
termini
La parità di genere è una delle priorità trasversali del mondo, a partire dal punto di vista di ciò che viene democraticamente utilizzato da tutti: la lingua. Parlata o scritta, la parola si trasforma in cartina di tornasole dei cambiamenti sociali e delle rivoluzioni in corso. Un esempio recente del duello scatenato dall’uso del femminile dei nomi di professione o delle cariche, è il siparietto che si è consumato sul palco di Sanremo: a distanza di mesi, c’è chi ancora critica l’"occasione sprecata" di Beatrice Venezi e chi la sostiene parlando di “un calcio al politicamente corretto”.
Ad Amadeus, che le chiedeva come volesse essere chiamata, Venezi rispose: «Per me quello che conta è il talento e la preparazione con cui si svolge un determinato lavoro. Le professioni hanno un nome preciso e nel mio caso è “direttore d’orchestra. Mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo”, tagliò corto. In realtà in italiano direttore al femminile si coniuga direttrice (esattamente come il dottore diventa dottoressa) e il motivo per cui solitamente si parla di direttore è semplicemente perché storicamente questo ruolo è stato ricoperto da uomini. Il “caso“ Venezi non solo ha esteso il dibattito sui social, ma anche al mondo culturale e politico: "La declinazione femminile la si accetta in certe mansioni come “contadina“, “operaia“ o “commessa“ e non la si accetta quando sale la scala sociale, pensando che il maschile sia più autorevole - le parole di Laura Boldrini, deputata del Pd - Invece il femminile è bellissimo. È un problema serio che dimostra poca autostima. Inviterei la direttrice Venezi a leggere cosa dice l’Accademia della Crusca, la più alta autorità linguistica del nostro Paese. Se il femminile viene nascosto, si nascondono tanti sacrifici e sforzi fatti".

Beatrice Venezi e Amadeus 71mo Festival di Sanremo
Non dovrebbe essere una rivendicazione
L’utilizzo dei femminili, in una situazione ottimale, non dovrebbe essere una rivendicazione: se chiamare infermiera un’infermiera non è “ideologico”, non dovrebbe esserlo nemmeno chiamare ingegnera un’ingegnera. Tuttavia è innegabile: considerato il ruolo (percepito più che reale) della donna nella società italiana attuale, i nomina agentis al femminile diventano per forza una rivendicazione; e questo è, contemporaneamente, il punto di forza dell’istanza e il suo punto debole, in quanto come ogni questione che si vena di tratti ideologici incontrerà il favore di una parte della società e lo sfavore di un’altra. E così, ancora oggi, per una donna definirsi ministra è diventato “di sinistra” e dire di essere ministro è “di destra”. La questione linguistica si interseca con altri piani, soprattutto quello sociale, ma anche quello culturale e politico. Se ormai è assodato che il femminile di avvocato è avvocato, restando in ambito giuridico, ecco il dilemma del sostituto procuratore: occorre riferirsi al genere della persona che sostituisce o della persona sostituita? "Un buon parametro generale è quello di concentrarsi sul genere della persona che deve portare l’appellativo - sottolineano gli addetti ai lavori - : se è donna, che sia la sostituta procuratrice, senza soffermarsi sul genere della persona di cui è sostituta. Allo stesso modo il sostituto di sesso maschile di una procuratrice sarà comunque un sostituto procuratore".
Il "casalingo"
Grammatica e pensiero sessista
Se certi femminili grammaticalmente corretti “suonano male” o sono avvertiti come meno “prestigiosi” dei corrispondenti maschili, il problema non è nella grammatica, bensì nel pensiero (sessista) di cui il linguaggio è veicolo. Le forme come “giudice donna” sono inaccettabili, come lo è “uomo casalinga”, di cui è più facile avvertire l’inadeguatezza. Tanto da dare il benvenuto al lemma “casalingo“, che è sempre meglio della forzatura “mammo“.Testimone del dinamismo sociale
Una querelle infinita, sviscerata - e non da oggi - da chi, con la lingua, ci lavora ogni giorno: «Credo che nessuno vada a guardare su un dizionario le definizioni di Uomo o di Donna - interviene Luca Serianni, linguista che, assieme a Maurizio Trifone, ha guidato il rinnovamento del 'manuale' concepito da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli nel 1967 -. Il vocabolario però non è solo una rassegna utile di parole e definizioni particolari o difficili, ma la foto di un certo momento linguistico e quindi in certe fasi riflette il mutato senso di alcuni termini, come è ora accaduto appunto con Uomo e Donna". Osservatorio dei mutamenti della lingua italiana, ancora una volta il Nuovo Devoto-Oli, aggiornato annualmente, si conferma come un attento testimone del dinamismo, sociale prima ancora che linguistico, del nostro Paese, e, gli anni scorsi sono stati segnati dall’ingresso di neologismi tecnologici e termini inglesi, oggi gli autori e la redazione hanno prestato attenzione alle parole legate alla mutata sensibilità sociale su temi quali sostenibilità, inclusione, parità di genere.
Il nuovo dizionario Devoto-Oli