Richard Gere, dopo aver perso il padre, affronta la vecchiaia e la morte nel film di Schrader

“Oh Canada” è il film di Paul Schrader in concorso a Cannes, che vede una delle più belle interpretazioni di Richard Gere: il suo personaggio sente la morte vicina e fa i conti con sé stesso e la vita che ha vissuto

di GIOVANNI BOGANI
19 maggio 2024
FRANCE CANNES FILM FESTIVAL 2024

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Cannes, 19 maggio 2024 – Nel film di Paul Schrader “Oh, Canada”, in concorso a Cannes, Richard Gere interpreta un vecchio regista, minato dalla malattia, che racconta la sua vita ad una troupe che sta girando un documentario su di lui. E mentre la giovane assistente lo sta microfonando, avvicinandosi a lui, si chiede “Sentirà l'odore dei medicinali che prendo? E quello delle feci secche? Il mio odore di vecchio?”. Il film va avanti così, con quest'uomo che fruga impietosamente nei propri ricordi, alternando momenti di lucidità e altri di confusione mentale. Impietoso con tutti, e soprattutto con se stesso, con il proprio passato, pronto a demolire la propria immagine di uomo coraggioso, di regista controcorrente. Senza farsi illusioni su ciò che è stato, e impietoso anche verso quella troupe che gli punta una telecamera addosso, col regista che lo riempie di complimenti ma, lo si vede bene, è lì solo per succhiargli il sangue, i suoi sospiri estremi, i i suoi ultimi ricordi. Il film di Paul Schrader, che è lo sceneggiatore di “Taxi Driver”, il regista di “Mishima” e l'autore di libri straordinari sul cinema, è una riflessione sulla morte, sulla vecchiaia, su come ciascuno di noi ripercorre la propria vita. Sulle scelte che si fanno e più ancora su quelle che non si fanno: su come la vita ci trascina. A un certo punto, sembra un “Quarto potere” di Orson Welles, ma girato al contrario: non siamo noi che cerchiamo di capire chi è il protagonista, infilandoci in un labirinto di ipotesi, ma il protagonista che sembra non capire più chi è stato, perduto in quello stesso labirinto.  

TOPSHOT-FRANCE-FILM-FESTIVAL-CANNES
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Ci voleva un grande regista, per dare corpo a questo mosaico di verità e illusioni, e Paul Schrader si dimostra tale, una volta di più, mescolando stili, immagini ben composte e altre disturbanti, per rendere lo stato d'animo del protagonista. E serviva un grande attore. E Richard Gere dà vita a una delle prove più straordinarie della sua carriera. Con la barba lunga, le rughe sul collo, lo sguardo acquoso. Con i capelli pasticciati, le cispe. E poi, in qualche flashback, di nuovo con i tratti del seduttore che gli conosciamo.

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Il set si mescola con la vita personale

Per interpretare questa parte, Gere ha iniziato a lavorare al film sei mesi dopo aver perduto il padre, scomparso a cento anni, dopo che negli ultimi tempi era stato proprio Gere a prenderselo in cura. Un'esperienza che, dice Gere, ha influenzato molto il suo approccio al film. “Tutto è entrato in risonanza con il viaggio emotivo fatto con mio padre, che stava per arrivare a 101 anni quando è scomparso”, dice Gere, oggi 74enne. Sull'incontro, o meglio il rinnovato incontro con Schrader, con il quale aveva lavorato quarant'anni fa per “American Gigolò”, dice: “Mi ha chiamato, all'improvviso, e mi ha detto: 'Guarda, ho questo copione, che per me significa molto, e voglio che sia tu a farlo'. Abbiamo iniziato a parlarne, e poi mi sono tuffato nel progetto”. “Ognuno ha dei segreti, anche se crediamo di essere molto aperti, molto franchi”, dice Gere. “Ad una certa età, vuoi chiudere il cerchio e purificarti, specialmente con le persone che ti stanno più a cuore. Mi piaceva il fatto che questo personaggio sente il bisogno di chiudere i conti con la sua vita, e che di fronte alla telecamera vuole essere il più onesto possibile”. Il film è basato sul romanzo “Foregone” di Russell Banks, amico e collaboratore di Schrader, che trasporta da un suo romanzo il film “Affliction” con Nick Nolte. Banks, scomparso l'anno scorso, aveva scritto un film sulla malattia e la morte quando era in salute. Poi si è ammalato quasi nello stesso modo che descrive nel libro.

FRANCE CANNES FILM FESTIVAL 2024
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L'onestà con sé stessi

Gere torna sul tema principale del film, l'onestà con se stessi. “Puoi essere onesto, completamente onesto, solo quando butti completamente via il tuo ego o ogni idea preconcetta di te stesso”, dice Gere. “E io non posso dire se il mio personaggio è totalmente onesto in questo film, ma almeno ci prova”. Jacob Elordi interpreta il giovane Richard Gere, nel film. “Prima di girare, non abbiamo parlato dei nostri personaggi. Voleva solo vedermi, e capire che cosa avrei fatto io, per capire meglio che cosa avrebbe fatto lui nei flashback. Abbiamo girato solo una scena nella quale siamo presenti contemporaneamente, ed è per pochissimo tempo: io entro nell'inquadratura e lui ne esce. Ma ho pensato che fosse meraviglioso, nel film, e mi sono emozionato quando l'ho vista nel film”.