Rajae Bezzaz: “Sogno una casa famiglia in Marocco per rendere le donne indipendenti”

Giornalista e conduttrice radiofonica, l'inviata di Striscia la Notizia porta avanti l’impegno di attivista nel suo Paese d’origine. Il 30 luglio sarà al Consolato a Milano per la Festa del trono marocchino

di TERESA SCARCELLA -
29 luglio 2024
Rajae Bezzaz

Rajae Bezzaz

Ha una voce soave Rajae Bezzaz. Una di quelle voci che infondono calma e serenità in chi ascolta. Dopo pochissimi minuti di chiacchierata, però, si capisce subito che la delicatezza è anche in ciò che dice. Una caratteristica oggi più che mai sottovalutata, snobbata e per nulla scontata in mezzo a così tanta convinzione che sia l'arroganza il miglior strumento per essere ascoltati.

Rajae Bezzaz è nata in Marocco 35 anni fa e da 25 vive in Italia. Conduttrice radiofonica, giornalista, nota ai più come inviata per Striscia la notizia, è attivista davanti e dietro la telecamera. Una donna ai confini di due mondi e culture molto lontani, che spesso si toccano. Martedì 30 luglio sarà al Consolato marocchino a Milano, ospite del console Mohammed Lakhal, per la “Festa del trono marocchino”.

Per chi non lo sa, spieghiamo di che si tratta?

“È la commemorazione della salita al trono del re Mohammed VI, si svolge in tutte le ambasciate e consolati del mondo. E ovviamente in Marocco (sorride ndr). Una giornata speciale per noi, figli del Marocco, di seconda/terza/quarta generazione, anche se siamo lontani dalla nostra madre terra”.

Rajae Bezzaz
Rajae Bezzaz

Sarà un'occasione per raccontare anche del suo ultimo progetto come attivista. Ce lo anticipa?

“Da un po' di tempo sto portando avanti, insieme alla mia squadra di lavoro e tanta gente brillante, il progetto di creare una casa famiglia in Marocco, per accogliere donne, mamme single, che non sono nella condizione di crescere serenamente i loro figli. Vogliamo dare loro un tetto, ma soprattutto le basi per l'indipendenza, attraverso formazione e lavoro, supporto psicologico e proiettarle verso il futuro, laddove nessuno tende loro una mano”

A che punto siete?

“A buon punto. Abbiamo già individuato la città, dove possiamo offrire possibilità concrete di lavoro grazie anche a delle aziende italiane che lavorano lì e che sono disposte a inserire queste donne. Non si può solo dare da mangiare senza insegnare a procurarsi il cibo. Il nostro obiettivo è metterle nella condizione di non dover chiedere niente a nessuno, quindi di essere libere. Economicamente e nelle proprie scelte. Ci sono ancora realtà che non sono propense ad accettare una mamma che ha avuto un figlio fuori dal matrimonio. Non per mancanza di evoluzione, ma per chiusura mentale. Quindi queste donne si ritrovano a dover affrontare una gravidanza da sole e in più a non essere indipendenti. Io ho la fortuna di poter solo immaginare una situazione del genere e poter vedere una soluzione. Guardando i tanti bambini in Marocco chiedere l'elemosina, con le loro mamme sole, ho sentito l'esigenza di fare qualcosa per loro”.

Non sei da sola in questo progetto...

“Assolutamente no. Ho voluto coinvolgere amici e familiari, ognuno a modo suo, per poter donare: amore, tempo, ascolto, soldi a chi non ha la fortuna di averla una famiglia”.

Torna spesso in Marocco?

“Si e tornerò anche ad agosto. L'anno scorso ho portato con me una parte della squadra, perché credo che quando devi lavorare in un territorio devi conoscerlo un po'. Alcuni miei collaboratori non c'erano mai stati e li ho portati a conoscere la mia adorata nonna, perché la voglia di fare certe cose deriva comunque dalla mia educazione. Quindi gli ho voluto mostrare le mie basi, la mia genetica e il territorio, per permettere loro di sviluppare con me il progetto con una visione precisa, con nozioni che si acquisiscono toccando con mano le situazioni. Non mi piace fare le cose per sentito dire, anche nel mio lavoro, mi piace andare sul posto, toccare con mano e farmi un'idea personale. Tornerò ad agosto, dicevo, anche per ritrovare i miei cari”.

Rajae Bezzaz
Rajae Bezzaz

Ogni volta che torna, come lo trova?

“Nonostante io lo conosca molto bene, è un Paese dal quale vivo lontana da 25 anni. Per me è uno sforzo doppio recuperare tutto quello che ho perso, non è statico, è un paese in evoluzione. La globalizzazione ha avuto i suoi effetti, anche se per fortuna il Marocco continua a preservare la sua identità, la sua cultura, la sua personalità. Spero non diventi una fotocopia di altri paesi turistici. Sarebbe un peccato. Come sarebbe un peccato ovunque. Però è difficile spiegare loro che il bello del Marocco è proprio quello, perché guardando all'esterno, si pensa che l'evoluzione sia diventare come l'Occidente. Quello è per loro il modello da seguire”.

Forse non stiamo preservando le varie diversità, che non hanno un'accezione negativa

“La diversità è diversità, altrimenti sarebbe omologazione, sia nel pensiero che nelle azioni, una noia mortale e impoverimento culturale. Invece il bello è nelle diversità che si incontrano e in questo contatto ci vuole tanta apertura mentale, sennò se si tende a imporre il proprio modello è finita. Io lo dico sempre, non esiste un modello perfettamente funzionante da imporre ad altre culture, non c'è una ricetta magica”.

In Italia ha trovato apertura mentale?

“Prima di venirci a vivere la immaginavo come un Paese molto aperto. La percezione che hai dall'esterno è sempre un po' distorta. In questi 25 anni io ho subìto tante volte discriminazioni o pregiudizi, ma ho sempre cercato di farmeli scivolare addosso. Rimango comunque fiduciosa e speranzosa, perché credo fermamente nel ruolo di ogni singolo cittadino. Ognuno di noi può e dovrebbe fare qualcosa nel suo piccolo, laddove la politica magari è assente. Per intenderci. Quest'anno, alle elezioni europee, ho votato per la prima volta e per me è stata una gioia talmente grande che ho pianto”.