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Home » HP Trio » “Non studio, non lavoro, non guardo la tv”: oggi i Neet non stanno bene, altro che CCCP

“Non studio, non lavoro, non guardo la tv”: oggi i Neet non stanno bene, altro che CCCP

In Italia il 24% del totale dei giovani è classificabile come Neet, ovvero non studia e non lavora. A subire maggiormente questa condizione sono soprattutto le ragazze

Domenico Guarino
24 Febbraio 2022
Neet

In Italia i Neet sono il 24% dei giovani

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“Non studio, non lavoro, non guardo la TV, non vado a cinema, non faccio sport”: così cantavano i CCCP nel lontano 1983 (nel brano Io sto Bene). Il tema dei NEET (acronimo inglese che sta per Neither in Employment nor in Education or Training) non era all’ordine del giorno ma, come spesso accade agli artisti, Giovanni Lindo Ferretti and co. sentivano che qualcosa stava capitando. Erano gli anni ’80, quelli dell’edonismo ‘reaganiano’, dei look, delle comitive e della Milano da bere. Eppure qualcosa cominciava a scricchiolare.

Neet
In Italia il 24% del totale dei giovani è classificabile come Neet

Oggi i NEET in Italia sono il 24% del totale dei giovani. Un numero enorme, peer altro  in crescita rispetto al 2020: secondo l’Istat più di 97 mila ragazzi nell’ultimo anno sono usciti da percorsi lavorativi o di studio. E, come se non bastasse, quello italiano è il dato peggiore in Europa dopo Turchia, Montenegro e Macedonia. Più nel dettaglio, le ragazze se la cavano peggio (è inattivo il 25% ) dei ragazzi (percentuale Neet del 21,3% ) anche perché, come risulta da una ricerca Ocse (2021) le giovani donne hanno meno probabilità di trovare un impiego rispetto ai loro coetanei uomini. Nel nostro Paese solo il 30% delle donne tra i 25 e i 34 anni con un diploma di istruzione secondaria ha trovato un impiego nel 2020, rispetto al 64% degli uomini. Il divario di genere è evidente anche rispetto al fenomeno. Ovviamente durante la pandemia da Covid la situazione non ha fatto che peggiorare. Le restrizioni, i lockdown e la crisi economica hanno aumentato l’insicurezza nello studio e nel lavoro, i problemi legati alle relazioni sociali e la salute mentale.

 

Lavoro di squadra

Solo il 30% delle donne tra i 25 e i 34, con un diploma, ha trovato un lavoro nel 2020, contro il 64% degli uomini

Per aiutare questi giovani Action Aid Milano (con il contributo di Z Zurich Foundation e in collaborazione con Afol Metropolitana, Istituto Italiano di Fotografia e LaFabbrica) ha ideato “Lavoro di squadra”, un progetto rivolto in particolare a ragazze e giovani che si identificano con il genere femminile, comprese tra i 16 e i 25 anni, che rientrano nella condizione di NEET. L’obiettivo è quello di accompagnarle in un percorso finalizzato alla loro personale realizzazione lavorativa o formativa, attraverso la valorizzazione dei singoli talenti individuali, nel rispetto delle competenze e dei desideri personali. Le partecipanti al progetto seguiranno laboratori partecipativi ed attività creative, sessioni di empowerment, orientamento alla formazione e al lavoro, laboratori di alfabetizzazione digitale e anche un corso di fotografia, realizzato dall’Istituto Italiano di Fotografia.

 

“La condizione di NEET deriva da e porta a situazioni di disagio sociale. Ma sono le giovani a vivere situazioni di marginalizzazione maggiore e più in generale a soffrire di una minore soddisfazione rispetto alla propria vita. Questa situazione più dura nel tempo e più è dannosa. Diventa quindi fondamentale promuovere politiche e progetti sul territorio che possano dare nuova fiducia alle ragazze NEET per aiutarle a uscire da questa condizione di fragilità e diventare di nuovo protagoniste del loro futuro”, afferma Chiara Parapini, project manager di “Lavoro di Squadra” per ActionAid.

Action Aid Milano lancia il progetto “Lavoro di squadra” rivolto proprio alle ragazze Neet

Il progetto è nato nel 2014 per prevenire e contrastare la povertà giovanile. Negli anni è stato implementato in diverse città – fra cui Bari, Reggio Calabria e Torino – intercettando complessivamente oltre 650 ragazzi e ragazze. A Milano, il progetto viene realizzato dal 2015, prima nel quartiere Gratosoglio e dal 2018 al 2021 nel quartiere Comasina, grazie al contributo di Z Zurich Foundation.

Negli ultimi tre anni sono stati coinvolti in totale 102 ragazzi e ragazze e oltre il 70% di loro, al termine del percorso, ha trovato lavoro, cominciato un tirocinio, iniziato un corso di formazione o istruzione.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
“Non studio, non lavoro, non guardo la TV, non vado a cinema, non faccio sport”: così cantavano i CCCP nel lontano 1983 (nel brano Io sto Bene). Il tema dei NEET (acronimo inglese che sta per Neither in Employment nor in Education or Training) non era all’ordine del giorno ma, come spesso accade agli artisti, Giovanni Lindo Ferretti and co. sentivano che qualcosa stava capitando. Erano gli anni ’80, quelli dell’edonismo 'reaganiano', dei look, delle comitive e della Milano da bere. Eppure qualcosa cominciava a scricchiolare.
Neet
In Italia il 24% del totale dei giovani è classificabile come Neet
Oggi i NEET in Italia sono il 24% del totale dei giovani. Un numero enorme, peer altro  in crescita rispetto al 2020: secondo l'Istat più di 97 mila ragazzi nell'ultimo anno sono usciti da percorsi lavorativi o di studio. E, come se non bastasse, quello italiano è il dato peggiore in Europa dopo Turchia, Montenegro e Macedonia. Più nel dettaglio, le ragazze se la cavano peggio (è inattivo il 25% ) dei ragazzi (percentuale Neet del 21,3% ) anche perché, come risulta da una ricerca Ocse (2021) le giovani donne hanno meno probabilità di trovare un impiego rispetto ai loro coetanei uomini. Nel nostro Paese solo il 30% delle donne tra i 25 e i 34 anni con un diploma di istruzione secondaria ha trovato un impiego nel 2020, rispetto al 64% degli uomini. Il divario di genere è evidente anche rispetto al fenomeno. Ovviamente durante la pandemia da Covid la situazione non ha fatto che peggiorare. Le restrizioni, i lockdown e la crisi economica hanno aumentato l'insicurezza nello studio e nel lavoro, i problemi legati alle relazioni sociali e la salute mentale.  

Lavoro di squadra

Solo il 30% delle donne tra i 25 e i 34, con un diploma, ha trovato un lavoro nel 2020, contro il 64% degli uomini
Per aiutare questi giovani Action Aid Milano (con il contributo di Z Zurich Foundation e in collaborazione con Afol Metropolitana, Istituto Italiano di Fotografia e LaFabbrica) ha ideato “Lavoro di squadra”, un progetto rivolto in particolare a ragazze e giovani che si identificano con il genere femminile, comprese tra i 16 e i 25 anni, che rientrano nella condizione di NEET. L’obiettivo è quello di accompagnarle in un percorso finalizzato alla loro personale realizzazione lavorativa o formativa, attraverso la valorizzazione dei singoli talenti individuali, nel rispetto delle competenze e dei desideri personali. Le partecipanti al progetto seguiranno laboratori partecipativi ed attività creative, sessioni di empowerment, orientamento alla formazione e al lavoro, laboratori di alfabetizzazione digitale e anche un corso di fotografia, realizzato dall'Istituto Italiano di Fotografia.   "La condizione di NEET deriva da e porta a situazioni di disagio sociale. Ma sono le giovani a vivere situazioni di marginalizzazione maggiore e più in generale a soffrire di una minore soddisfazione rispetto alla propria vita. Questa situazione più dura nel tempo e più è dannosa. Diventa quindi fondamentale promuovere politiche e progetti sul territorio che possano dare nuova fiducia alle ragazze NEET per aiutarle a uscire da questa condizione di fragilità e diventare di nuovo protagoniste del loro futuro", afferma Chiara Parapini, project manager di "Lavoro di Squadra" per ActionAid.
Action Aid Milano lancia il progetto "Lavoro di squadra" rivolto proprio alle ragazze Neet
Il progetto è nato nel 2014 per prevenire e contrastare la povertà giovanile. Negli anni è stato implementato in diverse città – fra cui Bari, Reggio Calabria e Torino – intercettando complessivamente oltre 650 ragazzi e ragazze. A Milano, il progetto viene realizzato dal 2015, prima nel quartiere Gratosoglio e dal 2018 al 2021 nel quartiere Comasina, grazie al contributo di Z Zurich Foundation. Negli ultimi tre anni sono stati coinvolti in totale 102 ragazzi e ragazze e oltre il 70% di loro, al termine del percorso, ha trovato lavoro, cominciato un tirocinio, iniziato un corso di formazione o istruzione.
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