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Jennifer Guerra: “Non basta dirlo, il femminismo si pratica”

Scrittrice e giornalista bresciana classe 1995, al ciclo di incontri Conversazioni sul corpo organizzato da Cgil Toscana ha affrontato il tema dell’amore, della sessualità e dell’essere femministe oggi

di MARIANNA GRAZI -
12 aprile 2024
Jennifer Guerra (ph. Damiano Lorenzon)

Jennifer Guerra (ph. Damiano Lorenzon)

“Io sono femminista perché mi riconosco in una genealogia, sono erede di quelle che prima di me sono state e sono femministe. C’è un forte senso di comunità”. Jennifer Guerra, 29 anni, giornalista e autrice di vari testi sul tema, ha scoperto su Internet il femminismo, come tante ragazze della sua generazione. Non c’è una storia speciale dietro, non le è successo nulla, nessun trauma scatenante.

È stato casuale”, dice al pubblico del Caffè letterario Le Murate di Firenze, accorso ad assistere all’appuntamento con Conversazioni sul Corpo, il ciclo di conferenze organizzato da Cgil Toscana. 

Cresciuta in provincia di Brescia, “non esattamente il centro del mondo culturale e politico” e non in una famiglia femminista, il suo incontro con il movimento è avvenuto grazie al web. “Per me è stata una scoperta che ha ovviamente interagito col contesto in cui vivevo, opprimente per tanti punti di vista. Ho scoperto questa possibilità di libertà che il femminismo mi prometteva e ne sono rimasta affascinata. All’inizio l’ho coltivata in maniera solitaria, con i libri e lo studio, poi il mio percorso è cambiato, ora ho una rete intorno a me e quando posso faccio anche attivismo sul territorio”. 

Femminismo e Corpo 

Jennifer Guerra a "Conversazioni sul corpo" a Firenze
Jennifer Guerra a "Conversazioni sul corpo" a Firenze

Nel suo libro “Il corpo elettrico” (Tlon, 2020) Guerra individua nel corpo, nella materialità corporea, il punto di contatto di tutte le correnti interne del femminismo. Tutti i cambiamenti e le rivoluzioni fatte dalle donne passano da lì. “La più grande rivoluzione del femminismo è stata quella di dare dignità al corpo (materiale) mettendolo al centro della pratica politica – afferma l’autrice –. Pensiamo allo slogan degli anni ‘70, ‘il personale è politico’: l’idea alla base, lo scopo, è portare il corpo in primo piano”. 

Il corpo delle donne così discusso anche nelle sue funzioni naturali, invisibilizzato. Pensate alle mestruazioni ad esempio: quante volte abbiamo ribadito, anche qui su Luce! che il tabù sul ciclo mestruale va abolito, che nascondere il fatto di avere un assorbente con sé non è giusto, che mostrare il sangue negli spot celandolo con gel dai colori assurdi non serve a nessuno, che il sesso durante quei giorni non è ‘proibito’ (col consenso della donna, ovvio!)? “Le cose stanno cambiando – spiega Jennifer Guerra – ma non si tratta solo di rappresentazione di un fenomeno naturale come ripugnante. Avere il ciclo è associato all’idea di improduttività della donna, che non è performante in quei giorni e questo non è concesso dalla società di oggi. A questa – aggiunge – si legano poi la questione della povertà mestruale, o dell’uso della pillola, che tra l’altro nessuno ti spiega come funziona davvero”.

Carla Lonzi, donne vaginali e donne clitoridee

Figura chiave del femminismo in Italia, tra le fondatrici delle edizioni di Rivolta Femminile, Carla Lonzi viene ‘evocata’ nella chiaccherata con la giovane giornalista bresciana perché a lei si deve un’importantissima istanza di rivendicazione ancora attuale: l’autonomia della donna dal potere maschile. Anche nella sessualità. L’attivista e scrittrice scomparsa nel 1982 aveva infatti teorizzato una divisione tra “la donna vaginale, ovvero quella che accetta la sessualità passiva penetrativa pensando che soddisfare il desiderio maschile sia una sua forma di libertà, ma è in realtà illusoria, e la donna clitoridea, che invece ha una sessualità autonoma e liberata anche dalla presenza dell’uomo, fruita da sola, attiva”. Lonzi ci mostra così come le dinamiche di potere vengono agite anche attraverso il sesso.

Guerra alla manifestazione di Non una di meno (Instagram)
Guerra alla manifestazione di Non una di meno (Instagram)

La cultura dello stupro

“E qui arriviamo a parlare di cultura dello stupro e di violenza di genere  – spiega l’autrice di “Un’altra donna” –. Nel nostro Paese non solo è tollerata, ma spesso giustificata, quasi incoraggiata (vedi le dinamiche simili nei femminicidi in cui si attribuisce una corresponsabilità alla vittima, si parla del ‘bravo ragazzo’ colto da raptus...). Il problema è che non si tratta solo di una mentalità”.

Secondo Guerra il più grande non detto sul tema della violenza riguarda la cancellazione delle donne dallo spazio pubblico: o sono invisibilizzate perché segregate dietro la figura maschile, “o perché morte per mano di un uomo, oppure devono fare sempre i conti con la paura di andare in un determinato posto a una certa ora, o per come sono vestite. Insomma c’è anche tanta concretezza in questa cultura dello stupro”. 

Patriarcato e capitalismo 

Trattando di violenza di genere inevitabilmente il riferimento al patriarcato è immediato. Questo che rapporto ha col capitalismo? Ne è frutto o fenomeno alla base? “È il dilemma dell’uovo e della gallina – scherza la giornalista –. Le questioni di genere non sono solo culturali ma funzionali alla realizzazione e al mantenimento dell’apparato sociale. Se si parla di lavoro domestico e di cura, di cui le donne si fanno carico come ulteriore o unico impiego, vediamo come o questo è invisibilizzato o, se considerato dal mercato, sia ritenuto l’ultimo stadio della catena produttiva, quello più degradante spesso. Questo porta alla segregazione”. Ma se invece lo considerassimo una forma d’amore per l’altro?  

L’amore, precisa Guerra, è visto come la questione privata per eccellenza, la sfera degli affetti e delle relazioni interpersonali come la più inattaccabile. “Invece c’è un’influenza politica anche lì. La cura dell’altro non bisogna intenderla soltanto come accudimento, ma come prendersi cura dei bisogni dell’altro, di cui riconosco e accolgo la diversità. L’amore ha una dimensione comunitaria, in tutte le sue forme (compresa quella per noi stesse): come diceva Martin Luther King ha un potenziale generativo e trasformativo, è uno slancio verso l’altro che è anche verso la libertà”.

Jennifer Guerra con l'ultimo libro "Il femminismo non è un brand" (Instagram)
Jennifer Guerra con l'ultimo libro "Il femminismo non è un brand" (Instagram)

Liberazione dell’eros

Ultimo tema affrontato durante il dibattito a Firenze è quello che dà il nome all’incontro stesso, ovvero l’Eros. La sua liberazione, non solo in ambito sessuale ma il desiderio erotico esteso ad ogni ambito della vita. La domanda da cui partire è quella freudiana: “Cosa vuole una donna?”. Se la risposta del noto psicoanalista e filosofo non soddisfa affatto le femministe di oggi, Guerra dà invece una sua versione: “La donna vuole liberare il desiderio come forza collettiva, generativa, trasformativa. Intimamente ognuna conosce i propri desideri e la vera rivoluzione sta nel dar loro corpo, concretezza, non nell’inserirli all’interno di costrutti sociali stabiliti. Il fatto di poter desiderare è femminismo”, chiosa sicura.  

Già ma quale femminismo? Quello rivendicato come spot dalle vip per trovare nuovi seguaci? Quello pubblicizzato perché “va di moda”? La sua ultima fatica si intitola “Il femminismo non è un brand” perché, secondo la scrittrice, “oggi siamo in un momento di soglia. Il femminismo è oggi cooptato, strumentalizzato, oggettificato dal mercato e dalle istituzioni, è stato svuotato dalle sue istanze più radicali perché di fatto non si vuole che lo status quo cambi. E secondo me – ammette – questo ‘banalizzato’ ha un po’ vinto, e il momento spartiacque secondo me è stato il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade sull’aborto negli Usa. Oggi mi sembra che manchi slancio verso un femminismo autentico, che chiede una rivoluzione importante, chiama il cambiamento – conclude –. Un femminismo che non (solo) si dice, ma che si pratica!”.