“Beverly Hills 90210”: meriti e difetti di una serie che ha segnato un’epoca

Dopo la morte di Shannen Doherty si torna a parlare del telefilm in cui si raccontavano le avventure, i drammi e gli amori di un gruppo di giovani – bianchi e ricchi –. Che è stato meno banale di quanto si creda

di GIOVANNI BOGANI
15 luglio 2024
E' morta Shannen Doherty, star di Beverly Hills

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Scompare Shannon Doherty, vinta da un cancro che l’ha strappata alla vita ad appena 53 anni, e si torna a parlare della serie tv di cui lei – nel ruolo di Brenda – è stata un’icona indiscussa: “Beverly Hills 90210”. Una serie che ha segnato tutti gli anni ’90, negli Stati Uniti come in Europa.

I teenager di 90210 che hanno ‘fatto scuola’

Raccontava di ragazzi di liceo, ragazzi tutti belli, senza problemi, impegnati soprattutto ad amarsi, a scoprirsi, a tradirsi. Tavole da surf, balli di fine anno, jeep guidate a sedici anni. Le nostre scuole sembravano tanto più noiose, tanto più prive di bellezza, tanto meno glamourous. E tanto più piene di libri, che in “90210” non apparivano quasi mai… Così, tutti quelli che erano ragazzi negli anni ’90 hanno sognato di vivere quegli amori, di essere un po’ come quei ragazzi lì.

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Quella serie era il modo per scoprire come vivevano i ragazzini ricchi a Los Angeles e in generale negli Stati Uniti. E, per i Millennials, è una miniera di informazioni su come vivevano i colleghi teenagers negli anni ’90. Ma non era una serie nella quale la vita fosse rappresentata tutta come rose e fiori: parlava di tossicodipendenze, di Aids, di ubriachezza, di sessoragazze madri, e in due episodi anche del problema degli immigrati sottopagati. Non male, in realtà, per quello che avrebbe dovuto essere, essenzialmente, un lungo spot per il capitalismo rampante.

Il razzismo 

Però, però c’è un tema che “Beverly Hills 90210” affronta poco. È – come molti altri audiovisivi di quegli anni – un telefilm essenzialmente “white”. Tutto viene visto da una prospettiva “bianca”. Le persone  nere sono relegate allo sfondo, nei corridoi, nelle scene di folla. C’è solo un episodio nel quale compaiono caratteri black: un episodio che racconta come, nella scuola, vengano reclutati studenti neri da fuori, per rinforzare la squadra di basket. È un episodio che solleva questioni legate alla razza e ai privilegi dei bianchi. Brandon e Steve, nel corso di quell’episodio, rivelano i loro pregiudizi razzisti. E gli spettatori vengono spinti ad esaminare i propri pregiudizi, il proprio razzismo di fondo.

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Il rifiuto del victim blaming

È vero, però, che “90210” a ben guardare si mostra molto più illuminato di quello che potrebbe sembrare a un primo sguardo. Per esempio, sul tema del “victim blaming”, dell’accusare la vittima di una molestia. In un episodio della seconda stagione, durante una festa, Kelly – Jennie Garth – ha un costume da strega molto sexy; Brenda le dice che “è in cerca di guai”. Più tardi, quella sera, un uomo la aggredisce sessualmente. Dice che lo ha fatto perché “era vestita come una p…”, e la stessa Kelly si dà delle colpe, per essersi vestita così. “Te l’avevo detto”, insiste Brenda. Ma a questo punto entra Dylan – Jason Priestley – e tutto cambia. Dylan dice:”l’ultima cosa che quella ragazza vorrebbe sentire è qualcuno che le dice cosa fare. Ora, io ti voglio dire che, da ragazzo, non importa quanto una ragazza ti attragga, un ragazzo ha sempre una scelta. Può sempre scegliere di non farti qualcosa che tu non vuoi che ti venga fatta. Tu hai detto no”. Un no è un no, oggi come ieri. E “90210” lo sapeva.

Gli altri temi 

Nel telefilm si parla anche di salute mentale. Un personaggio, Emily Valentine (Christine Elise McCarthy) che ha una breve relazione con Brandon (Jason Priestly) finisce in ospedale psichiatrico. Alcuni episodi dopo, Brandon va a farle visita, il loro incontro è molto toccante. Ed è un esempio di come i temi non vengono lasciati cadere, con superficialità. E in un episodio i ragazzi combattono per installare distributori di preservativi a scuola: un tema che per i dirigenti della Fox, rete assai conservatrice, e dei suoi inserzionisti, era ben più che audace. E si parla di armi: un ragazzo muore mentre festeggia il suo compleanno, giocando con la pistola del padre, pistola che accidentalmente spara e lo uccide. (Episodio, il 14esimo della seconda stagione, che pare sparito da Prime).

La mancanza di diversità 

Il telefilm che tanto ha segnato una generazione si rivela, insomma, meno banale e meno disimpegnato di quanto possa sembrare. C’è però un aspetto che visto oggi sembra appartenere davvero ad un altro mondo: la mancanza di diversità. Forse solo David nel telefilm tratta le persone nere come se fossero suoi amici; gli altri non si risparmiano commenti poco simpatici. E soprattutto non c’è nessun personaggio nero fra quelli principali. Forse il fatto che lo showrunner, Aaron Spelling, fosse un uomo bianco e conservatore non è estraneo a questa scelta. Ma c’è anche chi sostiene che “è Beverly Hills: ci vive la crème dell’America capitalista, dove le minoranze sono il 7 per cento”. Anche se non intenzionalmente, “90210” era stato accurato.

E c’è un episodio, ambientato in Texas, in cui Brandon è totalmente disgustato dal razzismo di cui è testimone. Il dibattito si è acceso anche negli Stati Uniti. Ma c’è chi scrive, con qualche ragione: “Erano gli anni ’90. Smettetela di applicare standard moderni a uno show vecchio di trent’anni”. E riguardo all’Aids, che era una piaga che ha sconvolto il mondo negli anni ’90, ed era diventata una delle principali cause di morte fra gli americani giovani, “90210” rappresenta i malati esclusivamente come maschi bianchi omosessuali, mentre la realtà si stava dimostrando molto differente. Una rappresentazione non veritiera, che contribuiva a rafforzare lo stigma legato alla omosessualità. C’è da dire che neanche un film pluripremiato come “Philadelphia” di Jonathan Demme, del 1994, con Tom Hanks, rappresentava il malato di Aids in modo tanto diverso.