Franco Miseria è uno dei registi e coreografi più importanti dello show nel panorama artistico italiano. Un ragazzino di 73 anni che non smette un attimo di ideare nuovi progetti per continuare ad essere protagonista della scena dopo i suoi lunghi trascorsi di ballerino e poi coreografo. Adesso ha due scuole di danza nelle quali profonde tutta la propria esperienza, facendone veri e propri vivai di nuovi talenti. La carriera di Franco Miseria è costellata di luci luminosissime, ma gli inizi sono stati estremamente duri: quando per tutti era Franchino e faceva mille mestieri pur di frequentare i corsi di danza perché in casa sua l’allusione a quel cognome così evocativo era un triste, quotidiano dato di fatto. Nel suo ultimo libro Dance, volevo essere Ringo Star Miseria racconta le sue umili origini e quanto venisse spesso preso in giro e fosse continua vittima di atti di bullismo e violenze verbali.
Grazie all’amore della madre e tanta forza di volontà Franchino riesce a trasformare la rabbia in forza, facendo in modo che i suoi sogni si traducessero in realtà. Lascia precocemente la scuola e si rifugia nei caffè dove la musica di Elvis Presley e dei Beatles trasmessa dai jukebox finisce per rapirlo completamente. Si innamora così del batterista dei ragazzi di Liverpool, capace di imprimere al gruppo un ritmo preciso e speciale. E sarà proprio quello stesso ritmo a coinvolgerlo fino a farlo danzare felice e senza sosta. Comincia a frequentare lo storico Piper di Roma e lì fa l’incontro che gli cambia la vita: quello con un ballerino professionista che gli indica la giusta strada da percorrere. E’ l’inizio di un nuovo corso di vita, di una progressiva emancipazione dalla povertà, dalle mille restrizioni e soprattutto dalle percosse di un padre alquanto violento. Presto arriverà il debutto in televisione e a seguire mille altri traguardi che ne faranno una star indiscussa della coreografia e della danza moderna. Innumerevoli gli spettacoli, teatrali e televisivi, che portano la sua firma, tantissime le collaborazioni con illustri personaggi del mondo della danza e non solo. Adesso il Franchino di oggi, lungi dal fermarsi, sta preparando una bella sorpresa per tutti. La passione come quando era un ragazzino lo accompagnerà sempre, luminosa come una stella da seguire, come un faro da non perdere mai di vista. Un percorso, quello della danza, iniziato da giovanissimo… “Il mio primo palcoscenico è stato una sedia: quella dove i miei, ballerini provetti alle sagre paesane di Marsciano (provincia di Perugia, ndr), mi parcheggiavano per tutto il tempo delle loro evoluzioni in pista. Così non potevo fare a meno di seguire la musica a tempo con la sensazione di danzare pur stando seduto. Un istinto innato pronto a esplodere non appena ascoltavo quelle canzoni capaci di suscitare in me un senso di gioia pura, di vero divertimento. In particolare restavo come stregato dal ritmo della batteria, così battevo i piedini a tempo e questo mi prendeva moltissimo, mi elettrizzava. Posso dire che quelli erano i momenti più belli in assoluto di quella mia difficile infanzia.” Per quale motivo? “Mio padre era un tipo molto manesco, uno abituato a distribuire botte a destra e a manca. Lui menava tutti, faceva parte del suo carattere e immaginava che quello fosse il metodo correttivo d’elezione, mentre era solo segno della sua grande ignoranza. Era allora operaio di una fornace dove si producevano mattoni e senza dubbio il suo lavoro era davvero molto duro. Dicendo questo non voglio giustificare il suo comportamento violento, però non bisogna dimenticare come la sua fosse una storia familiare fatta di privazioni, di fame vera e di un certo degrado ambientale. Devo dire che questo allusivo cognome, finché sono stato con i miei, è stato sinonimo di una condizione realmente problematica dal punto di vista economico. La prendo con ironia, molto amara però: ho sperimentato di persona cosa significa letteralmente non avere neppure una lira in tasca.”
Per quegli anni la sua scelta è stata molto originale. Ha avuto delle difficoltà? “Certo, all’inizio non è stato facile far capire proprio a mio padre quali fossero le mie ambizioni. Lui voleva fare di me un barbiere, e quindi voleva che mi impiegassi nel salone del paese. La verità è che c’era un disperato bisogno di soldi e in più marinavo di continuo la scuola perché ero oggetto di atti insopportabili di bullismo da parte di alcuni miei compagni. Mi prendevano in giro per quel mio cognome che si prestava a tutta una serie di battute e luoghi comuni, così spesso ero coinvolto in risse e in sfide tra ragazzini, e il più delle volte avevo la peggio. Allora preferivo evitare la scuola passando intere mattinate ad ascoltare le canzoni di Elvis Presley trasmesse dai juke-box , a sognare i grandi miti dell’epoca con quella musica capace di far vibrare ogni cellula e far muovere le mie gambe che sembravano fatte per reinterpretarla.” Chi ha maggiormente sostenuto la sua decisione di dedicarsi alla danza? “ Mia madre, assolutamente. Ripeto: avevo un padre con cui discutere era impossibile e non condividere il suo punto di vista significava prendere un sacco di botte . A tredici anni sono stato costretto a lavorare nella piccola officina di gommista aperta da papà quando ci siamo trasferiti a Roma. Facevo una grande fatica specialmente quando dovevo smontare con la chiave a croce manuale le ruote di automobili e camion. Davvero molto dura per il Franchino di allora, costretto a lavorare per portare qualche soldo in più a casa. Però il tempo passava alla svelta al solo pensiero che nel tardo pomeriggio, una volta libero, avrei partecipare alle gare di ballo, vivendo così gli unici istanti di vita degni di questo nome.”
Qual è stato il momento della svolta? “Frequentavo da tempo il leggendario Piper di Roma, luogo ideale dove scatenarmi a più non posso. Lì ero nel mio elemento, mi sentivo completamente appagato. Una sera un ballerino americano, artista di professione, mi chiese dove avessi imparato a ballare così bene. Gli risposi che non avevo mai preso una lezione in vita mia. Lui allora, sbalordito, mi consigliò di frequentare immediatamente un corso di danza classica, fondamento indispensabile per diventare un vero professionista. Quindi mi fornì l’indirizzo di una importante scuola di danza dove ogni giorno andai a studiare assiduamente, perfezionandomi. Tantissimi sacrifici, anche allora: la mattina me ne andavo in giro a fare il venditore ambulante di jeans e la sera mi trasformavo in danseur .” Come è esploso il suo successo? “Frequentare il Piper Club a quell’epoca era imprescindibile. Quella discoteca aveva rappresentato il trampolino di lancio per tanti nomi divenuti famosi: Renato Zero, Loredana Bertè, Patty Pravo… La consideravamo un po’ la nostra università. Poi cominciai a fare audizioni in Rai, e lì il fatto di avere studiato seriamente mi aiutò molto, perché la preparazione classica era imprescindibile per essere scelti. Fatto sta che nel ’69 iniziai a danzare in televisione accanto alle gemelle Kessler in uno spettacolo con coreografie di Jack Bunch, ed è da lì che è partito tutto. La mia attività di coreografo ha invece avuto inizio al teatro Alfieri di Torino con lo spettacolo teatrale In due sul pianerottolo, interpretato da Macario e Rita Pavone. Poi nel ’77 è arrivato in tv Piccolo Slam, con l’indimenticabile Stefania Rotolo, un momento fortemente innovativo per la coreografia televisiva,” Essere ballerino è stato motivo di pregiudizi? “Nel mondo della danza prevalgono la bravura e il talento su qualunque altro aspetto, compreso l’orientamento sessuale. Devo dire che mai a tal proposito nessuno si è permesso di fare illazioni, di attaccarmi in modo diretto . In ogni caso il fatto che io sia eterosessuale è stato da sempre evidente a tutti, ma ripeto: è veramente un argomento privo di importanza. Quello che conta è il rispetto per le rispettive doti umane e professionali , quindi ciò che mi ha legato e mi lega a quel mondo sono sentimenti di amicizia e condivisione senza remore né condizionamenti di sorta.”
Quali sono i sentimenti che animano il mondo dello spettacolo e della danza in particolare? Gelosie, rivalità, invidia, o al contrario spirito di unione e collaborazione? “Il lavoro del coreografo regista somiglia molto a quello dell’allenatore di una squadra di calcio. E’ un mondo in cui tutti vorrebbero primeggiare, essere Re con tanto di scettro e corona. Perciò è normale che si creino certe rivalità che quando sono costruttive possono portare al miglioramento di ciascuno. Sta appunto al coordinatore sistemare al meglio le cose, con sensibilità, intuito e un po’ di polso fermo. Purtroppo nel nostro ambiente non vale il criterio di ‘democrazia’ in senso stretto perché è proprio la selezione a determinare i ruoli, a seconda della bravura del singolo. Quindi i compiti di ognuno vanno accettati e rispettati. ” Cosa c’è nel futuro di Franco Miseria? “A settembre, a Milano, è previsto un grosso spettacolo. Non dico per adesso il nome: pure ragioni di scaramanzia, dato che il contratto non è stato concluso. Si tratta di un qualcosa di molto, molto importante. Naturalmente spero nel contempo che anche il mio libro autobiografico possa ispirare un docufilm o servire da spunto per una serie. In quelle pagine racconto con estrema sincerità la mia vita, brillante e difficile allo stesso tempo, fatta di fatica, rinunce ma anche di incredibili successi. Racconto la mia storia, ma soprattutto quella di un’Italia che forse bella com’era non lo è più".