Guerre, fame, persecuzioni, ma soprattutto cambiamenti climatici: degli oltre 120 milioni di persone in fuga nel mondo, tre quarti vivono in Paesi fortemente colpiti da fenomeni che hanno a che fare con il clima sempre più estremo. Si calcola che oltre il 40% della popolazione mondiale viva in contesti particolarmente vulnerabili, ovvero soggetti ad inondazioni e tempeste, che contribuiscono in modo significativo agli spostamenti forzati e all’aumento dell’insicurezza alimentare.
E come se non bastasse, spesso alle crisi climatiche si collegano altre sciagure, a partire dai conflitti: la metà delle circa 90 milioni di persone in fuga si trova infatti in Etiopia, Haiti, Myanmar, Somalia, Sudan e Siria, Paesi cioè coinvolti in guerre più o meno dichiarate.
I dati sono contenuti nel rapporto 'No Escape: On the Frontlines of Climate Change, Conflict and Forced Displacement' ('Senza scampo: in prima linea contro i cambiamenti climatici, i conflitti e gli sfollamenti forzati') dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) realizzato in collaborazione con 13 organizzazioni di esperti, istituti di ricerca e gruppi di rifugiati.
I migranti climatici
La definizione esatta di chi costituisce un migrante climatico può variare a seconda del contesto e dell'interpretazione legale, ma in generale si riferisce a coloro che sono stati spinti a migrare a causa di fattori climatici diretti o indiretti. Parliamo di uomini, donne e bambini che possono provenire da regioni colpite da eventi meteorologici estremi come inondazioni, siccità prolungate, uragani o incendi boschivi, oppure da aree in cui il cambiamento climatico ha causato un deterioramento graduale delle risorse naturali, come l'erosione del suolo, la desertificazione o l'innalzamento del livello del mare.
Un fenomeno, quello dei migranti climatici, che è per altro destinato ad aumentare nei prossimi anni, in maniera drammatica: secondo il rapporto, infatti, entro il 2040 il numero di Paesi che dovranno affrontare rischi estremi legati al clima passerà da 3 a 65, la maggior parte dei quali ospiterà rifugiati e sfollati interni. Allo stesso modo, si prevede che entro il 2050 saranno 200 milioni gli individui sfollati per via dei disastri legati al clima. Uomini e donne in fuga all’interno del loro stesso Paese o in quelli confinanti. Inoltre,
“Una profonda ingiustizia: le soluzioni ci sono ma vanno applicate”
La maggior parte degli insediamenti e dei campi rifugiati sperimenteranno inoltre il doppio dei giorni di caldo estremo. "L'emergenza climatica rappresenta una profonda ingiustizia – ha dichiarato l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi –. Le persone costrette a fuggire, e le comunità che le ospitano, sono le meno responsabili delle emissioni di carbonio eppure stanno pagando il prezzo più alto. I miliardi di dollari di finanziamenti per il clima non arrivano mai a loro e l'assistenza umanitaria non riesce a coprire adeguatamente il divario sempre più ampio. Le soluzioni sono a portata di mano – prosegue Grandi – ma è necessaria un'azione urgente. Senza risorse e sostegno adeguati, le persone colpite rimarranno intrappolate” .
"Per le persone più vulnerabili del mondo, i cambiamenti climatici sono una dura realtà che incide profondamente sulle loro vite -prosegue Grandi-provocando sfollamenti in regioni che già ospitano un gran numero di persone sradicate da conflitti e insicurezza, aggravando la loro situazione e lasciandole senza un posto sicuro dove andare”, conclude il Commissario.
Chi sono i più colpiti
Nel rapporto si osserva anche come le comunità nelle aree colpite dalla siccità tendano a essere giovani, più maschili, con un reddito basso e un’istruzione limitata. Dall’altra parte dello spettro, le popolazioni colpite dagli incendi selvaggi sono più anziane, più donne, con un reddito più alto e un’istruzione avanzata. Gli sfollamenti dovuti a inondazioni e tempeste hanno spesso un impatto sulle comunità agricole, mentre la siccità colpisce soprattutto i pastori e gli incendi selvaggi hanno tipicamente un impatto sui residenti urbani.
“Non hanno protezione”
“A causa dell’innalzamento del mare, milioni e milioni di persone saranno costrette a spostare la residenza, nel Mediterraneo come nelle piccole isole-Stato dell’Oceania, o nell’oceano Pacifico” afferma Valerio Calzolaio, politico, ex sottosegretario al ministero dell’Ambiente, autore di numerosi saggi sul tema. Che denuncia, ad oggi "per queste persone non esiste la protezione che viene garantita ai rifugiati. C’è la possibilità del riconoscimento attraverso accordi bilaterali o la via giudiziaria. A livello globale, ci sono organismi che stanno discutendo su quanto previsto in un punto dell’accordo di Parigi del 2015, ma a oggi ancora niente di concreto”.
Con la 29ª Conferenza delle Parti (COP29) in corso, l’OIM esorta i policymakers, le agenzie internazionali e i governi locali a dare priorità a interventi che rispondano alle esigenze specifiche delle comunità colpite dai cambiamenti climatici. L’OIM esorta le parti a concentrarsi su soluzioni di adattamento per coloro che desiderano restare e su percorsi migratori sicuri per chi è in movimento o vuole migrare.