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Leao lancia "Smile", il libro che sorride in faccia al razzismo

L'attaccante racconta la prima discriminazione ricevuta all'età di otto anni e i versi di scimmia prima di una partita Napoli-Milan. E attacca le istituzioni sportive che "sono ancora molto indietro"

di EDOARDO MARTINI -
22 febbraio 2024

Si chiama "Smile", e non poteva chiamarsi in altro modo, il libro pubblicato da Rafael Leao. Nella sua autobiografia il fantasista portoghese racconta la sua storia personale, passando dalle vittorie alle sconfitte, dal suo esordio ad alcuni aspetti poco noti di sé, naturalmente sempre col sorriso sulla faccia. Ma noi non ci concentreremo su questi aspetti ma bensì su quegli episodi di razzismo (saranno 3 in totale) che stavano per cancellare il sorriso all'attaccante e dei quali lo stesso centravanti dedica un intero capitolo

L'incontro con il razzismo ad 8 anni

Il primo incontro dell'ala milanista con questa piaga avviene all'eta di 8 anni: "Non ho conosciuto l'esistenza della parola razzismo fino ai miei 8 anni. Nel Bairro da Jamaica tutti avevano lo stesso colore della pelle, non avevo mai percepito l'esistenza di qualcuno o di qualcosa di diverso da me stesso. Ero un bambino e non sapevo neanche cosa potesse essere la diversità. Eravamo una gigantesca famiglia, nessuno trattava qualcun altro con poco rispetto, tutti erano uguali, accomunati da una condizione mediocre che non ti impediva comunque di vivere la tua vita con dignità. Certo, avrei potuto capirlo, e il mio amico Paolo a volte me lo diceva. Ogni volta che andavamo al Carrefour eravamo quasi come invisibili agli occhi del cassiere. 'Quello ci ignora, perché siamo piccoli e neri'. Era vero, per riuscire a pagare dovevamo chiedere aiuto a qualcuno più grande".

Leao e Maignan
Leao e Maignan

I versi di scimmia prima di Napoli-Milan

Poi prosegue ripercorrendo un episodio prima di un Napoli-Milan: "Alla nostra uscita dall'albergo per andare allo stadio i tifosi iniziarono a fischiare. Avevo le cuffie ma avevo staccato la musica: volevo sentirli, interiorizzare, utilizzarli per caricarmi e rendere ancora di più in campo. Non ero pronto ad ascoltare però quelli che erano degli ululati razzisti, dei versi di scimmia che per la prima volta sentivo così inesorabilmente, irrimediabilmente rivolgersi a me. Ho reagito nell'unico modo che conosco: ho sorriso, sicuro di indispettire ancora di più".

E ancora: "'Sono solo cori di antipatia, non sono razzisti', è la cosa più cretina che si possa dire. Insultare un giocatore avversario perché forte o antipatico, o magari entrambi, e farlo utilizzando dei modus operandi razzisti ti rende razzista. I gesti sono incredibilmente importanti quando si parla di temi sociali e vanno di pari passi all'educazione che le famiglie devono dare ai loro figli, che poi diventeranno adulti".

Dei 5 tifosi individuati per gli insulti razzisti a Maignan uno è di colore. Un vero e proprio paradosso (Instagram)
Dei 5 tifosi individuati per gli insulti razzisti a Maignan uno è di colore. Un vero e proprio paradosso (Instagram)

La vicinanza al suo amico Maignan 

Immancabile una riflessione sull'ultimo evento accaduto al suo compagno di squadra Maignan: "A Udine, il 20 gennaio scorso, hanno insultato con un gergo razzista il mio amico e compagno di squadra Mike. Un fatto assurdo e gravissimo. E anche quando ho visto Lukaku essere ammonito dopo aver festeggiato in faccia ai tifosi razzisti della squadra avversaria mi sono arrabbiato tantissimo. Se un calciatore viene continuamente bersagliato e si permette di esultare in maniera reattiva rispetto a quei tifosi, l'arbitro cosa fa? Lo sanziona? E' una cosa che non ha senso, e anzi non fa altro che contribuire ulteriormente a un clima già abbastanza esasperato. Giustifica quei pazzi che pensano che al giorno d'oggi si possa ancora vivere in questo modo. Accadde la stessa cosa a Zlatan, nel 2021, sempre contro la Roma, dopo essere stato insultato per tutta la partita con una parola incredibilmente fastidiosa anche da ripetere. Esultò e l'arbitro lo ammonì". 

L'attacco alle istituzioni 

Ma ciò che fa più arrabbiare l'ex Lille sono le istituzioni, incapaci di prendere una netta posizione su quanto accade: "Non credo che l'Italia sia un Paese razzista, in questa nazione sono diventato un uomo, un grande calciatore e un professionista. Ma credo che le istituzioni sportive siano ancora molto indietro, e questo accade anche in tutto il resto dell'Europa. Spostare continuamente la responsabilità sul soggetto, chiedersi: 'Lui cosa ha fatto per provocare?' è il miglior assist possibile che si possa fare a un razzista. E' successo al mio amico Mike e a Moise, prima ancora a Balotelli e continuerà a succedere fino a quando non sapremo cosa fare per fermarli. Siamo in una posizione privilegiata, siamo famosi, e anche i razzisti vengono a chiederci le foto. Ma non tutti possono, non tutti hanno la corazza della fama a proteggerli. A quelle persone non basta il sorriso di Rafael Leão. Gli serve qualcosa di più, e gli serve adesso".

Il libro di Leao però non è composto soltanto da pagine buie, ma anche dai tanti sorrisi arrivati grazie alla famiglia, ai suoi allenatori e ai suoi incredibili dribbling che hanno lasciato a bocca aperta tutti i tifosi a San Siro. C'è da chiedersi allora cosa poteva scrivere se al posto di questo triste capitolo ce ne fosse stato un altro dove Rafa poteva raccontare cosa gli passava per la testa prima di ubriacare con le sue interminabili finte il diretto avversario. Quello che è certo è che lo avrebbe sicuramente scritto con il sorriso stampato sulla faccia.