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Home » Spettacolo » Nella mente di una jihadista: “The Matchmaker”, la conversione raccontata da donna a donna

Nella mente di una jihadista: “The Matchmaker”, la conversione raccontata da donna a donna

Da una parte la regista del documentario, la giornalista Benedetta Argentieri, che ha dato voce alle curde che hanno combattuto contro l’Isis. Dall'altra Tooba Gondal, che invece all'Isis ha votato la sua vita

Giovanni Bogani
25 Settembre 2022
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Due donne: una giornalista e una jihadista. La prima, Benedetta Argentieri, autrice di documentari sulle donne curde che hanno combattuto contro l’Isis. L’altra, Tooba Gondal, che invece è stata una sorta di “influencer” a favore dell’Isis: con i suoi profili social, Tooba Gondal ha twittato a raffica frasi che inneggiavano al terrorismo, e si suppone che abbia convinto molte ragazze occidentali ad abbracciare la causa e a unirsi allo Stato islamico, sposare terroristi e la loro guerra. Il film “The Matchmaker“, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, racconta tutto questo.

Penetrare nella mente di chi sceglie la via della Jihad

La locandina di “The Matchmaker”

La regista Argentieri riesce in questo avvicinamento per niente facile: è stata capace di conquistare l’attenzione e la fiducia di Tooba. Che, nata a Parigi, cresciuta a Londra da una famiglia di origine pakistana, borghese, benestante, non particolarmente religiosa, ha abbandonato gli studi in Inghilterra per raggiungere lo Stato islamico. Con il nome da utente social di Umm Muthanna al-Britannia, Tooba Gondal dichiarò la sua conversione nel 2015, postano una fotografia su Twitter, nella quale brandiva un AK47. Il testo che aveva scritto in quella occasione recitava: “Vivere la vita della vera libertà”. Il documentario è interessante perché, forse per la prima volta, cerca di penetrare nella mente, nella psiche di una persona che compie una mutazione totale, travolgente. Non una mutazione di sesso, ma una mutazione di idee, di pensiero, di scelte di vita. Com’è che una studentessa di Letteratura inglese può diventare una propagandista dell’Isis? E qual è stato, qual è il ruolo delle donne nello Stato islamico? Questioni delicate da porre, risposte difficili da ottenere.

Da donna a donna

La Argentieri ha svolto un lavoro difficile, che necessitava di una grande attenzione. E forse, il fatto che fosse una donna a porre domande ad un’altra donna lo ha reso possibile. Quella foto di lei con l’Ak47, per esempio. La regista non ne parla se non dopo un’ora di documentario – e, immaginiamo, giorni e giorni di conversazioni. Il film inizia, invece, con le immagini della battaglia di Baguz Fawqani, nel 2019, quando una coalizione guidata dai curdi siriani sconfisse l’ultima roccaforte dell’Isis in Siria. Nel corso dell’offensiva della coalizione capitanata dai curdi, furono catturate migliaia di donne e bambini provenienti da 48 Paesi diversi. In attesa del loro rimpatrio, gran parte di loro vennero accolte nel campo profughi di Ain Issa, dove la Argentieri trova la Gondal.

La conversione, i matrimoni, il pentimento

Umm Muthanna al-Britannia è il nome scelto da Tooba Gondal come “influencer” dell’Isis su Twitter

Ha 28 anni, Tooba, quando la Argentieri la intervista. Racconta i suoi anni nello Stato islamico, dopo che da Londra – di nascosto dalla famiglia – ha preso un biglietto aereo per Istanbul, e poi un autobus che ha corso per 22 ore fino al confine siriano. Racconta i suoi tre matrimoni con uomini che sono stati uccisi o si sono fatti esplodere combattendo per il terrorismo. Uno di loro, il primo, è Abu Abbas. Tooba spiega e racconta con uno strano sorriso, mesto ma ancora giovane, mentre accudisce i due bambini nati dai matrimoni con due diversi terroristi. Spiega perché ha scelto di radicalizzarsi: “La mia vita non mi piaceva, nulla mi dava serenità, l’alcol, le feste, fare un piercing, avere un ragazzo… Alla fine, ho trovato pace nella lettura del Corano“. Un’insoddisfazione esistenziale che poi porta a una scelta folle e tragica. “Oggi sono pentita, mi sono pentita di non avere fatto l’università, e penso che ho distrutto la vita dei miei figli”, dice.

Dentro il mistero di un orrore

La Argentieri intervista anche alcune donne Yazidi. La popolazione Yazida è stata oggetto di una deportazione di massa da parte dell’Isis, e le donne Yazidi trattate come schiave: la loro “tratta” fu affidata alle donne dell’Isis. Ma in questo, Tooba è reticente, così come è reticente sull’accusa che le è stata mossa, di avere convinto tante ragazze come lei, con i suoi Tweet, ad abbracciare la Jihad e a darsi in sposa a un terrorista. “Se lo hanno fatto, è per loro convinzione, io non c’entro”. Ma l’impressione è che abbia combattuto una guerra molto aggressiva, anche se probabilmente – come sostiene – senza mai toccare un kalashnikov. L’ha combattuta a colpi di tweet, con 40 e 50 profili social diversi, con frasi che inneggiavano alle stragi degli infedeli. Il merito della regista è di averci portato dentro il mistero di un orrore che nasce da una persona all’apparenza minuta, tranquilla, gentile. E, cosa importante, il documentario non è mai sensazionalistico, non usa i video di propaganda o i post più estremi se non con estrema parsimonia, non bombarda lo spettatore di immagini shock. La più forte delle immagini, la più scioccante, è forse il mesto sorriso di Tooba, che a nemmeno trent’anni ha vissuto tante vite, e forse altre ne ha distrutte.

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Due donne: una giornalista e una jihadista. La prima, Benedetta Argentieri, autrice di documentari sulle donne curde che hanno combattuto contro l’Isis. L’altra, Tooba Gondal, che invece è stata una sorta di "influencer" a favore dell’Isis: con i suoi profili social, Tooba Gondal ha twittato a raffica frasi che inneggiavano al terrorismo, e si suppone che abbia convinto molte ragazze occidentali ad abbracciare la causa e a unirsi allo Stato islamico, sposare terroristi e la loro guerra. Il film "The Matchmaker", presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, racconta tutto questo.

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Da donna a donna

La Argentieri ha svolto un lavoro difficile, che necessitava di una grande attenzione. E forse, il fatto che fosse una donna a porre domande ad un’altra donna lo ha reso possibile. Quella foto di lei con l’Ak47, per esempio. La regista non ne parla se non dopo un’ora di documentario – e, immaginiamo, giorni e giorni di conversazioni. Il film inizia, invece, con le immagini della battaglia di Baguz Fawqani, nel 2019, quando una coalizione guidata dai curdi siriani sconfisse l’ultima roccaforte dell’Isis in Siria. Nel corso dell’offensiva della coalizione capitanata dai curdi, furono catturate migliaia di donne e bambini provenienti da 48 Paesi diversi. In attesa del loro rimpatrio, gran parte di loro vennero accolte nel campo profughi di Ain Issa, dove la Argentieri trova la Gondal.

La conversione, i matrimoni, il pentimento

Umm Muthanna al-Britannia è il nome scelto da Tooba Gondal come "influencer" dell'Isis su Twitter
Ha 28 anni, Tooba, quando la Argentieri la intervista. Racconta i suoi anni nello Stato islamico, dopo che da Londra – di nascosto dalla famiglia – ha preso un biglietto aereo per Istanbul, e poi un autobus che ha corso per 22 ore fino al confine siriano. Racconta i suoi tre matrimoni con uomini che sono stati uccisi o si sono fatti esplodere combattendo per il terrorismo. Uno di loro, il primo, è Abu Abbas. Tooba spiega e racconta con uno strano sorriso, mesto ma ancora giovane, mentre accudisce i due bambini nati dai matrimoni con due diversi terroristi. Spiega perché ha scelto di radicalizzarsi: "La mia vita non mi piaceva, nulla mi dava serenità, l’alcol, le feste, fare un piercing, avere un ragazzo… Alla fine, ho trovato pace nella lettura del Corano". Un’insoddisfazione esistenziale che poi porta a una scelta folle e tragica. "Oggi sono pentita, mi sono pentita di non avere fatto l’università, e penso che ho distrutto la vita dei miei figli", dice.

Dentro il mistero di un orrore

La Argentieri intervista anche alcune donne Yazidi. La popolazione Yazida è stata oggetto di una deportazione di massa da parte dell’Isis, e le donne Yazidi trattate come schiave: la loro "tratta" fu affidata alle donne dell’Isis. Ma in questo, Tooba è reticente, così come è reticente sull’accusa che le è stata mossa, di avere convinto tante ragazze come lei, con i suoi Tweet, ad abbracciare la Jihad e a darsi in sposa a un terrorista. "Se lo hanno fatto, è per loro convinzione, io non c’entro". Ma l’impressione è che abbia combattuto una guerra molto aggressiva, anche se probabilmente – come sostiene – senza mai toccare un kalashnikov. L’ha combattuta a colpi di tweet, con 40 e 50 profili social diversi, con frasi che inneggiavano alle stragi degli infedeli. Il merito della regista è di averci portato dentro il mistero di un orrore che nasce da una persona all’apparenza minuta, tranquilla, gentile. E, cosa importante, il documentario non è mai sensazionalistico, non usa i video di propaganda o i post più estremi se non con estrema parsimonia, non bombarda lo spettatore di immagini shock. La più forte delle immagini, la più scioccante, è forse il mesto sorriso di Tooba, che a nemmeno trent’anni ha vissuto tante vite, e forse altre ne ha distrutte.
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