Festa della Mamma: donna madre a tutti i costi? “Basta pressione sociale”

Con la psicologa e psicoterapeuta Cristina Di Loreto e con la medico-anestesista e creator Sasha Damiani affrontiamo i tabù e le sfide legate alla maternità

di MARIANNA GRAZI -
12 maggio 2024

Oggi si celebra la Festa della Mamma. Ok, ma che significa, davvero, essere madri in questo momento storico, nel nostro Paese?

Ne abbiamo parlato con due mamme e professioniste d’eccezione, Cristina di Loreto, psicologa e psicoterapeuta di Me First, è già stata spesso ospite del nostro canale, e Sasha Damiani, medica anestesista e content creator di Mamme a Nudo, che insieme – ne avevamo parlato qualche settimana fa qui – hanno anche ideato e portano avanti il progetto Mamme in Camice.

Come affrontare il burnout di mamma lavoratrice?

Un’idea nata da Damiani, incontrando un’iniziativa già avviata all’interno di Me First durante la pandemia; la domanda di base è stata: come facciamo a supportare le donne madri, che lavorano in ambito sanitario, dando loro strumenti per prevenire l’esaurimento emotivo e il burnout?

“Abbiamo pensato a un percorso, partito con un webinar gratuito, che fornisse gli strumenti per di prevenzione dell’esaurimento emotivo a quelle donne che lavorano su turni, in ospedale, fanno le notti, durante i festivi e già affrontano il senso di inadeguatezza di essere mamme lavoratrici ma con quel fattore in più del non esserci nei momenti importanti dei bambini” dicono le ospiti del salotto di Luce!.

“All’interno di questo progetto – aggiungono – abbiamo voluto anche dare degli strumenti comunicativi per professionisti, rispetto a quando si incontra una donna che è partoriente o già madre, per evitare forme discriminanti o denigratorie delle domande che potrebbero porre loro”.

Cristina Di Loreto
Cristina Di Loreto

La violenza ostetrica

Sasha Damiani, attraverso il suo lavoro di medico anestesista e creator, si occupa di promuovere l’autodeterminazione delle donne in ambito ostetrico-ginecologico. Con lei abbiamo parlato di violenza ostetrica, un fenomeno sommerso e troppo spesso normalizzato, che ha poi portato alla nascita del progetto Mamme a Nudo. “È un modo di togliere dignità alle persone che vivono un percorso riproduttivo finalizzato alla gravidanza, il parto e il post partum, nel quale la violenza (intesa appunto come lesione della dignità) si può esplicare in tanti modi diversi per atteggiamenti da parte del personale sanitario che segue la donna in qualunque momento del parto”. Si va dalle offese verbali e non verbali alle minacce, oppure sono imposte o negate alle donne pratiche o farmaci senza il loro consenso e senza che ci siano indicazioni mediche precise.

“È come se la donna in quel momento fosse un oggetto, in balia della decisione di altri, infantilizzata dal personale sanitario che si sostituisce alla sua volontà – dice la dottoressa –. Ci possono essere delle conseguenze molto devastanti sul piano fisico e psichico a causa della violenza ostetrica. Per fare un esempio possiamo citare la negazione della analgesia, del sollievo dal dolore, nel momento del travaglio, del parto e del post partum. A determinare questo atteggiamento – conclude – è il ritenere che la priorità sia l’essere diventata madre, e nel momento in cui una donna diventa madre tutto il resto, compreso il rispetto del corpo e il desiderio legittimo di non provare un dolore non necessario debba andare in secondo piano”.

Cristina Di Loreto con il figlio
Cristina Di Loreto con il figlio

Come affrontare il trauma

C’è scarsa consapevolezza rispetto a queste tematiche, per questo ne vogliamo parlare proprio in occasione della Festa della Mamma, per sensibilizzare la società su quello che può comportare subire un evento (come il parto e tutto ciò che orbita intorno al diventare madri) traumatico.

“Informatevi – suggerisce Cristina Di Loreto – perché informarsi significa anche poter mettere dei confini, perimetrare la propria dignità rispetto ad atteggiamenti in un percorso che, a tutti gli effetti, è vostro”.

Rispetto a questo tipo di eventi, che portano alla percezione di rischio o addirittura alla possibilità di morte, è sempre bene fare una valutazione e chiedere eventualmente il supporto di uno specialista per poter elaborare e processare l’accaduto. “Aver vissuto un trauma così grande non vuol dire che debba rimanere addosso per sempre – continua l’anima di Me First –. Si può ricorrere anche a poche sedute di terapia, ma facendosi accompagnare da uno specialista”.

Sasha Damiani e il figlio
Sasha Damiani e il figlio

Depressione perinatale e maternity blues

Per evitare, ad esempio, che si incappi in un altro fenomeno spesso nascosto e fonte di vergogna, come la depressione post partum?

“Ci tengo a fare chiarezza partendo dal termine: quello corretto sarebbe depressione perinatale, perché circa un 30% delle donne che hanno depressione post partum in realtà hanno avuto esordi dei sintomi già in gravidanza o anche prima”. Lo stereotipo, in questo caso, riguarda l’utilizzo di psicofarmaci nei casi più gravi: la psicoterapeuta invita a rompere questo tabù, non è vero che in gravidanza o in allattamento non si possano usare, ma sempre affidandosi a esperti.

“Una percentuale altissima di donne (con punte fino all’80%), poi, dopo il parto si trovano a fare i conti col maternity blues, cioè la condizione para fisiologica di vulnerabilità che è normale che la madre senta. In quel momento, sembra assurdo, ci sentiamo di dover tirar fuori tutta la forza per accudire ma sentiamo anche un forte bisogno di accudimento. È totalmente normale che sia così. Se il maternity blues non si risolve in massimo un paio di settimane, però, è il caso di chiedere aiuto”.

Basta vergogna

La cosa più importante, che ci tengono a dire le due mamme professioniste, è abbattere lo stigma che circonda la salute mentale: una donna non si vergognerebbe mai a dire che si è rotta un braccio, ma si vergogna nell’ammettere la depressione post partum, come se questo la rendesse meno degna di essere madre. Questo ha a che fare con gli stereotipi che circondano la maternità, che vedono la vita della donna prima di tutto finalizzata al diventare mamma “e poi una realizzazione che si esplica nel: diventare madre ti deve bastare (spoiler: no non basta, ndr) ti deve rendere felice e se non ti rende felice c’è qualcosa che non va ed evidentemente non ti meriti questo figlio”, precisa Sasha Damiani.

Io non sono stata felice quando sono diventata madre - aggiunge Di Loreto –. Da lì ho capito che non avevo strumenti per affrontare questa infelicità dopo questa grande promessa sociale che la maternità corona i tuoi sogni. Pur amando visceralmente i miei figli mi sono detta ok la psicologia da questo punto di vista ha lasciato una falla. Quindi con Sasha si è creata un’ottima sintonia, trattiamo gli stereotipi sulla maternità da punti di vista diversi ma con obiettivi simili: fare il meglio per le donne che decidono di avere dei figli”.

Cristina Di Loreto con la figlia
Cristina Di Loreto con la figlia

Sono una donna – non solo o anche senza – essere mamma

Già perché essere donna porta, quasi per obbligo ancora oggi, nel nostro Paese, a sentirsi in dovere di essere mamma. Perché altrimenti non sei completa, non puoi essere realizzata, perdi quasi il tuo valore sociale oltre che umano. Come scardinare questo pregiudizio?

“Dobbiamo iniziare a dire e credere che si può essere donne appagate pur senza diventare necessariamente madri – sostiene la psicoterapeuta –. Io supporto la maternità consapevole: fare un figlio se lo si sente come una pressione sociale non funzionerà per nessuno; al contempo se sento di non volere un figlio la decisione va rispettata e difesa, ma se non lo faccio perché penso che non sia conciliabile con il mio lavoro ecco mi sento di dire che invece ci possono essere delle strade. Chiaro non facili, ma Me First vuole appunta dare strumenti per conciliare la genitorialità con tutti gli altri ruoli della nostra identità”.

“Il paradosso che stiamo vivendo in alcune società, compresa quella italiana – aggiunge la founder di Mamme a Nudo – è quello di una forte pressione sociale a diventare più madri che padri, perché sembra che la donna non possa realizzarsi al di fuori della maternità. Ma accanto a queste forti spinte per diventare madri a tutti i costi, nel momento giusto e all’età giusta, non c’è adeguato sostegno per quelle che lo diventano e lo vogliono diventare. La maternità rimane addosso con delle implicazioni sull’ambito lavorativo e nella vita che possono essere difficili da gestire. Sarebbe meglio puntare sulla libertà – conclude – e sull’autodeterminazione di ogni persona, che possa decidere liberamente se diventare o meno genitore, e per chi diventa genitore aiutare con tutti i mezzi possibili, istituzionali, perché è un bene per tutta la società”.