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Home » HP Blocco Grande » Mario e la sua famiglia, fuggiti dall’Ucraina: “Ho abbandonato il mio angolo di Paradiso quando è scoppiato l’inferno”

Mario e la sua famiglia, fuggiti dall’Ucraina: “Ho abbandonato il mio angolo di Paradiso quando è scoppiato l’inferno”

Sabatino, insieme a sua moglie Olena e a sua suocera sono fuggiti da un paesino poco fuori Kharkiv quando è scoppiata la guerra. Un viaggio lungo 12 giorni, attraverso l'orrore e la pura, una volta attraversato il confine russo per trovare un treno che li portasse in salvo. Ora sono al sicuro a Firenze dove hanno riabbracciato la loro figlia

Ludovica Criscitiello
11 Aprile 2022
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Una brutta sorpresa

Kharkiv bombardata dalle truppe russe
Il fumo si alza dalla città di Kharkiv, la ‘capitale est’ dell’Ucraina, bombardata dalle truppe russe

Un viaggio durato dodici giorni con l’inferno negli occhi. Mario Sabatino, sua moglie Olena e la suocera ancora ricordano l’orrore a cui hanno assistito mentre fuggivano via da Ruskaya Lozovaya, paesino a otto chilometri da Kharkiv, “capitale” dell’est ucraino a poca distanza dal confine con la Russia. L’incubo inizia il 24 febbraio quando le truppe del Cremlino iniziano a colpire le prime città. “Prima di allora – racconta Mario – non avremmo mai immaginato che Putin sarebbe potuto arrivare a questo. A gennaio la Farnesina ha iniziato a contattare gli italiani che erano qui consigliando loro di andare via. Ma io, come tanti altri, pensavamo fosse esagerato. Poi la situazione è precipitata quando abbiamo iniziato a sentire i primi boati vicino casa”. Ora Kharkiv è ridotta a un cumulo di macerie e si continua a bombardare. L’8 aprile a est della città è apparso un convoglio russo lungo 12 chilometri e composto di “veicoli armati, camion con rimorchi di artiglieria e attrezzatura di supporto”, spiega Maxar Technologies che ha raccolto e analizzato le immagini satellitari. Il rischio è che l’invasore di Mosca si apprestino a sferrare presto un altro attacco.

La storia

Mario Sabatino italiano fuggito dall'Ucraina
Mario Sabatino, chimico, sposato con Olena, dal 2016 abitava vicino a Kharkiv. La fuga della sua famiglia verso l’Italia, dopo lo scoppio della guerra, è durata 12 giorni

Mario è di origine siciliana. È emigrato in Germania dove è rimasto per tredici anni. Qui ha studiato ed è diventato chimico prima di tornare in Italia e lavorare in un’azienda di Sesto Fiorentino. In Toscana ha conosciuto Olena, ucraina, che poi è diventata sua moglie. “La nostra idea – dice – era quella di trasferirci alle Canarie, a Fuerteventura. Poi siccome mia suocera, che viveva vicino Kharkiv, non stava bene abbiamo preso la decisione di trasferirci lì nel 2016″. A pochi chilometri dalla città. Un dettaglio che forse ha salvato loro la vita. “A un certo punto ci siamo ritrovati i check point all’ingresso di Kharkiv che non facevano più passare nessuno. Poi i bombardamenti hanno distrutto tutto, in molti sono morti, forse sarebbe capitato anche a noi se avessimo vissuto lì”. Una vita stravolta, come quella di tante persone. “Si stava bene lì, il costo della vita è basso, avevamo ristrutturato questa casina che ha anche un po’ di terra da coltivare, io avevo messo dei pali per costruire un pergolato sulle viti d’uva che avevamo. I soldati russi forse li hanno scambiati per armi e lo hanno distrutto. “Fuggivamo spesso a nasconderci nel seminterrato a ogni sirena o boato”.

La fuga

Olena-Ucraina-fuga
Olena e sua madre sono scappate insieme a Maria prima attraverso la frontiera russa, poi in treno in Lettonia, Lituania, Polonia, Austria e infine sono arrivate in Italia

“Siamo partiti il 17 marzo e siamo arrivati in Italia il 29 – ricorda Mario, la voce sembra ridursi a un sussurro mentre ripercorre quei momenti –, nostra figlia era già partita giorni prima prendendo uno di quei treni, dopo una fila di 14 ore, su convogli carichi di persone in fuga ed era poi riuscita ad arrivare in Italia. Noi non abbiamo potuto farlo perché io ero senza macchina, c’è mia suocera che ha 82 anni e un viaggio in treno così non poteva affrontarlo”. Fortunatamente la figlia li mette in contatto con Ruslan, un volontario che prima si offre di accompagnarli alla frontiera con la Russia per far prendere loro un treno. Poi decide di unirsi a loro per fuggire anche lui in Italia. “Non aveva più nulla nemmeno lui, solo i vestiti che indossava”. L’unica via di fuga passava per la Russia. “A Kharkiv non potevamo entrare quindi siamo dovuti arrivare alla frontiera”. I chilometri che li separano dal confine li fanno con il cuore in gola. “Cadaveri ovunque, auto distrutte dalle bombe, l’ansia costante di fare quella fine”.

Arrivati al confine hanno fatto tre giorni di fila per entrare in Russia, chiusi in macchina per il freddo, in condizioni pessime. “Un’agonia che non riesco a raccontare. Finalmente riusciamo a passare e, nonostante la diffidenza dei russi visto che venivamo dall’Ucraina, ci permettono di stare in un albergo. Alla fine quello che ho percepito è che non tutti lì sono a favore della guerra“. Anche se il problema principale restava il denaro. “Contanti non ne avevo, il bancomat non ci faceva prelevare, anche se ci hanno fatto entrare lo stesso in albergo. Alla fine un amico di mia figlia di San Pietroburgo ci ha fatto avere i rubli”.
Quando hanno ripreso il viaggio per uscire dalla Russia il rischio di non farcela è stato grande. “Ci hanno sottoposti a un interrogatorio di dieci ore a me e a Ruslan, mentre mia moglie e mia suocera aspettavano fuori in auto al freddo. La mia paura era che bloccassero il ragazzo per convincerlo ad arruolarsi. Non avrei mai potuto lasciarlo lì”. Ruslan fortunatamente riesce a passare indenne e loro riescono a entrare in Lettonia, dove uno dei doganieri si offre di chiamare uno amico per ospitarli in un agriturismo. Da lì prima in Lituania, poi in Polonia, Austria e infine l’Italia, una luce in fondo al tunnel.

kharkiv_distruzione_afp
Le bombe hanno ridotto la città di Kharkiv a un cumulo di macerie

Il sollievo

“Arrivati in Italia abbiamo trovato la Protezione Civile ad accoglierci e poi, dopo Udine e Venezia, siamo venuti direttamente a Firenze dove al momento ci stanno ospitando. È poco che siamo arrivati. Ancora non riesco a credere di avercela fatta”. Una volta arrivati qui si sono ricongiunti alla figlia. Con loro sono partiti anche due cani e due gatti. Ora Mario intende ricominciare qui. “Ho una pensione, cerco un appartamento per potermi stabilizzare un attimo”. Della loro casa, con l’orto, l’uva e il verde non si sa nulla.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague

Una brutta sorpresa

Kharkiv bombardata dalle truppe russe
Il fumo si alza dalla città di Kharkiv, la 'capitale est' dell'Ucraina, bombardata dalle truppe russe
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La fuga

Olena-Ucraina-fuga
Olena e sua madre sono scappate insieme a Maria prima attraverso la frontiera russa, poi in treno in Lettonia, Lituania, Polonia, Austria e infine sono arrivate in Italia
"Siamo partiti il 17 marzo e siamo arrivati in Italia il 29 – ricorda Mario, la voce sembra ridursi a un sussurro mentre ripercorre quei momenti –, nostra figlia era già partita giorni prima prendendo uno di quei treni, dopo una fila di 14 ore, su convogli carichi di persone in fuga ed era poi riuscita ad arrivare in Italia. Noi non abbiamo potuto farlo perché io ero senza macchina, c’è mia suocera che ha 82 anni e un viaggio in treno così non poteva affrontarlo". Fortunatamente la figlia li mette in contatto con Ruslan, un volontario che prima si offre di accompagnarli alla frontiera con la Russia per far prendere loro un treno. Poi decide di unirsi a loro per fuggire anche lui in Italia. "Non aveva più nulla nemmeno lui, solo i vestiti che indossava". L’unica via di fuga passava per la Russia. "A Kharkiv non potevamo entrare quindi siamo dovuti arrivare alla frontiera". I chilometri che li separano dal confine li fanno con il cuore in gola. "Cadaveri ovunque, auto distrutte dalle bombe, l’ansia costante di fare quella fine". Arrivati al confine hanno fatto tre giorni di fila per entrare in Russia, chiusi in macchina per il freddo, in condizioni pessime. "Un’agonia che non riesco a raccontare. Finalmente riusciamo a passare e, nonostante la diffidenza dei russi visto che venivamo dall’Ucraina, ci permettono di stare in un albergo. Alla fine quello che ho percepito è che non tutti lì sono a favore della guerra". Anche se il problema principale restava il denaro. "Contanti non ne avevo, il bancomat non ci faceva prelevare, anche se ci hanno fatto entrare lo stesso in albergo. Alla fine un amico di mia figlia di San Pietroburgo ci ha fatto avere i rubli". Quando hanno ripreso il viaggio per uscire dalla Russia il rischio di non farcela è stato grande. "Ci hanno sottoposti a un interrogatorio di dieci ore a me e a Ruslan, mentre mia moglie e mia suocera aspettavano fuori in auto al freddo. La mia paura era che bloccassero il ragazzo per convincerlo ad arruolarsi. Non avrei mai potuto lasciarlo lì". Ruslan fortunatamente riesce a passare indenne e loro riescono a entrare in Lettonia, dove uno dei doganieri si offre di chiamare uno amico per ospitarli in un agriturismo. Da lì prima in Lituania, poi in Polonia, Austria e infine l’Italia, una luce in fondo al tunnel.
kharkiv_distruzione_afp
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