Violenza sulle donne: conseguenze anche sul Dna

Un studio, avviato nel 2023, analizza le conseguenze epigenetiche della violenza: si cercano volontarie

di DOMENICO GUARINO
6 novembre 2024
Violenza sulle donne, piaga infinita. Gli accessi al Centro d’ascolto: +30%. Sempre più giovane chi chiede aiuto

La foto di una donna su un cavalcavia dove sono esposte decine di paia di scarpette rosse, simbolo della violenza contro le donne

La violenza di genere è un cancro della nostra società. E i numeri, drammatici, dei femminicidi non sono altro che la punta tragica di un iceberg alla base del quale si trovano piccole e grandi sopraffazioni, umiliazioni, minacce, vessazioni di ogni tipo.

La cosa che si sa meno è che la violenza lascia strascichi pesanti non solo sul fisico, se si tratta di violenza agita su quel piano, non solo sulla psiche ma anche sul Dna delle donne che la subiscono. Con ricadute che potrebbero manifestarsi a distanza di 10-20 anni. Fino a che punto profonde? Tanto da minare la salute in maniera irreversibile?

Proprio per rispondere a queste domande nasce la nuova fase multicentrica del progetto EpiWe (Epigenetics for Women), promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, che chiede la collaborazione di tutte le donne che hanno subito violenza, attraverso un semplice prelievo di sangue. L’obiettivo è quello di capire quanto queste modifiche si estendano all’interno del genoma delle vittime, e quanto durano i loro effetti nel tempo.

Lo studio pilota EpiWE, pubblicato nel 2023 (promosso dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Università di Milano e la Fondazione Cà Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e che ha coinvolto 62 persone vittime di violenza,) aveva già dimostrato che la violenza, e il trauma psicologico che ne consegue, sono in grado di alterare a livello epigenetico il genoma delle donne che ne sono vittima, modificandone non la sequenza ma la funzionalità.

Ora, la nuova fase dello studio, che durerà almeno 18 mesi, ha l'obiettivo di approfondire ed articolare meglio i risultati, anche con l'ausilio di una scala di screening molto più ampia. Lo studio infatti si svolge in 5 Regioni (Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria) ed è rivolto a tutte le donne vittime di violenza che vivono in queste Regioni, raggiunte attraverso un'informazione a cura di ambulatori, pronto soccorso, case e centri antiviolenza, asl.

Per partecipare, su base volontaria ovviamente, basterà compilare un questionario e donare un campione biologico attraverso un semplice prelievo di sangue e di tornare per valutare nel tempo la possibile variazione epigenomica. I prelievi saranno 4 distribuiti nell'arco di 2 anni (uno ogni sei mesi) per intercettare il prima possibile gli eventuali danni di salute. Al momento del prelievo, e nei richiami del follow-up, i campioni biologici saranno corredati con una serie di dati sul benessere psicofisico, con particolare riguardo alle patologie stress-correlate, come spiega la coordinatrice Simona Gaudi, ricercatrice del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Iss,.

L'ambizione dello studio è quella di fornire le basi per mettere in atto una prevenzione “di precisione”. La dott.ssa Gaudi non ha dubbi “la violenza influisce sulla salute del genoma in un modo tale che i suoi effetti a volte si manifestano 10-20 anni dopo. L’obiettivo di questa nuova fase dello studio è capire la relazione tra l’insorgenza di patologie non trasmissibili e l’aver subito violenza. E questo si può misurare attraverso lo studio di tutto l’epigenoma”.

“L’epigenetica – prosegue Gaudi citata dal Corriere della Sera – nella maggior parte dei casi è un fenomeno dinamico e reversibile. Noi siamo il nostro dna ma anche l’ambiente ci modifica ogni giorno, se ci fanno incontrare la violenza, il nostro dna non cambia di sequenza apparentemente (lo andremo a verificare) ma cambia la sua funzionalità. Se la donna rimuove la violenza, capisce che non è avvenuta per colpa sua, che è ‘cattiva’ la violenza e non lei che l’ha subita, ha la possibilità di riparare al danno. Analizzando tutto il profilo dell’epigenoma nel tempo, saremo in grado di dire che quella donna potrebbe avere un maggiore suscettibilità a sviluppare un tumore all’ovaio o una malattia cardiovascolare o una patologia autoimmune”.