solo, ma soprattutto loro. I giovani sono infatti massacrati da narrative assurde che non hanno senso, perché l’essere umano, come ci insegnano i filosofi, nasce nell’incertezza e l’idea del controllo è solo un’illusione. Il problema è che ci massacriamo di narrative negative e riduciamo la nostra possibilità di espanderci. Ci stiamo auto limitando senza motivo. Stiamo affrontando sicuramente problemi molto grandi (come il cambiamento climatico, guerre), ma se cambiamo narrativa, questi stessi problemi diventano accessibili. Si tratta di un click, un cambio di prospettiva". Ha avuto difficoltà durante le sue esperienze? "Difficoltà tantissime. L’ultima volta la base (Concordia, la base di ricerca italo-francese situata nel Polo Sud ndr ) era stata saccheggiata e sabotata al nostro arrivo. Primo e unico caso di questo tipo in Antartide. Ci sono poi ovviamente le difficoltà fisiche: la base si trova in cima alla calotta polare, a 3700 metri di altitudine, a -50 gradi d’estate e -80 in inverno. Si vive in isolamento, e abbiamo poco tempo per effettuare la nostra attività. È un’esperienza sfidante".

"Pensavano che non fossi all'altezza di guidare la spedizione"

antartide-chiara-montanari Lei è la prima donna italiana a ricoprire questo ruolo, all’interno di un ambiente prevalentemente maschile. Come ci si sente a vivere con questo primato? "Non è stata una passeggiata arrivarci. Più volte, in passato, mi è stato proposto di fare l’assistente al capo di spedizione nonostante avessi più esperienza. Pensavano che per qualche motivo non fossi all’altezza. È una questione di mentalità. Quindi ho rifiutato fino a che non è arrivata la proposta di guidare la missione. Penso sia una cosa storica, la vivo come una naturale evoluzione, come una sfida da superare".