
Il borgo di Pietramelara, in provincia di Caserta
Qualche giorno fa vi abbiamo raccontato del Trentino e della sua sfida: combattere lo spopolamento delle aree marginali attraverso incentivi concreti per chi sceglie di tornare o di restare. Un modo per ridare vita a territori spesso dimenticati, che si affianca a un'altra iniziativa diventata famosa anche grazie alla sua aura suggestiva: le case vendute a 1 euro. Un’idea che a prima vista può sembrare solo una trovata pubblicitaria, ma che in realtà nasconde molto di più: una narrazione alternativa sull’abitare, sulle scelte di vita, sul valore della terra e sull’urgenza di ricucire le fratture che attraversano il nostro Paese.
Non è un caso se persino Netflix ha deciso di raccontarla, ambientando il film La dolce villa tra le meraviglie della Val d'Orcia, dove un padre e una figlia americani decidono di scommettere tutto sull’euro più carico di significati della loro esistenza. Certo, la storia è romanzata, ma il messaggio di fondo resta potente: dietro quell’euro simbolico c’è la possibilità di una seconda occasione – per le case, per i luoghi, ma anche per le persone. Una possibilità che parla a chi ha il coraggio di immaginare una vita diversa, più lenta, più radicata, più umana.

Perché no, non si tratta di un’illusione né di una leggenda metropolitana: il progetto esiste davvero e coinvolge decine di Comuni in tutta Italia, da nord a sud, dalle Alpi alla Sicilia. Un euro per acquistare una casa abbandonata, a patto di versare una caparra di 5.000 euro e di impegnarsi a ristrutturarla entro tempi definiti. Un investimento che, tra lavori, burocrazia e permessi, può arrivare anche a 50.000 euro, ma che resta competitivo e accessibile per chi, stanco della frenesia urbana e degli affitti da capogiro, cerca un modo nuovo di vivere. Magari immerso nel silenzio di un borgo, tra strade acciottolate, profumo di legna nei camini e comunità dove ci si chiama ancora per nome.
Nato in Sicilia, questo progetto ha acceso una scintilla che ha cominciato a diffondersi: quella di un’Italia che prova a riabitarsi, a ricucire i vuoti lasciati dall’emigrazione e dall’abbandono, a rimettere al centro la dignità dei luoghi e delle persone. È una forma di resistenza gentile e concreta, che oppone alla logica dello spopolamento e della marginalità una visione basata sulla cura, sull’accoglienza, sulla possibilità di tornare a costruire legami reali.
Per tanti giovani, stretti nella morsa di affitti impossibili, precarietà cronica e città sempre meno vivibili, rappresenta una possibilità concreta di indipendenza e riscatto. Non una favola, ma un’alternativa da valutare, da costruire passo dopo passo. Un modo per uscire dalla trappola della metropoli e riscoprire la forza di un’abitazione che non è solo un tetto, ma un luogo dell’anima.
Certo, da sola non basta. Per riportare davvero vita nei borghi servono servizi essenziali, connessioni digitali stabili, opportunità di lavoro e di crescita. Servono visioni a lungo termine, politiche pubbliche coraggiose, un impegno collettivo e una regia nazionale che tenga insieme le esperienze virtuose e le trasformi in un modello replicabile. Ma intanto, le case a 1 euro ci ricordano qualcosa di fondamentale: che l’Italia può ancora essere abitata in modo diverso. Che esistono spazi per una nuova idea di futuro.
Perché il diritto alla casa, alla bellezza, al radicamento sul territorio non deve essere un privilegio per pochi, ma un orizzonte condiviso da costruire insieme. E perché il futuro dei borghi non riguarda solo chi ci vive oggi, ma parla anche di noi, del Paese che vogliamo essere domani. Un Paese dove abitare significhi appartenere e dove nessun luogo sia mai davvero troppo piccolo per contenere grandi sogni.