
Lotta allo spreco alimentare
Lo spreco alimentare è una delle questioni cardine del nostro tempo e, come è facile immaginare, riguarda soprattutto i Paesi del mondo più sviluppati. In particolare in Europa la Commissione Europea stima uno spreco di 89 milioni di tonnellate all’anno, ben 179 kg per ciascun cittadino. Non va meglio in Nord America, dove sono circa 300 i kg di spreco per ciascun americano. L’allarme è stato lanciato a chiare lettere dalla Food and Agriculture organization (Fao), i cui numeri parlano di circa 1,6 miliardi di tonnellate di cibo commestibile che nel mondo vengono gettati nel cassonetto – si parla di un terzo di quello prodotto - che equivale a 1,2 trilioni di dollari persi. E il trend è in peggioramento: nel 2030 si potrebbe toccare quota 40% e sforare i 2 miliardi di tonnellate. Numeri che vanno corretti tenendo presente che, oggi, vengono messi in pratica tutta una serie di comportamenti poco sostenibili, che riguarda tutta la filiera: dai metodi di produzione ai passaggi di trasformazione e distribuzione, fino ai comportamenti dei servizi di ristorazione come dei singoli cittadini.
La Spagna è intervenuta nel concreto con un disegno di legge che prevede multe davvero salate per gli esercizi commerciali che gettano alimenti commestibili e, inoltre, ha deciso di imporre a tutti gli attori della filiera di presentare periodicamente piani di efficienza. Quanto al cibo in surplus, dovrebbe essere riutilizzato grazie a enti, ong e banchi alimentari. Ma non è solo la Spagna ad adottare misure antispreco. Allo scopo di mettersi in linea con gli obiettivi indicati dall’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile, anche altri Paesi, come Francia e Italia, sono attivi in tal senso. In particolare nel paese d'Oltralpe, che si è guadagnato il primo posto in classifica nel Food Sustainability Index, fin dal 2013 ha ideato campagna che si propone di dimezzare entro il 2025 lo spreco di cibo. Traguardo perseguito attraverso l’introduzione di tutta una serie di norme che di fatto obbligano gli esercenti commerciali a donare alle associazioni benefiche gli alimenti che sono oramai vicini alla scadenza. E dal 2016 ha anche approvato la legge 'doggy bag' che impone ai ristoratori di attrezzarsi per fare in modo che i clienti possano portarsi a casa il cibo non hanno consumato. Anche l’Italia ha fatto lo stesso con una legge del 2016 prevedendo la cosiddetta 'family bag', e per gli agricoltori e le aziende agricole che donano le eccedenze di cibo invece di buttarle, è stato previsto anche un incentivo fiscale, sotto forma di riduzione della tassa sui rifiuti. Questo, sulla carta. Nella pratica invece gli italiani, così come gli europei, risultano i più timidi nell’utilizzare la 'doggy bag', che viene richiesta in media da 4 clienti su 10. Una media di molto inferiore a quella americana, dove a richiederle sono 3 su 4, ben il 74% dei consumatori.
C’è ancora molto da fare, sia in Europa che nel mondo. E lo dimostrano le ultime rilevazioni condotte dall'osservatorio Waste Watcher International in otto Paesi. Secondo le quali negli Stati Uniti come in Russia, ma anche in Canada, Germania e nelle stesse Italia e Spagna, il ricorso alle app salvacibo resta ancora un’abitudine ristretta a non più del 9% della popolazione. Nello specifico, le app attrezzate per alert sui prodotti in scadenza, dispositivi di scambio o acquisto degli alimenti invenduti, sono utilizzate dal 5 al 7% nel Regno Unito e in Canada, dal 3 al 7% in Italia, dal 4 al 9% in Spagna, fino al 9% negli Usa e non più del 5% in Russia. Al primo posto invece si piazzano i cinesi: sono loro i più tecnologici per quanto riguarda la prevenzione dello spreco di cibo, tant’è che fino al 17% della popolazione utilizza app dedicate.
La legge in Spagna e i provvedimenti in Francia e Italia

La Fao denuncia 1,6 miliardi di tonnellate di cibo commestibile sprecato
I dati di Waste Watcher International

Il ricorso alle app salvacibo rimane un'abitudine ristretta al solo 9% della popolazione