Il teatro è quel posto nel quale si deve rubare ad altri per poter scoprire quello che si ha e non si credeva di avere, quello che si è e non si credeva di essere.
Barbara Bachini Giuliani, 51 anni, ha rubato due volte: prima ad una nonna e poi ad una nonna rock. Sul palco si è messa i panni dell’una e dell’altra, ha indossato un Chiodo e persino una parrucca rosa sormontata da una cresta azzurra. Ha suonato la chitarra senza saper suonare. Ma soprattutto ha scandito le parole di entrambe, ha scandito due pagine e mezza di copione, due pagine e mezza di parole non sue. E ad un certo punto le è accaduto di chiedersi se fosse davvero lei quella sul palco e si è resa conto che l’essersi avventurata nel furto di due identità gliene stava restituendo una terza: la sua. Dietro e dentro quella finzione è emersa una realtà diversa: “Finora ho sempre pensato di non essere capace di fare le cose. In teatro quel pensiero svanisce, trovo in me qualità che impressionano per prima me stessa, mi libero”.
La rinascita grazie a una nonna rock
Barbara convive e lotta da sempre con la dislessia e con fragilità psichiche: “Il periodo più brutto è stato in terza media, quando mi hanno dato diverse ore di sostegno per tenermi lontano dai compagni di classe, che mi prendevano in giro, ogni volta che un’insegnante mi chiamava per l’interrogazione li sentivo dire: ‘Cosa interrogano quella, che non capisce niente?’. Ora, per lo spettacolo, avevo da imparare una parte lunga ed essendo dislessica, essendo stata sempre seguita... all’inizio, a dire il vero, non volevo neanche fare teatro... poi la mia parte l’ho imparata da sola, sono riuscita a stare sul palco, a ripeterla davanti a tante persone, persino davanti ad una giuria. Per me è stato un successo, una rinascita. Ad un certo punto mi sono chiesta: ‘Sono io sul palco che sto parlando? O è il mio fantasma?’”.
La disabilità sul palco non è più nascosta
È accaduto a Trani, al Festival del Giullare. Una prova che il teatro sa essere terapeutico e i contesti della quotidianità disabilitanti. “Chi ha una disabilità invisibile, chi ha fragilità psichiche, è costretto a nasconderle per evitare di essere etichettato, emarginato, di essere guardato in modo stereotipato. Mi succede ancora oggi”. Con il tempo quelle due pagine e mezzo di copione sono diventate parole sue e Barbara non ha solo recitato, in una certa misura è stata anche regista: “Sul finire della mia parte ho coinvolto il pubblico, ho chiesto agli spettatori di ripetere: ‘Vogliamoci bene’. Mi hanno seguito ed è stato toccante sentire quelle parole ripetute da tutti in modo così forte: non ci ho capito più nulla, spero di aver mandato dei messaggi”. Sul palco ha infine fatto da interprete, in senso letterale: “Ho recitato anche nella lingua dei segni”.
Il teatro integrato
Perché il teatro di Barbara è di tutti, con tutti e per tutti: è il teatro integrato. Per capirne di più bisogna prendere a prestito da Barbara due parole che lei ripete spesso durante la chiacchierata. Anzi, un nome e un concetto. Il nome è quello di Francesca Varagnolo, regista dello spettacolo nel quale ha recitato Barbara: “A casa degli Addams, audizione per un nuovo musical”. Il concetto, invece, è quello di famiglia. Gli spettacoli di Varagnolo hanno una caratteristica unica: la trasversalità delle persone coinvolte. Sul palco si affiancano e si alternano persone con e senza disabilità, sordi oralisti (quelli che si affidano alla lettura del labiale) e sordi segnanti (quelli che comunicano nella lingua dei segni), ma anche bambini, adolescenti e adulti, artisti per passione, artisti professionisti o che aspirano a diventarlo.
Sulla scena convivono, seconda i casi, l’italiano, l’italiano segnato, la lingua dei segni, i sottotitoli e quel linguaggio non verbale che è di per sé teatro e danza. Non sono spettacoli solo di e per attori. Ci sono anche ballerine, ballerini, cantautori. Un melting pot di vissuti, sensibilità e abilità. Le potenzialità personali, una volta rivelatesi e unite a quelle degli altri, diventano spettacolo.
Varagnolo lavora con Maura Pevere e Davide Fiore. Insieme hanno fondato la cooperativa sociale Eloiseloro. Un team, "una famiglia” come ripete Barbara: “Ringrazio Francesca per la sua sensibilità, per avermi aiutato a orientarmi sul palco tra luci e fumi, perché vederla mi trasmette sicurezza, è meglio di un ansiolitico, per aver pensato ad abiti di scena ad hoc per ognuno di noi. Ringrazio Maura perché i suoi occhi dolci sono sempre lì a dirti che ce la puoi fare. E ringrazio Riccardo, un compagno di palco, un bambino di 10 anni che mi ha dato una forza incredibile: prima dello spettacolo ci siamo incoraggiati a forza di abbracci.Tra di noi le differenze non si avvertono, neppure quelle d’età. Siamo una famiglia. In teatro non funziona che ognuno impara la parte e amen. Tutti si prendono cura di tutti”.
Barbara, però, sa di non aver finito il suo percorso: “Francesca, il teatro, la squadra mi hanno tirato fuori qualità che non sapevo di avere ma sento che in me c’è ancora qualcosa che sta nascosto, qualcosa da trovare”.