Molti ne hanno sentito parlare almeno una volta nella vita, ma a conoscerlo davvero sono in pochi, a dispetto del fatto che secondo stime internazionali e nazionali coinvolge il 5% dei bambini e il 2,5% degli adulti. Un calcolo molto prudente, dal momento che gli esperti ritengono vi sia un'importante carenza di diagnosi legata proprio alla mancanza di informazione tra i cittadini e di formazione tra medici, psicologi e psichiatri. Stiamo parlando dell'Adhd, acronimo di “Attention deficit and hyperactivity disorder”.
Detto così può far pensare a ragazzini un po' troppo vivaci, ma si tratta di un problema molto più complesso, che ha manifestazioni assai eterogenee e conseguenze su tutti gli ambiti della vita: regolazione emotiva, rapporti sociali, autostima, studio e lavoro. Proprio per tentare di compensare “significative carenze in ambito formativo relativamente alle sue manifestazioni oltre il periodo adolescenziale, così come sugli interventi e sui possibili trattamenti farmacologici”, Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di salute mentale e delle dipendenze dell'Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano, ha curato con Giovanni Migliarese (direttore dell'Unità operativa complessa di Psichiatria 59 Lomellina Asst Pavia) il volume “Adhd nell'adulto – Dalla diagnosi al trattamento” (Edra 2021) cui hanno collaborato 66 psichiatri, psicologi e psicoterapeuti di diverse regioni e università italiane. Un testo completo e approfondito rivolto in particolare ai professionisti che si occupano di problemi mentali.
La storia di Luca
In questa sede, senza alcuna pretesa di completezza, vorremmo invece raccontare la storia di una famiglia che ha vissuto sulla propria pelle il problema. E lo facciamo attraverso una testimonianza “a due voci”: quella di Luca, 27 anni e di sua madre Silvia di 64. A lei la prima parte del racconto.
“Mio figlio fu precoce nel manifestare la sua 'vivacità'. Le prime segnalazioni arrivarono dalle educatrici della scuola materna: Luca era difficile da gestire, usciva senza permesso, si metteva in pericolo e coinvolgeva gli altri bambini nei suoi 'giochi' esagitati. La situazione peggiorò in prima elementare: a causa dell'iperattività Luca non riusciva a stare fermo nel banco, né a concentrarsi sui compiti e disturbava i compagni, con la conseguenza che veniva spesso mandato fuori dalla classe. Iniziammo allora all'Unità operativa di psichiatria infantile il lungo e complesso percorso per la diagnosi di Adhd (che presupponeva almeno una prima 'scolarizzazione'). La persona che se ne occupò nella fase iniziale mancava però di competenza specifica e non aiutò affatto Luca, trattandolo in maniera giudicante, punitiva, priva di ascolto ed empatia. Solo una volta andata in pensione quella psichiatra, ne arrivò una giovane e preparata”.
“Io mi impegnai fin da subito nel tentativo di confrontarmi con insegnanti e dirigenti scolastici per ottenere i piani didattici personalizzati cui Luca aveva diritto, ma con scarsi risultati – continua la mamma – La coordinatrice delle maestre, in particolare, non sopportava Luca e non perdeva occasione per punirlo e umiliarlo davanti ai compagni. Considerai la possibilità di fargli cambiare scuola, ma Luca non voleva, era molto legato ai compagni e avrebbe vissuto male quello 'sradicamento'”.
“Alle medie la situazione migliorò: avevamo scelto una sezione coordinata da una professoressa di italiano intelligente e sensibile, che lo aiutò. Ma il docente che si rivelò più 'azzeccato' fu quello di matematica: un giovane insegnante preparato e motivato che aveva già avuto allievi con Adhd e seppe subito instaurare un buon rapporto con Luca. Mio figlio soffre anche del cosiddetto 'disturbo provocatorio oppositivo', e questo incide molto sulle sue relazioni, in particolare quelle con gli adulti e l'autorità. Luca si dimostra collaborativo con chi gli dimostra ascolto e rispetto, mentre tende a opporsi attivamente a chi lo guarda dall'alto in basso o lo giudica, non ha alcun timore reverenziale e ciò suscita reazioni ostili soprattutto in chi non sa nulla delle caratteristiche del suo disturbo (la stragrande maggioranza della popolazione). Ho speso molte energie e tempo per cercare di creare un clima di consapevolezza e collaborazione con gli insegnanti, per lo più riscontrando un atteggiamento di scetticismo o qualche volta di fastidio, come se si trattasse di un alibi e non di una condizione certificata. Con l'adolescenza, poi, l’elemento oppositivo in Luca si è molto accentuato, e con i comportamenti trasgressivi tipici dell'età e le prime relazioni sentimentali alcuni nodi sono venuti al pettine”.
“L’ansia è la mia peggior nemica”
Diamo dunque voce al protagonista della nostra storia, che anche grazie a un importante percorso di psicoterapia ha sviluppato una buona consapevolezza della propria condizione e delle sue conseguenze. “Di quando ero piccolo ho poca memoria, com'è naturale. Ricordo però la difficoltà a stare fermo e concentrarmi nello studio: leggevo un paragrafo e un minuto dopo l'avevo già dimenticato. Mi annoiavo in fretta, la mia mente era incapace di concentrarsi a lungo a meno che l'argomento non mi coinvolgesse e interessasse molto. Non ho mai avuto veri problemi di apprendimento, perché riuscivo ad arrivare al risultato con un processo mentale intuitivo: se però mi chiedevano conto del procedimento, non sapevo spiegarlo. Sono sempre stato allergico alle regole, da ogni punto di vista, e questo mi ha messo spesso nei guai. Passavo molto tempo fuori dalla classe, ma la cosa mi pesava relativamente: almeno non ero costretto nel banco. Ricordo invece come un incubo altri tipi di punizione: una maestra mi umiliava e insultava davanti ai compagni e mi faceva saltare l'intervallo costringendomi a scrivere 200 volte sul quaderno 'Non devo...” fare questo o quello”.
“Ciò che invece mi è sempre stato congeniale, proprio a causa della mia iperattività, è lo sport. Ne ho fatto tanto: nuoto, basket e soprattutto rugby, per 12 anni. Quest'ultimo in particolare mi ha aiutato a capire l'importanza dello spirito di squadra, del rispetto delle regole e tra avversari. Però ci sono stati anche problemi dovuti all'impulsività che non riesco a controllare quando mi arrabbio o comunque sono emotivamente molto coinvolto. I rapporti con le ragazze sono sempre stati piuttosto turbolenti, con il senno di poi mi rendo conto di quanto 'sbagliate' fossero le ragazze che mi attraevano e quanto 'tossiche' le relazioni. Le storie tranquille mi sembravano noiose. Solo negli ultimi anni ho capito che passionalità e forti emozioni non sono gli elementi più importanti di una relazione. L'ansia si è rivelata negli ultimi dieci anni il mio nemico numero uno, ed è legata a vari motivi: abuso di sostanze stupefacenti, perdite di persone care”.
“Ho iniziato una psicoterapia ma non mi bastava. Mia madre era contraria agli psicofarmaci e io temevo di cadere in una nuova dipendenza. Poi però nel 2022 la situazione è precipitata di nuovo e lì ho toccato il fondo: ho iniziato a essere perseguitato da pensieri negativi e idee di autolesionismo. Ne ho parlato a mia madre e a quel punto sono andato da una psichiatra che mi ha prescritto antidepressivi e antipsicotici. Solo allora per me è iniziato un percorso di rinascita. Sono riuscito a laurearmi e a fare un master, ho (quasi) superato la fobia per il volo. Ora sto cercando un lavoro e presto avrò una casa mia. Vedo una prospettiva di futuro, anche se so bene che non sarà certo una passeggiata. Però, insomma, ora che conosco i miei punti deboli sono senz'altro più attrezzato per affrontarli e ho più fiducia nelle mie risorse e nel futuro. L'obiettivo è la piena indipendenza”.
“Sui disturbi mentali esiste ancora un assurdo stigma sociale – interviene Silvia –. Mancano sia una cultura della salute mentale che investimenti nelle strutture pubbliche. Se la sanità in genere è a rischio collasso, quella psichiatrica e dedicata all'handicap è quasi inesistente. Inoltre l'Adhd è un disturbo poco noto e spesso misconosciuto anche tra quanti ne sono direttamente coinvolti. Nella mia professione di avviamento al lavoro di persone disabili ho conosciuto troppi ragazzi considerati dai familiari 'pecore nere', abbandonati a sé stessi sia dal punto di vista pratico che da quello affettivo, nell'indifferenza di istituzioni che hanno smarrito il senso della loro funzione sociale”.