Affettività in carcere: per la Consulta illegittimo il divieto, ma c'è chi teme celle "postriboli"

La Corte Costituzionale ha ritenuto che il controllo a vista degli incontri sia contrario alla dignità dei condannati. "Il diritto (anche alla sessualità) è riconosciuto da molti ordinamenti europei"

di CHIARA CARAVELLI
27 gennaio 2024

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Se la proposta di legge di Monica Cirinnà sulle cosiddette ‘casette d’amore’ adiacenti al carcere venne affossata, oggi è la Corte Costituzionale a riaprire una partita che sembrava persa. La Consulta ha infatti dichiarato illegittimo l'articolo 18 del testo dell'ordinamento penitenziario, nella parte in cui non consente "che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia". Gli incontri 'più liberi', però, non verranno concessi a tutti i detenuti. La Corte ha infatti precisato che per ogni detenuto si "terrà conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie". Una possibilità che non verrà concessa ai detenuti al 41 bis, il cosiddetto carcere duro.

Consulta: "Illegittimo il controllo a vista inderogabile"

"L’ordinamento giuridico – si legge nella nota della Corte – tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società".
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L'articolo 18 dell'ordinamento penitenziario prevede che gli incontri tra i detenuti e le persone a cui sono legati da rapporto d'affetto avvengano sotto l'inderogabile controllo a vista degli agenti

La norma dichiarata illegittima, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui del detenuto, gli impedisce di fatto di esprimere l'affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza. I giudici hanno pertanto riscontrato la violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione, per la irragionevole compressione della dignità della persona causata dalla norma in scrutinio e per l'ostacolo che ne deriva alla finalità rieducativa della pena. Con riferimento alla circostanza che "una larga maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell'affettività intramuraria, inclusa la sessualità".

Il diritto all'affettività in carcere

Una sentenza, possiamo dire, di civiltà. Anche se, già nella maggior parte degli altri ordinamenti europei, vengono già riconosciuti degli spazi dove i detenuti possono esprimere la loro affettività. "La Corte Costituzionale – le parole di Donatella Nucera, presidente di Cammino, Camera Nazionale Avvocati per le persone, per i minorenni e per le famiglie – ha finalmente riconosciuto il diritto all'affettività in carcere". Ma la decisione della Consulta, quanto mai giusta e necessaria, non ha convinto tutti. Tra questi c’è Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia Penitenziaria, che ha parlato di come l’apertura ai colloqui affettivi porti a ulteriori problematiche logistiche, gestionali e operative all’interno dei luoghi di detenzione. "Siamo naturalmente rispettosi della Costituzione – le sue parole – ma non possiamo non evidenziare, come peraltro fa la stessa Corte, che l'attuale situazione penitenziaria è di assoluta emergenza, anche per le deficienze logistiche, strutturali e infrastrutturali, per il sovraffollamento, per le carenze strumentali e negli equipaggiamenti, per l'atavica disorganizzazione. In questo quadro, ci viene davvero difficile immaginare la gestione, in sicurezza e in maniera dignitosa, di colloqui intimi su vasta scala".

Per i sindacati della polizia penitenziaria, per quanto la scelta dei giudici sia corretta, "ci sono problemi di natura organizzativa, gestionale e logistica da tenere in conto"

Scettico anche Donato Capece del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), che teme che le carceri possano diventare "postriboli" e gli agenti dei "guardoni di Stato". E sottolinea che piuttosto si dovrebbe introdurre "il principio di favorire il ricorso alla concessione di permessi premio a quei detenuti che in carcere si comportano bene, che lavorano e seguano percorsi concreti di rieducazione". "Potranno esprimere l'affettività come meglio credono" una volta fuori, conclude il sindacalista.

Il detenuto di Terni

Il caso arrivato alla Consulta è quello di un condannato in via definitiva per tentato omicidio, furto aggravato ed evasione, che deve scontare la sua pena nel carcere di Terni sino al 2026. Non gode di permessi premio, ha accumulato sanzioni disciplinari, pertanto non ha nessuna possibilità per ora di avere rapporti sessuali con la sua compagna, dato che gli incontri in carcere si svolgono sotto la vigilanza permanente. Modalità che si traducono, secondo il giudice Gianfilippi che ha portato la questione alla Consulta, in un "vero e proprio divieto di esercitare la sessualità", in contrasto con più principi costituzionali. Quella della Consulta è una sentenza che farà sicuramente storcere il naso alla destra che, già al tempo della proposta di legge Cirinnà, si era mostrata contraria. Ma che piaccia o meno, che i carcerati possano esprimere la propria affettività in determinati spazi è, a tutti gli effetti, un diritto. E come tale deve essere garantito.