Avere un
tumore e, allo stesso tempo, portare in grembo un bambino. È una eventualità che si verifica in circa
una su mille donne incinte. Ma se, fino a pochi anni fa, la diagnosi di cancro durante una gravidanza già iniziata rappresentava il più delle volte una
sentenza all’aborto, ora la prospettiva è cambiate e grazie ai passi avanti della ricerca la maggioranza delle donne riesce a portare alla fine la gravidanza nonostante la malattia. A puntare il faro su questa speciale categoria di pazienti oncologiche sono gli esperti al congresso della
Società americana di oncologia clinica (Asco), ed è un messaggio di speranza per tante donne che si trovano a vivere questa condizione. "I medici - afferma
Frederic Amant, del
Leuven Gasthuisberg campus in Belgio - devono essere preparati a sostenere le pazienti e i loro cari in questo momento difficile. Fortunatamente, le opzioni di gestione per le pazienti con cancro durante la gravidanza si stanno espandendo".
Tumore in gravidanza: una donna su 1000
Già in uno studio pubblicato sul
New England Journal of Medicine nel 2015, Amant ha riferito che l’esposizione prenatale al cancro materno, con o senza trattamento, non ha influenzato negativamente lo sviluppo cognitivo, cardiaco o generale dei bambini nella prima infanzia. Ora, spiega, "un recente follow-up completato quando i bambini avevano un’età media di 9 anni, non ha rivelato effetti a lungo termine dell’esposizione prenatale al cancro materno sul funzionamento cognitivo o comportamentale". Disco verde anche per molte analisi e procedure, mentre su alcune resta la cautela. Recenti studi hanno infatti dimostrato, sottolineano gli esperti Usa, che l’ecografia e la risonanza magnetica sono sicure per tutta la gravidanza. Anche la chirurgia può essere eseguita e la
chemioterapia può essere somministrata in modo sicuro dopo 12-14 settimane di gestazione, ovvero dopo il primo trimestre. Gli effetti della
chemio sono infatti molto diversi nel primo trimestre, quando gli organi del feto si stanno formando, rispetto al secondo e al terzo trimestre, quando il feto è in crescita e può essere in grado di tollerare lo stress della chemioterapia. Gli immunoterapeutici sono invece controindicati in gravidanza a causa dei dati limitati.
Dopo il parto, poi, l’allattamento al seno va discusso e il neonato dovrebbe ricevere analisi del sangue per valutare la tossicità acuta con follow-up
Dopo il parto, poi, l
’allattamento al seno va discusso e il neonato dovrebbe ricevere analisi del sangue per valutare la tossicità acuta con follow-up. Il parto prematuro dovrebbe invece essere evitato quando possibile. Un quadro ben diverso, nonostante alcune cautele, afferma Amant, "rispetto ad alcuni anni fa, quando le opzioni erano limitate all’interruzione di gravidanza, al ritardo del trattamento o al parto prematuro". "I dati - afferma
Rossana Berardi, direttrice della
clinica Oncologica AOU delle Marche-Università Politecnica delle Marche e consigliere nazionale Aiom - dicono che sono oltre 500 i nuovi casi di incidenza di tumore in gravidanza all’anno in Italia. Secondo stime recenti, i tumori in gravidanza rappresentano circa il 2% di tutte le neoplasie diagnosticate durante l’età fertile. Il cambiamento delle abitudini riproduttive, caratterizzato da un aumento dell’età alla prima gravidanza, e l’aumento complessivo di incidenza dei tumori in età riproduttiva rappresentano inoltre elementi che ci fanno comprendere come queste stime siano inevitabilmente destinate a crescere". Complessivamente, spiega, "la patologia non ha una prognosi peggiore, anche se data la rarità della condizione non sono ancora disponibili dati conclusivi. Tuttavia oggi esistono concrete possibilità di cura: la letteratura suggerisce che l’interruzione della gravidanza non sia necessaria, almeno nella maggior parte dei casi, e soprattutto che non è necessario sottoporre né la madre ai rischi determinati da un ritardo nell’inizio dei trattamenti né il nascituro al rischio di un parto prematuro". Più problematico resta il
primo trimestre di gestazione: "E' necessario rimandare l’inizio delle terapie per i potenziali danni sul feto o procedere all’interruzione della gravidanza. In ogni caso - conclude - è sempre importante affidarsi ad un centro qualificato con elevata esperienza".