Sindrome di Rett, le bambine dagli occhi belli “Dove si può leggere tantissima gioia o dolore”

Salvatore Franzè, papà di Giorgia, è presidente dell’associazione Onlus Pro Rett, che si occupa di sostenere e finanziare la ricerca scientifica sulla patologia. “E speriamo presto di poter dire: c’è una cura!”

di GUIDO GUIDI GUERRERA -
28 giugno 2024
Salvatore Franzè e sua figlia Giorgia al meeting "Rett Syndrome Research, Towards the Future" a Roma, 2018

Salvatore Franzè e sua figlia Giorgia al meeting "Rett Syndrome Research, Towards the Future" a Roma, 2018

Isabella Menin era una ragazzina di soli 15 anni, frequentava la scuola media ed era pronta a dare gli esami di terza. I suoi occhi azzurri espressivi e carichi di amore si sono spenti per sempre nei primi giorni di giugno e sono stati donati dalla famiglia perché possano brillare ancora nello sguardo di chi vive nella speranza di riacquistare la vista.

Isabella era affetta dalla sindrome di Rett, definita ‘la malattia delle bambine dagli occhi belli’ per via della struggente bellezza di quelle iridi in cerca di un dialogo, così comune a chi nasce affetto da questo raro disturbo di origine genetica. L’associazione Onlus Pro Rett, presieduta da Salvatore Franzè, svolge sul territorio nazionale una costante attività di ricerca e supporto, con l’intento di sensibilizzare e informare sugli aspetti di questa affezione che, come spiega lo stesso presidente, “per quanto rara, rappresenta la prima causa al mondo di grave disabilità intellettuale femminile”.

Dottor Franzè, può spiegarci cos’è esattamente la sindrome di Rett?

“È una malattia genetica che colpisce prevalentemente le bambine e compare nella prima infanzia. È diffusa in tutto il mondo, con un’incidenza di 1 su 10mila bambine nate vive. Il principale responsabile della malattia è il gene MECP2, coinvolto anche in altre gravi patologie o condizioni neuropsichiatriche che possono colpire sia i maschi che le femmine quali l’autismo, la disabilità intellettuale, la depressione e la sindrome da duplicazione di MeCP2.

Le bambine affette dalla sindrome di Rett nascono e crescono in maniera apparentemente normale per i primi 6-18 mesi di vita, poi improvvisamente subentra una fase di regressione che in breve tempo porta alla perdita delle abilità precedentemente acquisite: il cammino, il linguaggio, l’uso delle mani. Purtroppo con il passare degli anni sopravvengono molti altri sintomi, quali un serio ritardo psico-motorio, crisi epilettiche, irregolarità respiratorie, gravi forme di scoliosi, ipotonia muscolare, disturbi del sonno e dell’alimentazione. La malattia in seguito si stabilizza e in queste pur difficili condizioni le bambine possono raggiungere l’età adulta”.

Perché colpisce soprattutto le bambine?

“Le femmine hanno due cromosomi X e alcun Y. Le bambine affette dalla sindrome hanno un gene MECP2 difettoso ed uno normale. Ne consegue che la probabilità di una mutazione abbia maggiore incidenza su di loro. Esistono alcuni casi di bambini con la sindrome di Rett, ma nella maggior parte di essi si tratta di forme molto gravi con un'aspettativa di vita molto breve”.

Il Presidente Salvatore Franzè e la figlia Giorgia a un evento a Crema organizzato dai volontari
Il Presidente Salvatore Franzè e la figlia Giorgia a un evento a Crema organizzato dai volontari

Quali prospettive di vita (in termini di qualità e durata) si possono avere?

“La sindrome di Rett è una patologia relativamente giovane in termini di ‘scoperta’, tanto che all’inizio si pensava fosse una malattia neurodegenerativa. Fortunatamente non si tratta di questo, ma lo sviluppo di interventi di una terapia di mantenimento e l’acquisizione di competenze terapeutiche risalgono solo agli ultimi 20 anni. Al netto di questo, oggi la vita quotidiana delle pazienti è migliorata e l'aspettativa media di vita si è allungata in maniera sensibile. L’evoluzione della malattia viene descritta attraverso quattro fasi, che possono però variare per durata e gravità dei sintomi da bambina a bambina. Solo nella quarta fase, verso i dieci anni, si può assistere a una generale stabilizzazione delle condizione delle bambine pur con la comparsa di altri sintomi sebbene si osservi un miglioramento dello stato emotivo e relazionale e allo stesso tempo una riduzione della mobilità. Non c’è però una diminuzione delle capacità cognitive, comunicative o delle abilità acquisite”.

Esistono cure specifiche?

“Al momento no. Ci sono ovviamente farmaci che possono alleviare determinati sintomi o terapie che, in parte, migliorano altri aspetti della malattia. Tuttavia si tratta comunque di farmaci o terapie che sono validi rimedi anche in persone che non hanno la sindrome di Rett. Ovviamente la tematica è molto ampia e ciascuna mutazione porta con sé sintomi o problemi peculiari, per i quali ogni intervento medico è declinato ad personam.

L'unico farmaco specifico per la sindrome di Rett, il trofinetide, è stato approvato dall'FDA americana solo nel 2023, ma anche in questo caso gli effetti variano da paziente a paziente e, in generale, si limitano a migliorare leggermente la condizione clinica delle ragazze, senza rappresentare per stessa ammissione della casa farmaceutica una cura decisiva per la sindrome di Rett. Molti laboratori stanno studiando nuove terapie e farmaci in tutto il mondo e proprio per questo la ricerca scientifica va incentivata mediante raccolte fondi per finanziarla, tanto in Italia che all'estero”.

Di cosa si occupa espressamente il vostro Centro?

“Si tratta di un’associazione italiana tesa a sostenere e finanziare la ricerca scientifica nazionale e internazionale di questa patologia, ed è stata costituita nel 2004 per volontà di alcuni genitori fortemente motivati a trovare una cura per le bambine e ragazze colpite. L’intento principale è quello di creare un forte collegamento tra le famiglie e i ricercatori, contribuendo alla solidarietà sociale, alla divulgazione scientifica sulla malattia, alla sensibilizzazione internazionale sull’importanza della ricerca scientifica e al reciproco aiuto tra le famiglie. Nel 2007 il professor Adrian Bird dell’Università di Edimburgo ha dimostrato che la sindrome di Rett è reversibile, indipendentemente dall’età del soggetto malato. I progetti di ricerca in ambito mondiale che stiamo sostenendo spaziano dall'individuazione di nuovi bersagli terapeutici attraverso le cellule staminali al drug screening finalizzato alla sperimentazione di farmaci già in commercio”.

In che modo reagiscono i genitori di fronte a queste situazioni?

“La reazione dei genitori è di sgomento e sconforto, come per tutte le patologie che colpiscono in età pediatrica. Il problema più impegnativo che le famiglie si trovano ad affrontare è quello di avere una diagnosi certa. Molti genitori, prima di trovare la risposta nella scienza, arrivano a una conclusione in autonomia (con strumenti che consiglio di usare con prudenza e cautela, come le informazioni trovate in rete). Poi arriva l’urgenza di accedere a terapie riabilitative immediate che hanno bisogno di un certo impegno: proprio per questo aspetto, come genitore, mi sento di consigliare grande cura e attenzione all’aspetto emotivo delle piccole pazienti, regalando loro momenti di gioia, senza mai dimenticare che sono solo delle bambine”.

Sofia durante una sessione di terapie
Sofia durante una sessione di terapie

Si parla di “malattia delle bimbe dagli occhi belli”. Una espressione vagamente poetica o risponde a una realtà evidente?

“Sì, è molto poetica e penso che piaccia a tutti utilizzare questa affermazione principalmente per due motivi: il primo è legato al fatto che, in particolare le bambine affette da Rett, hanno tratti somatici spesso molto delicati e piacevoli. Il secondo motivo è legato al fatto che non potendo parlare utilizzano lo sguardo per trasmettere e comunicare piccole e grandi emozioni. Nei loro occhi puoi leggere tantissima gioia e tantissimo dolore e una voglia sconfinata di comunicare al mondo, con la speranza che presto possano farlo anche con la loro voce!”.

Quali le prospettive per il futuro?

“Le prospettive per il futuro viaggiano su due binari paralleli, con un'unica stazione di arrivo: il miglioramento delle loro condizioni di vita. Il primo di questi ideali binari è rappresentato dall’attività di terapia quotidiana riabilitativa e la presa in carico clinica, che devono essere supportati da professionisti adeguatamente preparati. Il secondo si articola nell’attività di ricerca scientifica, sempre piena di insidie: ‘ricercare’, infatti, non è sinonimo di ‘trovare’. Per questo mai arrendersi o desistere. La mia personale convinzione è che tra non molto dalla sindrome di Rett si potrà guarire, perciò sarà per me il giorno più bello proprio quando potrò dire a un papà o a una mamma: non preoccupatevi, per vostra figlia c’è una cura!”.