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Home » Attualità » Afghanistan, chiuse le scuole femminili. Qahera: “Voglio uscire dall’oscurità con i miei studi”

Afghanistan, chiuse le scuole femminili. Qahera: “Voglio uscire dall’oscurità con i miei studi”

I talebani avevano promesso la riapertura degli istituti secondari ma le porte sono state immediatamente richiuse e alle studentesse è stato ordinato di tornare a casa

Marianna Grazi
23 Marzo 2022
epa09776531 Afghan children take free classes provided by an Afghan woman Soda Najhand, a high school graduate, for children working as street vendors in Kabul, Afghanistan, 20 February 2022 (issued 22 February 2022). Many of these children work and have been denied an education owing to financial difficulties. Sodaba offered free schooling to these street children in a park so that these students are not left behind in their schooling as they express a strong desire to learn for a better future. The class for about 30 students takes three hours a day.  EPA/STRINGER

epa09776531 Afghan children take free classes provided by an Afghan woman Soda Najhand, a high school graduate, for children working as street vendors in Kabul, Afghanistan, 20 February 2022 (issued 22 February 2022). Many of these children work and have been denied an education owing to financial difficulties. Sodaba offered free schooling to these street children in a park so that these students are not left behind in their schooling as they express a strong desire to learn for a better future. The class for about 30 students takes three hours a day. EPA/STRINGER

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Col ritorno al potere dei Talebani le ragazze sono state escluse dall’istruzione scolastica

Erano state riammesse da poche ore, ma le studentesse di medie e superiori non hanno fatto in tempo ad entrare in aula che sono dovute immediatamente uscire, vedendosi sbattere le porte della loro istruzione in faccia. In Afghanistan i Talebani hanno infatti ordinato la chiusura delle scuole secondarie femminili, contraddicendo quanto stabilito in precedenza e poco dopo la loro riapertura. Soltanto un mese fa gli studenti coranici avevano infatti dichiarato che all’inizio dell’anno scolastico, che nel Paese era previsto per il 21 marzo, primo giorno del nuovo anno, sarebbero entrati in classe sia ragazzi che ragazze. Una promessa che però non è stata mantenuta.

A darne notizia sono le fonti giornalistiche sul posto, come una troupe dell’agenzia France Press che stava riprendendo il momento, tanto atteso dopo mesi, del rientro a scuola delle ragazze presso la Zarghona High School della capitale Kabul. L’illusione di un ritorno ad una parziale normalità subito infranta, quando le insegnanti sono entrate in classe e hanno ordinato loro di tornare a casa.

Non sono mancate le lacrime amare di delusione, fa sapere l’AFP, per molte ragazze che attendevano con ansi a di poter riprendere la loro formazione scolastica a oltre sette mesi dal ritorno al potere dei Talebani. Ma nonostante le promesse alla comunità internazionale, che aveva fatto del diritto paritetico all’educazione per tutti uno dei punti dirimenti della trattativa con il regime sugli aiuti e il riconoscimento politico, le porte degli istituti femminili si sono chiuse immediatamente dopo la loro riapertura. La notizia è stata confermata alla France Presse dal portavoce degli islamisti afghani, Inamullah Samangani. Come uno scherzo di cattivo gusto nei confronti di decine di migliaia di giovani donne che vedono infrangersi, per l’ennesima volta, i loro sogni. Per non parlare dei diritti, già fortemente limitati. Niente scuola, niente sport, niente lavoro né viaggi fuori dal Paese se non accompagnate dai mariti o da tutori. Una condanna alla semi-schiavitù familiare già scritta da mesi, a cui non sembra esserci soluzione apparente.

Studentesse afghane
Sono migliaia le studentesse afghane di medie e superiori che speravano di poter tornare in classe ma che si sono viste chiudere le porte delle scuole in faccia

La testimonianza

Qahera era ansiosa e felicissima di tornare a scuola. Lo ha raccontato all’agenzia francese in una testimonianza video alla vigilia della riapertura: “In generale è la spina dorsale della società ma individualmente costruisce la personalità, aiuta a essere una persona migliore”. Ai coetanei maschi il rientro in aula era stato concesso appena due mesi dopo che i talebani si erano insediati al governo di Kabul, lo scorso agosto. Ma le autorità avevano poi insistito sulla necessità di prendersi del tempo per garantire che le ragazze fossero tenute separate e le scuole funzionassero secondo i principi islamici.
“Non importa quanto dura sia la situazione – aveva aggiunto speranzosa Qahera – resteremo comunque impegnate, saremo più forti. Voglio uscire dall’oscurità con i miei studi e la mia educazione”. Ma quella speranza di migliaia di ragazze si è infranta, per il momento forse ma le previsioni sono difficili da fare. Quello che ormai appare certo, e che deve essere chiaro agli occhi del mondo, è che il regime afghano non accetta di riconoscere nelle donne, adulte o giovani che siano, persone degne di un’istruzione, di una carriera che non sia quella di madre o moglie. Non riconosce loro un’esistenza libera e indipendente. Insomma, viene da chiedersi: chissà se le riconosce almeno come persone.

 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Col ritorno al potere dei Talebani le ragazze sono state escluse dall'istruzione scolastica
Erano state riammesse da poche ore, ma le studentesse di medie e superiori non hanno fatto in tempo ad entrare in aula che sono dovute immediatamente uscire, vedendosi sbattere le porte della loro istruzione in faccia. In Afghanistan i Talebani hanno infatti ordinato la chiusura delle scuole secondarie femminili, contraddicendo quanto stabilito in precedenza e poco dopo la loro riapertura. Soltanto un mese fa gli studenti coranici avevano infatti dichiarato che all'inizio dell'anno scolastico, che nel Paese era previsto per il 21 marzo, primo giorno del nuovo anno, sarebbero entrati in classe sia ragazzi che ragazze. Una promessa che però non è stata mantenuta. A darne notizia sono le fonti giornalistiche sul posto, come una troupe dell'agenzia France Press che stava riprendendo il momento, tanto atteso dopo mesi, del rientro a scuola delle ragazze presso la Zarghona High School della capitale Kabul. L'illusione di un ritorno ad una parziale normalità subito infranta, quando le insegnanti sono entrate in classe e hanno ordinato loro di tornare a casa. Non sono mancate le lacrime amare di delusione, fa sapere l'AFP, per molte ragazze che attendevano con ansi a di poter riprendere la loro formazione scolastica a oltre sette mesi dal ritorno al potere dei Talebani. Ma nonostante le promesse alla comunità internazionale, che aveva fatto del diritto paritetico all'educazione per tutti uno dei punti dirimenti della trattativa con il regime sugli aiuti e il riconoscimento politico, le porte degli istituti femminili si sono chiuse immediatamente dopo la loro riapertura. La notizia è stata confermata alla France Presse dal portavoce degli islamisti afghani, Inamullah Samangani. Come uno scherzo di cattivo gusto nei confronti di decine di migliaia di giovani donne che vedono infrangersi, per l'ennesima volta, i loro sogni. Per non parlare dei diritti, già fortemente limitati. Niente scuola, niente sport, niente lavoro né viaggi fuori dal Paese se non accompagnate dai mariti o da tutori. Una condanna alla semi-schiavitù familiare già scritta da mesi, a cui non sembra esserci soluzione apparente.
Studentesse afghane
Sono migliaia le studentesse afghane di medie e superiori che speravano di poter tornare in classe ma che si sono viste chiudere le porte delle scuole in faccia

La testimonianza

Qahera era ansiosa e felicissima di tornare a scuola. Lo ha raccontato all'agenzia francese in una testimonianza video alla vigilia della riapertura: “In generale è la spina dorsale della società ma individualmente costruisce la personalità, aiuta a essere una persona migliore”. Ai coetanei maschi il rientro in aula era stato concesso appena due mesi dopo che i talebani si erano insediati al governo di Kabul, lo scorso agosto. Ma le autorità avevano poi insistito sulla necessità di prendersi del tempo per garantire che le ragazze fossero tenute separate e le scuole funzionassero secondo i principi islamici. “Non importa quanto dura sia la situazione – aveva aggiunto speranzosa Qahera – resteremo comunque impegnate, saremo più forti. Voglio uscire dall’oscurità con i miei studi e la mia educazione”. Ma quella speranza di migliaia di ragazze si è infranta, per il momento forse ma le previsioni sono difficili da fare. Quello che ormai appare certo, e che deve essere chiaro agli occhi del mondo, è che il regime afghano non accetta di riconoscere nelle donne, adulte o giovani che siano, persone degne di un'istruzione, di una carriera che non sia quella di madre o moglie. Non riconosce loro un'esistenza libera e indipendente. Insomma, viene da chiedersi: chissà se le riconosce almeno come persone.  
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