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GenderGapTecnologia
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Samantha Cristoforetti astronauta dell'Agenzia Spaziale Europea - foto Torres
I dati in Europa e in Italia
proporzione le donne in Europa hanno un titolo di studio più elevato degli uomini. Nessuna sostanziale differenza di genere per la scuola inferiore, mentre andando avanti il divario si amplia. Secondo l’ultimo ritratto statistico Istat Eurostat “La vita delle donne e degli uomini in Europa”, nel 2019 nell’Ue sono quasi uguali le quote per le donne e gli uomini tra i 25 e i 64 anni (22 per cento in entrambi i casi) che hanno completato solo il ciclo d’istruzione inferiore ovvero l’istruzione secondaria di primo grado. Il balzo è successivo. Sul fronte dell’istruzione terziaria: in media il 34 per cento delle donne dell’Ue si è diplomato, contro il 29 per cento dei colleghi. Le differenze più evidenti tra i due sessi si registrano negli Stati membri del Baltico, in Finlandia, Svezia e Slovenia. Un trend simile ma assai meno marcato invece in Italia dove comunque l’università continua a essere prerogativa soprattutto femminile.
Scientifico e istituti tecnici, roba da uomini
C’è un però. E riguarda il curriculum e quindi le scelte di percorso sin dalla più giovane età. Tra i diplomati nei licei scientifici italiani prevalgono i ragazzi (il 26 per cento, contro il 19 per cento femminile), mentre soltanto il 22 per cento delle ragazze si diploma in istituti tecnici, quasi la metà rispetto ai maschi (42 per cento). Un andamento che si traduce nel cosiddetto divario di genere all’interno delle materie Stem ovvero dell’area Science, technology, engineering and mathematics che è ancora piuttosto alto tanto nel Belpaese. Secondo un’indagine di Save the children soltanto il 20 per cento delle donne tenta una carriera scientifica, 17 punti percentuali in meno rispetto alla media maschile. Nel resto d’Europa non va granché meglio. Problema culturale, problema di opportunità o entrambi? La risposta viene da lontano.Gender gap (anche) nelle Stem: le istituzioni stanno a guardare?
Apparentemente no. Il tentativo di abbattere gli stereotipi di genere e di educare alle pari opportunità ha pure prodotto una legge, la 107 del 2015. Ma anche una serie di programmi che vorrebbero essere strategici. ‘Il mese delle Stem’ è una delle iniziative avviate dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca proprio per promuovere le discipline nelle scuole di ogni ordine e grado. Da qui il concorso ‘Stem: femminile plurale’, lanciato in occasione della festa della donna. L’obiettivo fondamentale? Scardinare dal sistema formativo in primis l’idea di una presunta (addirittura naturale, sigh!) scarsa attitudine delle studentesse verso le scienze e quindi incoraggiarle allo studio di materie spesso accantonate. “Perché è così da sempre… per natura!”
Costanza Turrini, project manager del progetto Girls code it better
L’esperienza di ‘Girls code it better’ nelle scuole
Il messaggio della La project manager Costanza Turrini è: “Ragazze, non abbiate paura dei numeri. Sperimentate” ‘Girls code it better’ è entrato nelle scuole italiane sette anni fa per favorire l’incontro delle studentesse con numeri e tecnologia. Un volo a planare che richiede uno sforzo innanzitutto culturale. Costanza Turrini ne è l’ideatrice e la project manager. ‘Girls code it better’ suona quasi come un grido di battaglia, che cos’è? “Si tratta di un progetto ideato e sviluppato da Officina futuro Fondazione Maw. È nato sette anni fa con l’obiettivo di avvicinare alla tecnologia le alunne delle scuole secondarie di primo e secondo grado attraverso laboratori di progettazione, programmazione informatica e fabbricazione digitale organizzati su percorsi di 45 ore. I laboratori, o meglio i club, sono formati da gruppi eterogenei di sole ragazze di tutte le classi dell’istituto: venti sorteggiate in maniera casuale tra le candidate, senza quindi seguire le indicazioni degli adulti…”. Curioso. Perché sorteggiare le partecipanti? “Per evitare che nel laboratorio confluiscano le più brave o le più fragili, le ‘più portate per…’ o le meno. Insomma, la volontà è quella di uscire da certe logiche di selezione che sono in parte alla base proprio del divario e del pregiudizio che vogliamo combattere. Nei laboratori le ragazze affrontano un tema e l’elaborazione di un progetto che prevede anche lo sviluppo di un’area tecnica strumentale. Entrare nel club, infatti, significa imparare a creare siti web, programmare schede elettroniche, sviluppare App e videogame, costruire robot, progettare manufatti e stamparli con la stampante 3D, scoprire l’intelligenza artificiale o immergersi nella realtà aumentata, ad esempio. Ma significa anche imparare a imparare, superare i limiti che l’ambiente circostante impone alle donne, da sempre. Gli effetti benefici dell’attività di ‘Girls code it better’ si riscontrano anche sul fronte del contrasto alla dispersione scolastica. Finora abbiamo formato 4.500 ragazze su 117 scuole attraverso 227 club. Al progetto, che è gratuito, possono iscriversi entro il 31 maggio 2021 le scuole di tutta Italia su https://girlscodeitbetter.it ”. Qual è il principio ispiratore del progetto? “Tutto nasce da una semplice domanda. Le donne hanno titoli di studio più alti (rappresentano oltre il 59 per cento dei laureati), sono spesso più preparate e più brave già dalle superiori, ma trovano ostacoli maggiori al momento di entrare nel mondo del lavoro. È occupata una donna su due: perché? Il punto è che mancano nei settori attualmente e in futuro più strategici e sui quali aziende, istituzioni tendono a investire. Il gender gap nelle materie Stem è considerevole. Il loro ruolo è marginale in ingegneria, fisica e informatica: le studentesse che scelgono quei percorsi in genere però si laureano prima e con voti più alti proprio perché poche, molto motivate e bravissime. Va molto meglio a livello di partecipazione per matematica, chimica e medicina. Il cammino però è ancora lungo”. Quando le donne iniziano ad autoescludersi da certi temi? “Sin da piccole. Da quando ‘rinunciano’ a giocare con la Lego per costruire, ad esempio. Ricerche scientifiche hanno dimostrato che già alle scuole elementari le bambine iniziano a credere di essere meno brave dei compagni in determinate attività. Affiora, inoltre, in quella fase lo stereotipo della bambina ‘bella, posata e carina’ e del maschio ‘intelligente’. In Italia, anzi nel mondo, alle femmine non si chiede di essere sfidanti e così anche a scuola spesso faticano, hanno più paura ad accettare la competizione". C'è un momento-chiave di questo aspetto? "La differenza tra generi esplode all’ultimo anno delle medie. Se in prima si dimostrano ancora piuttosto aperte e predisposte agli stimoli nuovi, in terza la loro percezione è già influenzata dai retaggi culturali che le vogliono, generalmente, impegnate in studi umanistici e quindi poi in professioni che permettano loro di conciliare la carriera con i futuri impegni familiari. Qualcosa sta cambiando, ma guardando alle iscrizioni al liceo scientifico scopriamo che metà delle ragazze opta per l’indirizzo linguistico, mentre il percorso delle scienze applicate resta appannaggio dei maschi. In più esistono ancora genitori e docenti che distinguono tra materie ‘da maschi’ e materie ‘più da femmina’. Ecco perché l’evoluzione deve essere in primis educativa e culturale”.
Una t-shirt con il motto che dà il nome al progetto Girls code it better