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La pressione sociale, un fattore che inficia la quotidianità di milioni di persone
Che siano standard di genere o canoni estetici, tradizioni e consuetudini portano con sé un lato oscuro che molte volte viene minimizzato o, spesso, oscurato, dietro ad un ridondante “si è sempre fatto così”. Ovunque, infatti, l’evoluzione dei costumi sociali non è quasi mai stata in grado di seguire i cambiamenti che hanno investito la sensibilità dei rispettivi popoli che le considerano, molto spesso, parte inconfutabile del proprio corredo culturale. Una contrapposizione che, con una frequenza particolarmente elevata, genera un’aspettativa talmente elevata da provocare conseguenze estremamente gravi sul piano personale e comunitario.
Uguaglianza sociale e diritti personali, spesso, si scontrano con i lasciti di mentalità superate grazie ad anni di lotte e di rivendicazioni o che, talvolta, risultano ancora ben salde al proprio posto. Analogamente, anche le rivoluzioni conservatrici portano con sé rinnovati teli scuri sotto ai quali nascondere larga parte della popolazione come, ad esempio, col ritorno dei talebani alla guida dell’Afghanistan. Al di fuori dei ben più complessi regimi autocratici o tradizionalisti, anche le democrazie sono affette da pesanti codici etici, morali, lavorativi o consuetudinari in grado di complicare la quotidianità di cittadini e cittadine. Un fenomeno che, in funzione di varie declinazioni, riguarda qualsiasi nucleo sociale esistente, in una lotta continua tra macro e micro, tra personale e popolare, che spesso influenza le scelte di vita di chi è sottoposto a questa latente quanto incessante pressione.
Giappone, Taiwan e… Svezia: “karoshi” e “karojisatsu”
In ambito lavorativo, i Paesi lambiti dai confini occidentali dell’Oceano Pacifico condividono sicuramente una mentalità di assoluta dedizione al lavoro che, molto spesso, affligge gran parte della popolazione, condizionandone in particolar modo la salute mentale. Ciò che può essere definito agli antipodi di una mentalità propria dell’Europa continentale che, ad esempio, contempla fenomeni come la siesta tipica della penisola iberica, risiede non nell’imposizione di datori e datrici di lavoro, tipica anche del Vecchio continente. Questa propensione al lavoro al di fuori dell’orario obbligatorio, infatti, risiede in una tradizione sociale che impone ai lavoratori e alle lavoratrici di rispettare una ben precisa etica comportamentale, la quale premia la permanenza del dipendente sul posto di lavoro ben oltre il normale al fine di evitare onta e disonore pubblico.
Il primo caso di “karoshi” e, in caso di suicidio, di “karojisatsu”, è stato individuato nel 1969, quando un operaio di soli 29 anni morì a causa dello stress causato dalla propria mansione. Analogamente, nel 2013, la reporter Miwa Sado è morta dopo ben 159 ore di lavoro straordinario in un mese, con una media di 80 ore lavorative settimanali, circa 12 ore lavorative al giorno. Una possibilità prevista dal contratto della lavoratrice, a testimonianza di quanto queste pratiche, pur riconosciute come causa ufficiale di morte, non vengano accuratamente affrontate nel dibattito pubblico.
Questo modello performativo, assolutamente deleterio per la salute dei e delle dipendenti, è stato esportato in molti stati del mondo quali, ad esempio, i ben più vicini Cina, Taiwan e Nepal, quest’ultimo al primo posto nelle statistiche che trattano questo specifico caso, ma anche nell’Europa del nord. Secondo la World Health Organization, infatti, nella sola Svezia circa 770 lavoratori muoiono annualmente a causa delle pressioni sociali che generano un eccesso di lavoro.
Corea del Sud: apparire, non essere
Abbandonando l’ambito lavorativo, al fine di comprendere un ulteriore ambito pesantemente influenzato dalle aspettative sociali è necessario spostarsi in Corea del Sud. Al di sotto del 44° parallelo, infatti, gli standard di bellezza che attanagliano fin da piccoli la vita dei cittadini e delle cittadine imprimono una fortissima destabilizzazione nella popolazione locale, generando aspettative che, spesso, vengono soddisfatte a fronte di conseguenze estremamente gravi. Sono numerosi, infatti, i casi di depressione e suicidio, tanto da costituire un vero e proprio problema sociale specialmente negli e nelle adolescenti.
Il sistema scolastico e lavorativo, estremamente competitivo, estende questa logica del confronto anche all’aspetto esteriore, vincolando coloro che non rispettano determinati canoni estetici a conformarsi a dettami radicati nelle stesse generazioni. Un meccanismo il quale, molto spesso, porta ad un abuso della medicina estetica, particolarmente sviluppata nel paese, la quale non è certo esule da numerose conseguenze su molteplici piani. Dalle esternalità psicologiche fino ad arrivare a quelle sanitarie, un eccesso di queste pratiche investe e riveste la totalità della popolazione, ponendo la Corea del Sud a capofila di un fenomeno diffuso in molti altri paesi del mondo. Norme e regole che, spesso, si “limitano” però all’abbigliamento o ad altri canoni meno invasivi, se paragonati alla pervasività delle pratiche sociali che regolano Seoul e dintorni come, ad esempio, le operazioni alle palpebre o alle mascelle. Pratiche che, negli ultimi anni, hanno provocato alcune decine di morti legate, in particolar modo, al mancato rispetto di norme e protocolli sanitari al fine di rendere più accessibili queste pratiche.
Il peso delle tradizioni: onore e genere
Molto spesso, infine, sono le tradizioni a colpire la quotidianità di coloro che sono chiamati e chiamate a scegliere il modo in cui orientare il proprio futuro. Il trascorso familiare, spesso, influenza le decisioni che molti adolescenti sono chiamati a prendere nei momenti di cambiamento delle rispettive vite, impedendo un corretto sviluppo delle propensioni di ognuno. Una prospettiva declinabile in merito a numerose prospettive quali, ad esempio, maternità, genitorialità, ma anche percorsi di studio e cura del nucleo familiare.
In Italia, così come in società statiche e suddivise per caste quali India o Nigeria, ad esempio, ciò genera pressioni che molto spesso deflagrano in funzione di elevati livelli di stress e pressioni insostenibili. Caratteristiche che, in numerose regioni del mondo, hanno comportato negli ultimi anni numerosi casi di omicidio d’onore, ben in grado di esemplificare fin dove il peso delle tradizioni possa arrivare nel condizionare un’assurda tutela dell’onore della famiglia al cospetto del contesto nel quale essa è inserita.
Fattori che, molto spesso, imprimono sugli altri membri del nucleo relazionale scelte e decisioni, le quali contrastano a pieno con le propensioni di chi è costretto a subire queste imposizioni. Fattori i quali, molto spesso, si intrecciano con una tradizione profondamente discriminatoria e settorializzata in funzione del genere di chi viene vessato, più o meno consapevolmente, da chi impone la propria volontà sui membri stessi del proprio nucleo familiare o del contesto sociale di appartenenza.