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Home » Lifestyle » Iran, bambine e studentesse avvelenate “per far chiudere le scuole femminili”

Iran, bambine e studentesse avvelenate “per far chiudere le scuole femminili”

Sono centinaia i casi di malesseri registrati tra le piccole alunne della città di Qom, ma ora emergono anche episodi simili nelle università di altre zone. Il viceministro alla salute ammette l'avvelenamento

Marianna Grazi
27 Febbraio 2023
Bambine di una scuola elementare iraniana. Sono centinaia i casi di avvelenamento di giovani alunne

Bambine di una scuola elementare iraniana. Sono centinaia i casi di avvelenamento di giovani alunne

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Colpire le studentesse per chiudere le scuole femminili. Non è uno slogan di pessimo gusto ma quello che è realmente accaduto negli ultimi mesi a Qom, una delle principali città religiose dell’Iran, centro per eccellenza di studi sciiti. Qui si è consumato un vero e proprio dramma, che ha coinvolto centinaia di bambine, avvelenate nelle loro scuole in “modo intenzionale”, come ammette il viceministro della Salute. L’obiettivo, come detto, è quello di chiudere questi istituti, come già accaduto in Afghanistan. Sembra un copione già letto, in effetti, ma a tinte ancora più fosche. Infatti anche la città di Borujerd, nel centro del Paese, è stata teatro di episodi simili: nelle ultime 48 ore, come riporta Bbc Persian, oltre 90 alunne delle scuole superiori si sono recate in ospedale con sintomi di avvelenamento. 

Centinaia di studentesse iraniane sono finite in ospedale per intossicazione: il viceministro della Salute ammette che gli avvelenamenti ci sono effettivamente stati

Una vicenda terrificante, i cui contorni restano poco chiari, di cui si stanno occupando fonti sanitarie e del governo, ma anche media locali e internazionali. Quella che emerge, ancora una volta, è la brutalità delle autorità, intente a reprimere nel sangue il dissenso e a porre un bavaglio alle donne, simbolo della rivolta. Si sono tolte il velo, in pubblico, durante le manifestazioni o le gare sportive, ma anche in classe; si sono tagliate i capelli; sono scese in piazza a gridare contro il regime che le opprime, sfidando apertamente la polizia morale, mettendo a rischio la vita per un’ideale di libertà più alto. E guarda caso sono proprio le scuole e le università i luoghi dove si forma l’opposizione politica, i luoghi che le autorità conservatrici temono di più e che puntano a chiudere, quasi a replicare l’esempio del vicino Afghanistan che – sotto il giogo talebano – ha vietato l’istruzione femminile.

Le donne sono state e sono ancora oggi il motore centrale della protesta contro le autorità in Iran

Non è la prima volta che in Iran si parla di casi simili. Alla fine di ottobre destò scalpore il caso di una studentessa universitaria di 21 anni, Negin Abdolmaleki, morta per avere bevuto alcol avvelenato. Sconcertanti anche le rivelazioni sugli attivisti drogati o avvelenati in carcere, puniti per avere partecipato alle proteste contro la Repubblica Islamica scatenate dalla morte di Mahsa Amini. Dalla fine di novembre, i media locali hanno riscontrato casi di avvelenamento respiratorio di centinaia di bambine di circa 10 anni nelle scuole della città di Qom: secondo l’agenzia Irna, il 14 febbraio scorso i genitori delle alunne si sono riuniti davanti al governatorato della città per “chiedere spiegazioni”, mentre il viceministro della Salute Youness Panahi ha rivelato recentemente che “è emerso che alcuni individui volevano che tutte le scuole, soprattutto quelle femminili, fossero chiuse”. L’avvelenamento – ha poi spiegato – è stato causato da “composti chimici disponibili non per uso militare, e non è né contagioso né trasmissibile”. Da parte loro i ministeri dell’intelligence e dell’istruzione si sono limitati a dire che stanno collaborando per trovare la fonte dell’intossicazione ma al momento, scrive la France Presse, non sono stati annunciati arresti.

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Centinaia di studentesse iraniane sono finite in ospedale per intossicazione: il viceministro della Salute ammette che gli avvelenamenti ci sono effettivamente stati
Una vicenda terrificante, i cui contorni restano poco chiari, di cui si stanno occupando fonti sanitarie e del governo, ma anche media locali e internazionali. Quella che emerge, ancora una volta, è la brutalità delle autorità, intente a reprimere nel sangue il dissenso e a porre un bavaglio alle donne, simbolo della rivolta. Si sono tolte il velo, in pubblico, durante le manifestazioni o le gare sportive, ma anche in classe; si sono tagliate i capelli; sono scese in piazza a gridare contro il regime che le opprime, sfidando apertamente la polizia morale, mettendo a rischio la vita per un'ideale di libertà più alto. E guarda caso sono proprio le scuole e le università i luoghi dove si forma l'opposizione politica, i luoghi che le autorità conservatrici temono di più e che puntano a chiudere, quasi a replicare l'esempio del vicino Afghanistan che - sotto il giogo talebano - ha vietato l'istruzione femminile.
Le donne sono state e sono ancora oggi il motore centrale della protesta contro le autorità in Iran
Non è la prima volta che in Iran si parla di casi simili. Alla fine di ottobre destò scalpore il caso di una studentessa universitaria di 21 anni, Negin Abdolmaleki, morta per avere bevuto alcol avvelenato. Sconcertanti anche le rivelazioni sugli attivisti drogati o avvelenati in carcere, puniti per avere partecipato alle proteste contro la Repubblica Islamica scatenate dalla morte di Mahsa Amini. Dalla fine di novembre, i media locali hanno riscontrato casi di avvelenamento respiratorio di centinaia di bambine di circa 10 anni nelle scuole della città di Qom: secondo l'agenzia Irna, il 14 febbraio scorso i genitori delle alunne si sono riuniti davanti al governatorato della città per "chiedere spiegazioni", mentre il viceministro della Salute Youness Panahi ha rivelato recentemente che "è emerso che alcuni individui volevano che tutte le scuole, soprattutto quelle femminili, fossero chiuse". L'avvelenamento - ha poi spiegato - è stato causato da "composti chimici disponibili non per uso militare, e non è né contagioso né trasmissibile". Da parte loro i ministeri dell'intelligence e dell'istruzione si sono limitati a dire che stanno collaborando per trovare la fonte dell'intossicazione ma al momento, scrive la France Presse, non sono stati annunciati arresti.
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