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"Mi sento più leggero": via libera in Italia al primo suicidio assistito per un paziente tetraplegico

di MARIANNA GRAZI -
23 novembre 2021
Surgeon, physician performs surgical operations, anesthetist or anesthesiologist holding patient's hand ffor checking state of mand or support in ER room, Medical healthcare concept

Surgeon, physician performs surgical operations, anesthetist or anesthesiologist holding patient's hand ffor checking state of mand or support in ER room, Medical healthcare concept

Per la prima volta in Italia è stato autorizzato il suicidio medicalmente assistito. Il paziente è un 43enne marchigiano tetraplegico, immobilizzato da 10 anni, ed è "il primo malato a ottenere il via libera", come annuncia l'associazione Luca Coscioni, che aveva seguito la sua vicenda e ne ha annunciato 'il lieto fine'. Il Comitato etico dell'azienda sanitaria di riferimento, la Asur Marche, ha deciso che nel suo caso ci sono le condizioni per accedere al farmaco letale. Una decisione arrivata dopo un iter lungo 13 mesi, faticoso e combattuto.

Le condizioni previste dalla Corte Costituzionale

La richiesta di potersi sottoporre al suicidio assistito da parte dell'uomo era stata presentata più di un anno fa, ad agosto del 2020. Ma all'inizio l'Asl marchigiana l'aveva 'semplicemente' respinta, senza neanche attivare le procedure indicate dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza in materia aveva stabilito che il suicidio assistito non è punibile se ci sono alcune specifiche condizioni. Il paziente deve essere "tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale", deve essere "affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili" e infine "pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". E tutte queste condizioni devono essere verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. La sentenza della Consulta, numero 242 del 22 novembre 2019, sul caso di Marco Cappato, politico e attivista, accusato - in base all'articolo 580 del codice penale - di avere aiutato a suicidarsi Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, è stata la molla delle successive battaglie dell'Associazione Coscioni, che si è spesa in prima linea perché la procedura del suicidio assistito si potesse estendere all'Italia a cominciare proprio dal camionista di Pesaro, immobilizzato al letto dopo un incidente stradale. Dopo il rifiuto da parte dell'Azienda sanitaria l'uomo ha infatti presentato un'istanza al Tribunale di Ancona, che dopo un iniziale decisione - a marzo-  favorevole alla Asl, ha accolto il suo reclamo e ha ordinato che l’azienda sanitaria avrebbe dovuto verificare le condizioni del paziente e la sussistenza dei criteri previsti appunto dalla Corte Costituzionale. Il Comitato etico dell’azienda, organismo indipendente formato da medici e psicologi che hanno la responsabilità di garantire la tutela dei diritti dei pazienti, ha ora stabilito che l’uomo, in effetti, rientra nelle condizioni richieste e necessarie per l'accesso al suicidio assistito, ma ha anche specificato che "restano da individuare ora le modalità di attuazione". Gli avvocati del malato, guidati dal segretario nazionale dell'Associazione Luca Coscioni Filomena Gallo, si sono detti disponibili a collaborare con l’ASUR Marche per definire queste procedure, affinché la volontà dell'uomo, e la sentenza della Corte Costituzionale, vengano finalmente rispettate. Intanto però, anche solo apprendere il parere dei medici è stata per il paziente una sorta di momento di liberazione, dopo anni di catene che lo tenevano legato a quella vita che tanto lo faceva star male. L'uomo, infatti, ha subito commentato: "Mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni".

Suicidio assistito ed eutanasia: le differenze

 

Marco Cappato e altri volontari dell'associazione Coscioni depositano oltre un milione di firme per il referendum sull'eutanasia

Nel suicidio assistito il farmaco letale viene assunto in modo del tutto autonomo dalla paziente che ne ha fatto richiesta. Questa modalità rende la procedura diversa dall'eutanasia, con cui non va confusa. Nell'eutanasia, infatti, è il medico ad avere un ruolo fondamentale nel portare alla morte il malato. In quella attiva è il dottore a somministrare il medicinale, mentre in quella passiva è sempre il professionista che sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona. Nel nostro Paese, l'eutanasia passiva è regolata, dal gennaio del 2018, dalla legge sul testamento biologico, mentre non esistono ancora leggi specifiche in materia di eutanasia attiva né per il suicidio assistito, ma solo la sentenza della Corte Costituzionale del 2019 sul caso dj Fabo. Per questo, ancora una volta, è scesa in campo l'associazione Luca Coscioni, con la proposta di un referendum sull'eutanasia attiva (leggi qui) per cui a ottobre sono state depositate alla Corte di Cassazione più di un milione di firme. Se verrà autorizzato questo dovrebbe svolgersi il prossimo anno. Il quesito propone di abrogare una parte dell'articolo 579 del codice penale, che punisce proprio l'assistenza al suicidio. E che porterebbe tantissime persone, secondo i modi e le condizioni stabilite per legge, a sentirsi finalmente di nuovo libere.